Fine del neoliberismo e intervento dello stato nell'economia

La crisi finanziaria avviatasi nell’estate del 2007, in seguito allo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime, è ben lungi dall’essere superata. Ad oltre un anno di distanza dal suo avvio, anche gli operatori più esperti della materia, ignorano completamente quali siano i dati completi delle operazioni finanziarie che trovano nella speculazione dei mutui subprime la loro origine. Tale cancro finanziario ovviamente non è circoscritto agli Stati Uniti, il paese dove è scoppiata la bolla speculativa, ma ha pervaso l’intero sistema finanziario internazionale; non passa giorno in cui importanti società finanziarie e bancarie sono costrette ad iscrivere nei bilanci enormi perdite causate dalla crisi immobiliare. E quando tali perdite superano di parecchio l’ammontare del capitale investito, sono costrette al fallimento o, come accade più spesso, a chiedere l’intervento dello stato.

Quando è scoppiata la bolla speculativa gli economisti borghesi hanno fin da subito cercato di rassicurare gli operatori in quanto i fondamentali dell’economia reale godevano di ottima salute, e quindi nel volgere di pochi mesi gli elementi perturbatori sarebbero stati sconfitti e il libero mercato avrebbe ripreso a funzionare come e meglio di prima.

Questa lettura ottimistica ignorava, o cercava di nascondere, completamente gli elementi di novità di questa crisi e gli effetti che questa avrebbe causato nell’ambito dell’economia reale e di conse-guenza sul piano delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato mondiale. La realtà operativa della crisi del capitale ha puntualmente smentito le teorie economiche della classe dominante, che ripropone-vano gli stessi schemi utilizzati nel passato per cercare di comprendere una crisi che invece presenta importanti elementi di novità. Gli effetti dello scoppio della bolla speculativa sul funzionamento dell’economia reale sono ormai sotto gli occhi di tutti e non c’è più nessun economista, anche il più incallito difensore del libero mercato, che si ostina a negare che l’economia capitalistica su scala internazionale marcia spedita verso una fase di recessione. Già negli ultimi mesi dello scorso anno si è reso evidente il rallentamento della contintura economica mondiale, con casi particolari come quello italiano in cui il prodotto interno lordo è crescito di un misero 1%.

Il trend di rallentamento si è accentuato di molto nel secondo trimestre del 2008, periodo in cui si è registrato un marcato calo della produzione produzione industriale mondiale e dello stesso Pil. Non possiamo parlare tecnicamente di recessione, in quanto occorronno due trimestri di fila in cui il Pil cala, ma dalle anticipazioni degli istituti economici specializzati anche nel terzo trimestre dell’anno si dovrebbe registrare un ulteriore calo del prodotto interno lordo. La caduta della produzione s’inserisce in un contesto di fortissime spinte inflattive determinate principalmente dall’asfissiante speculazione finanziaria e adesso anche sulle materie prime.

Per il proletariato mondiale la presenza contestuale di un alto tasso d’inflazione e di una contrazione del prodotto interno lordo rappresenta una mannaia sulle già precarie condizioni di vita e di lavoro. Da un lato il potere d’acquisto viene eroso dall’inflazione mentre dall’altro lato la classe dominante spinge sempre di più affinché siano adottate politiche economiche funzionali a contrarre il costo del lavoro nonché ad allungare la giornata lavorativa e i ritmi di sfruttamento. Proprio per contenere l’avanzare dell’inflazione la Banca centrale europea, pur in presenza di una congiuntura recessiva, non è assolutamente propensa ad abbassare, almeno in questa fase, il tasso di sconto tanto che negli ultimi giorni le borse hanno registrato delle pesanti cadute negli indici azionari. Soltanto nella prima settimana del mese di settembre le piazze borsistiche europee hanno bruciato miliardi di euro di capitalizzazione, tanto che da più parti s’invoca un abbassamento dei tassi d’interesse da parte della banca centrale.

Ovviamente stessa situazione nelle altre principali piazze finanziarie mondiali, dove per es. negli Stati Uniti gli indici della borsa di New York ha fatto registrare pesantissime perdite anche in virtù della diffusione dei dati negativi dell’economia reale. Proprio in questi ultimi giorni giunge dagli Stati Uniti la notizia che il governo americano ha approntato il più grande salvataggio pubblico nella storia di quel paese, e di conseguenza di tutta la storia del moderno capitalismo. Il governo di Washington ha di fatto nazionalizzato i colossi bancari Fanni Mae e Freddi Mac, che di fatto controllano oltre la metà dei mutui immobiliari degli Stati Uniti. Secondo lo stesso ministro del Tesoro statunitense Paulson le perdite ufficiali dei due collossi finanziari ammonterebbe a soli 14 miliardi di dollari, mentre la somma dei mutui gestiti da Fanni Mae e Freddi Mac ammonta all’astronomica cifra di 5200 miliardi di dollari, che rappresenta il 58% dell’intero debito pubblico statunitense. Con il salvataggio di questi due colossi lo stato americano si è di fatto accollato l’onere di una cifra mostruosa che fa impallidire le cifre utilizzate in passato in operazioni simili.

Si rende sempre più evidente che lo scoppio della bolla dei mutui subprime ha di fatto chiuso una fase storica nella gestione della crisi strutturale di questo ciclo d’accumulazione. Se per anni i meccanismi di accumulazione del capitale su scala internazionale hanno imposto politiche economiche in cui l’intervento dello stato nell’economica fosse limitato soltanto ad alcune funzioni di regolamentazione, oggi la crisi impone un ritorno in grande stile dell’intervento statale. Questa crisi ci sta dicendo che sono finite le politiche neoliberiste e si è aperta una nuova fase in cui sarà sempre più centrale la funzione economica giocata dallo stato.

Questo però non significa che stiamo per assistere ad un ritorno delle vecchie politiche keynesiane, di sostegno alla domanda aggregata e con una spiccata propensione alla redistribuzione del reddito, ma l’intervento dello stato nell’economia sarà funzionale alla socializzazione dei debiti delle imprese e laddove e possibile all’esclusiva privatizzazione dei profitti. La vicenda dell’Alitalia in tal senso è veramente illuminate. Non è proprio un caso che con l’avanzare della crisi e del ritorno dell’intervento dello stato nell’economia avanzino contestualmente le spinte verso il ricomporsi dei fronti imperialistici. La guerra in Georgia, dello scorso mese di agosto, segna il ritorno sulla scena di una vecchia potenza come la Russia, ed è proprio tale ritorno che deve far comprendere al proletariato internazionale che il capitalismo sta marciando pericolosamente verso il baratro della guerra imperialista. Alle sparute avanguardie rivoluzionario il compito di rilanciare la necessità di ricostruire il partito internazionale del proletariato, lo strumento politico capace di guidare il moderno proletariato nell’immane sforzo di abbattere il sistema capitalistico e costruire una società senza sfruttati e sfruttatori.

lp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.