Ossezia del sud, Georgia e dintorni

La crisi caucasica è il nervo scoperto del processo di ricomposizione imperialistico mondiale

È dal crollo dell'Unione sovietica che si è aperta la crisi nella regione caucasica.

Come tutti i nazionalismi, anche quello dell'Ossezia rientra nel gioco imperialistico che la crisi internazionale rende sempre più duro. I motivi che hanno indotto la Georgia ad attaccare la piccola regione autonoma del Caucaso e quelli che hanno spinto la Russia a impiegare l'esercito a favore degli indipendentisti osseti e abkazi contro il governo di Tblisi, vanno ben al di là dei fatti contingenti che la cronaca regionale ci racconta.

Innanzitutto la questione Ossezia riguarda lo scontro tra Russia e Georgia. La prima non può tollerare l'avvicinamento del governo di Saakashvili agli stati Uniti, né tanto meno il suo dichiarato desiderio di entrare a far parte della Nato quale pedina di Washington nell'area dell'ex impero sovietico. Ciò comporterebbe la costituzione, con l'Ukraina, di un fronte anti russo ai confini centro - meridionali. La seconda, la Georgia, con il recente atto di forza, voleva accelerare i tempi della sua “occidentalizzazione” invocando esplicitamente l'intervento degli Usa. Così facendo sperava di chiudere a suo favore la pratica Ossezia, di mettere di fronte al fatto compiuto la nemica Russia e di guadagnare sul campo i galloni di futura testa di ponte degli interessi occidentali nel Caucaso, con tutti i vantaggi politici ed economici che il nuovo status le conferirebbe. Nello specifico, lo scontro con l'Ossezia del sud avrebbe dovuto consolidare gli interessi Usa che hanno nell'alleata Georgia diSaakshvili, l'unico accesso al controllo e al trasporto delle ricchezze energetiche del Caspio baipassando l'attuale controllo russo.

Proprio per questo motivo, lo scontro tra la Russia e la Georgia (Usa) ha come epicentro la necessità di controllare, da parte di entrambi, i paesi che sono prossimi o si affacciano sulla sponda ovest del Mar Nero (Ossezia del nord e Abkhazia) in quanto area di contorno al passaggio di futuri oleodotti e gasdotti che dal Caspio e dalla Siberia dovrebbero portare le materie prime energetiche in Europa e le cui traiettorie geografiche impongono l'esclusione di qualsiasi forma di interferenza da parte della concorrenza. La Russia ha intenzione di costruire, con ingenti investimenti, un gasdotto (South Stream) che dal Caspio, attraverso il Mar Nero, dovrebbe portare gas in Europa con due terminali, uno nella zona meridionale (Grecia, Kosovo o Puglie, l'altra più a nord verso l' Austria. Ma la criticità del progetto risiede proprio nel controllo dell'area che va dalla sponda ovest del Mar Caspio a quella est del Mar Nero, interessando le regioni che vanno dal Daghestan all'Abkhazia passando per la Cecenia e le due Ossezie. Il progetto prevede persino che un piccolo tratto del gasdotto, quello che va da Vladikvaz (Ossezia del Nord) alla periferia di Ckhinvali, passi per tutto il territorio dell'Ossezia del sud per poi dirigersi verso i porti russi del Mar Nero. Per contro gli Usa hanno già realizzato il Btc (Baku-Tblisi-Ceyan) che ha nella Georgia l'unico passaggio possibile. Per l'accoppiata Putin-Medvedev le strade del petrolio e del gas siberiani non solo rappresentano una colossale fonte di reddito ma, contemporaneamente, sono l'irrinunciabile premessa della ripresa e del consolidamento imperialistici della Russia. L'ambizioso progetto, peraltro dichiarato e reso pubblico in più di una occasione, è articolato in tre punti.

  1. Trasformare entro il 2020 la Federazione russa in Unione russa, annettendo tutte quelle realtà nazionali caucasiche e non, che un tempo facevano parte dell'impero sovietico, evitare le intrusioni americane attraverso l'espansione della Nato verso l'est europeo, impedire alleanze politiche con i paesi caucasici e centrasiatici.
  2. Creare con l'Iran, Turkmenistan, Kazakistan e Libia una sorta di Opec del gas in cui la Russia giocherebbe un ruolo egemone sia da un punto di vista economico che politico, accrescendo il suo peso imperialistico di primo fornitore mondiale di materie prime energetiche.
  3. A coronamento dell'operazione si colloca il tentativo di trasformare il rublo nella divisa energetica mondiale a sostituzione del dollaro.

Ma una delle condizioni da soddisfare perchè i progetti abbiano delle concrete possibilità di andare in porto è che tutta l'area ineressata sia sotto il ferreo controllo di Mosca. Non a caso, immediatamente archiviata la breve, ma violenta fase bellica, il governo russo ha ratificato l'indipendenza dalla Georgia dell'Ossezia del Sud e dell'Abkazia, chiedendo e ottenendo la possibilità di costruire una base militare in territorio osseto. Ha incassato la solidarietà cinese e delle repubbliche centrasiatiche.

Ed è su questi problemi strategici che lo scontro cessa di essere regionale per assumere le dimensioni di un conflitto inter imperialistico i cui terminali sono la Russia e gli stati Uniti, le loro aspirazioni di egemonia nell'area, premendo sugli alleati, reprimendo gli avversari, inscenando aggressioni e reazioni militari all'unico scopo di creare le migliori condizioni al soddisfacimento dei rispettivi interessi. Non per niente l'azione militare georgiana ha avuto l'avallo americano. C'è chi sostiene che l'operazione militare del governo georgiano sia partita con decisione autonoma. Improbabile. Va ricordato come il governo Usa abbia trasportato con i propri aerei un contingente militare di due mila soldati georgiani dall'Afganistan direttamente nell'Ossezia del sud, e che il suddito Saakashvili non si sarebbe mai avventurato in una simile impresa senza aver concordato con Washington i contorni e le conseguenze dell'operazione, così come la reazione russa sia stata immediata, lungamente programmata, violenta quanto isterica.

Che Saakashvili sia rimasto deluso dalla debole risposta di Washington non fa testo. All'imperialismo americano era sufficiente creare in zona una situazione di crisi per disturbare i progeti russi e per facilitare l'installazione del suo scudo spaziale in Polonia, di acelerare l'ingresso della Georgia e dell' Ucraina nei ranghi della Nato, portando a compimento la chiusura del primo accerchiameno nei confronti della Russia.

In ultima istanza le tragiche vicende della crisi osseto-georgiana confermano che:

  1. Nell'epoca dell'imperialismo qualsiasi progetto nazionalistico, vero o presunto, spontaneo o artatamente provocato, sotto qualsiasi latitudine politica di interesse strategico si sviluppi, finisce per essere fagocitato all'interno dello scontro inter-imperialistico senza alcuna possibilità di esercitare un ruolo autonomo che non sia quello di fungere da strumento di perseguimento degli interessi delle borghesie locali e del fronte imperialistico di riferimento.
  2. La devastante crisi economica che attraversa il mondo capitalistico esaspera la concorrenza e la conflittualità su tutti i mercati internazionali, da quello finanziario a quello delle materie prime strategiche, senza esclusione di colpi.
  3. In un simile quadro i margini di composizione delle cosiddette crisi regionali sono ridotti a zero e ogni contenzioso si “risolve” sul terreno della forza. Le guerre sono diventate, più che mai, lo strumento che l'imperialismo usa nel tentativo di risolvere i suoi problemi imponendo bagni di sangue a quei proletari che ne sono coinvolti.

In questa fase storica le contorsioni del capitale non possono che attaccare sempre di più le condizioni di vita del proletariato, non possono che creare miseria e fame per centinaia di milioni di uomini, quando non vengono schiacciati dai cingoli dei carri armati. Le devastazioni belliche, là dove sono in gioco gli interessi funzionali alla sopravvivenza del capitale, rappresentano la condizione necessaria per il mantenimento di una forma economica basata sul profitto e lo sfruttamento.

Le vicende della piccola Ossezia del sud, della Georgia, come di tutta la crisi caucasica, sono la tragica rappresentazione di questo barbarico mondo dal quale non si esce se non con una forte ripresa della lotta di classe.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.