La sicurezza sociale è solo per il capitale

Image - Tendopoli nei sobborghi di Los Angeles

Per i proletari aumenta l’insicurezza sociale e la precarietà del lavoro

Dove ti giri sia a destra che a sinistra il tamburo del capitale batte la stessa musica: “sicurezza”. Vedremo come tale sicurezza non sia altro che la sicurezza per il capitale, che dal lato del lavoro si trasforma in insicurezza sociale. Infatti è lo stesso processo di accumulazione capitalistico che durante il suo sviluppo esclude strati di proletariato, ne precarizza altri e sposta migliaia di diseredati da un continente all’altro facendone manodopera a basso prezzo e per tutti gli usi.

Così se scaviamo nella complessità di questo processo

non è difficile individuare la matrice di vaste e profonde contraddizioni quale, ad es., la tendenza all’inarrestabile aumento della tecnica in confronto ai limiti di assorbimento del mercato e la conseguente riduzione progressiva dell’utilizzo della mano d’opera; più in particolare la contraddizione fondamentale tra il crescere, sotto il pungolo della concorrenza, del capitale fisso (macchine) e la tendenza alla diminuzione “globale” del profitto che mette in crisi la scientificità del sistema e manda in bestia i possessori dei mezzi di produzione. Non a caso il marxismo ritiene anarchico questo sistema di produzione, anarchico perché irreale e contraddittorio e quindi irrazionale. Ma l’argomento si allarga a dismisura se spostato sul piano dei fenomeni socio-politici della sovrastruttura, là dove gli uomini pensano ed operano [...] Il capitalismo non muore per esaurimento [...] può continuare a vivere, come infatti vive, anche se non ha più nulla da dire sotto il profilo economico e di sviluppo sociale e culturale. Ed è questa specie di interregno tra un capitalismo che non c’è più, se non nelle forme antistoriche del parassitismo e della violenza, e un proletariato tuttora incapace di imporre la sua egemonia di classe che si riproduce nella sovrastruttura con lo sconvolgimento di tutti i valori acquisiti e con la tendenza a regredire verso epoche che ci illudevamo fossero del tutto scomparse. (1)

A questa irrazionalità del modo di produzione capitalistico si somma il parassitismo e la violenza imperialista che produce quella tendenza alla regressione sociale. Regressione che si manifesta poi a livello individuale come l’analisi psicoanalitica ha dimostrato:

Nell’evoluzione della vita psichica... c’è una situazione diversa da ogni altra che si può descrivere solo dicendo che ogni precedente fase di sviluppo sussiste e si conserva a fianco di quella che ne è derivata. ... Tuttavia, questa straordinaria plasticità delle possibilità di evoluzione psichica non può manifestarsi in tutte le direzioni; si può dire che essa rappresenti una straordinaria tendenza alla regressione, perché spesso avviene che una fase successiva e superiore, una volta abbandonata, non possa più essere raggiunta. Invece gli stati primitivi possono sempre essere rievocati e riprodotti; quanto di primitivo vi è nella nostra vita psichica è imperituro. (2)

L’osservazione psicoanalitica ci indica come le tendenze psichiche di natura primitive non periscono mai, ma anche che di per sé non sono né buone né cattive, però, diciamo noi, possono essere socialmente riprodotte ed orientate per fini politici di dominio di classe. Ovviamente non è questa tendenza individuale a generare quella sociale, ma viceversa è la regressione sociale che orienta quella individuale. E gli argomenti essenziali delle politiche sicuritarie sono dei più retrivi e coinvolgono gli istinti più intimamente primitivi. Per provare a comprendere questa tendenza di fondo, che coinvolge tutto il mondo occidentale, vediamo brevemente cosa è accaduto ed accade negli USA, paese che ha indicato ed indica le linee di fondo della politica sociale. Occorre però preliminarmente fare un passo indietro e partire dalla crisi “globale” del profitto. Fatto inequivocabile e manifestazione dell’apertura della crisi del ciclo dell’accumulazione capitalistica fu il provvedimento, preso nel 1971, dall’amministrazione Nixon di disancorare il dollaro dall’oro. Si distrusse di fatto il rapporto di cambio tra le monete e la convertibilità del dollaro in oro. La successiva svalutazione del dollaro innescò un gigantesco processo inflazionistico teso a scaricare i costi della crisi americana principalmente su Europa e Giappone. Dall’espansione dei profitti per mezzo dell’espansione industriale si passò all’espansione dei profitti mediante la rendita finanziaria e al crescente impoverimento dei lavoratori. A questo mondiale processo di redistribuzione del reddito verso i profitti, che ha avuto un’accelerazione nell’ultimo decennio, si affianca quello della precarizzazione del lavoro e dello sgretolamento delle protezioni sociali: del welfare. L’ideologia neoliberista da il supporto teorico a tale tendenza: ossia la progressiva sostituzione del diritto collettivo e delle politiche sociali (welfare), con l’obbligo individuale all’attività (workfare) finalizzata ad imporre il lavoro salariato precario, flessibile, desocializzato. Viene esaltata la responsabilità individuale di ogni lavoratore quale unica variabile del proprio destino; la contropartita è l’irresponsabilità della politica, dello Stato, che con questi presupposti ideologici non ha socialmente nulla da fare. Lo Stato viene così occupandosi essenzialmente del mantenimento dell’ordine e del fare la guerra. Ovviamente quello che viene fatto rispettare è l’ordine borghese, l’ordine del capitale. Quest’ordine si esplicita con lo spiegamento di politiche sicuritarie, punitive e carcerarie:

È negli Stati Uniti, nel periodo 1975-1995, che è stata inventata la nuova politica della povertà, nel segno della reazione sociale, razziale e statale ai movimenti progressisti del decennio precedente, che sarà la culla della rivoluzione neoliberista. (3)

Ma vediamo brevemente l’essenza di questa reazione sociale. Il valore reale del sussidio medio (AFDC) per una famiglia di quattro persone senza altra fonte di reddito dal 1970 al 1995 si è praticamente dimezzato. A questa riduzione si affiancò l’aumento degli ostacoli burocratici per accedere ai sussidi al fine di eliminare molti beneficiari. Di fatto diminuì l’assistenza ai bambini poveri e a molte famiglie che ne avevano diritto. L’assicurazione per la disoccupazione che nel 1975 copriva il 76% dei salariati rimasti senza lavoro, nel 1995 ne copriva il 33%. Lo stesso vale per l’invalidità professionale e l’assistenza sanitaria. Nel 1991 una famiglia americana su tre era “housing poor”: non era cioè in grado di provvedere sia ai propri bisogni di base che all’abitazione.

Cosi per il lavoro:

la degradazione delle condizioni lavorative, l’accorciamento dei contratti di lavoro, l’abbassamento degli stipendi e la riduzione delle protezioni collettive offerte ai gruppi consolidati della classe operaia statunitense nel corso dell’ultimo quarto di secolo sono stati accompagnati dallo sviluppo fulminante del lavoro salariato precario. (4)

A causa di ciò nel 1996, l’82% degli americani si dichiararono pronti, per conservare il posto di lavoro, a prolungare l’orario di lavoro, il 72% ad accettare la riduzione delle ferie, il 53% la diminuzione dei benefici sociali e il 44% la riduzione del salario. Ciliegina sulla torta fu la “Legge sulla responsabilità individuale e il lavoro” varata dall’amministrazione Clinton nel 1996.

Questa legge ridusse ulteriormente l’ammontare dei sussidi, abrogò il diritto all’assistenza ai bambini obbligando i genitori al lavoro, a qualsiasi lavoro disponibile, oppure alla mendicità o all’economia criminale di strada. Le sezioni precarizzate del proletariato americano dipendono così da un lavoro salariato da miseria e da un’economia di strada e criminale. È su questa condizione diffusa di insicurezza sociale e mentale che si innesta la paura dell’avvenire, l’ossessione della decadenza sociale, la percezione e l’ansia delle nuove generazioni di dover condurre un tenore di vita inferiore a quello dei propri genitori.

In questo contesto criminalizzare i proletari impoveriti e metterli in carcere, oltre ad essere uno sfogatoio sociale, da sicurezza perché toglie dalla vista quotidiana quello che potrebbe essere il proprio futuro, toglie dalla vista il problema sociale.

Infatti quello sviluppo fulmineo del lavoro salariato precario è stato accompagnato dall’estensione delle politiche sicuritarie e penitenziarie. Dal 1975 al 2000 la popolazione carceraria americana si quintuplica, ed il fatto saliente è che tutto ciò non si spiega

con l’aumento della criminalità violenta, ma con l’allargamento del ricorso alla detenzione a una gamma di delitti e crimini di strada [...] e con il continuo inasprimento delle pene previste; [... così] la reclusione di massa negli Stati Uniti non riguarda tanto le “classi pericolose” quanto quelle precarie nel loro insieme. (5)

La carcerazione diviene il deterrente per far accettare la precarietà sociale. Questo passaggio dallo stato sociale allo stato penale ha visto la crescita esponenziale della spesa carceraria.

Nel 1980 la spesa per il sistema carcerario era di 7 miliardi di dollari, nel 1995 passò a 46. Nello stesso periodo la spesa per l’edilizia popolare passò da 28 a 11 miliardi, mentre quella penitenziaria da 7 a 26 miliardi. Di fatto l’edilizia penitenziaria divenne il più importante programma di alloggi sociali dell’America.

Ovviamente i maggiori beneficiari di tanta benevolenza sono principalmente i neri, gli ispanici, gli immigrati, i poveri, i caduti in povertà ed i precarizzati, cioè le cosiddette razze inferiori ed i bianchi considerati inetti. Cambiamo i nomi, mettiamoci la campagna contro il lassismo dello Stato, per la certezza della pena, la spettacolarizzazione dei reati commessi da extracomunitari ecc. e siamo in Europa. Anche da noi la crisi del profitto ha determinato una gigantesca redistribuzione di reddito dai salari ai profitti ed il progressivo smantellamento dello stato sociale controbilanciato da politiche repressive.

Al diritto collettivo al lavoro ed ai servizi sociali si sta sostituendo l’obbligo individuale al lavoro perché solamente chi lavora, a qualsiasi condizione, può beneficiare del diritto di cittadinanza. Infatti è ormai opinione comune che l’assistenza ai poveri o agli extracomunitari non serva ad altro che a mantenere queste persone nell’ozio e ad incoraggiare comportamenti antisociali a tutto danno di chi lavora e paga le tasse.

Per imporre la precarietà sociale come normalità si indica nei poveri, negli extracomunitari, negli immigrati, negli emarginati sociali o più banalmente nel socialmente diverso, il capro espiatorio, i socialmente pericolosi, la causa delle disgrazie sociali, il problema a cui si deve por mano in maniera repressiva.

Qui sta la regressione psicologica individuale che è anche una regressione culturale che coinvolge principalmente tutta una classe sociale che ha lottato per un futuro migliore, seppur abbagliata ed imbrogliata dallo stalinismo, e si è ritrovata in un futuro peggiore.

L’incapacità collettiva di fronteggiare gli attacchi del capitale induce il singolo individuo a sentirsi nemico di tutti gli altri, e di nemici, il capitale, ne fa immigrare quotidianamente. Così nell’attuale tendenza all’impoverimento generale sta prevalendo il razzismo e la lotta tra proletari per spartirsi quel poco che rimane dello stato sociale e per qualche punto in meno di pressione fiscale.

mr

(1) O. Damen, “Zone di irrazionalità nel mondo della sovrastruttura”.

(2) S. Freud, “Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte - 1 Guerra e disinganno” 1915.

(3) L. Wacquant, “Punire i poveri”, pag. 26. Ed. DeriveApprodi. Sottolineiamo che a differenza dei sociologi progressisti borghesi per noi quella politica non è un’invenzione ma una necessità del capitale.

(4) L. Wacquant, ibid, pag. 66.

(5) Ibid, pag. 128 e 130. Nel 2007 i detenuti americani adulti sono 2.319.258, 1 americano adulto su 100 è in carcere e sono soprattutto neri e ispanici: “Questo è un paese per carcerati”, La Stampa, 1 marzo 2008.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.