Uno tsunami sociale si abbatte sulla scuola

Le “riforme” espressione della crisi del capitale

Forse è proprio vero che l'unica realtà ammessa è quella - falsa - che ci viene propinata dalle televisioni, tanto che nessuno si stupisce più se scadenti spettacoli televisivi, dove tutto è preordinato, vengono chiamati “reality”. Se è così, perché non credere allora anche alle dichiarazioni della ministra Gelmini, quando, poco prima dell'inizio dell'anno scolastico, annunciando misure volte a scardinare il sistema dell'istruzione, ha candidamente dichiarato che “faremo una scuola migliore con meno soldi”? Forse, crede di essere la fatina buona, fatto sta che solo nelle favole o nelle truffe ben congegnate accadono simili meraviglie. Infatti, la realtà è ben diversa.

I provvedimenti sulla scuola, benché si inseriscano nel solco tracciato dai precedenti governi - nessuno escluso - costituiscono un salto di qualità, sia per intensità che per estensione.

Naturalmente, questo attacco “termonucleare” contro la scuola - che per comodità chiamiamo pubblica - e, in primo luogo, contro le sue componenti proletarie e semi-proletarie, è stato preparato da una massiccia campagna di disinformazione tesa a presentare l'istituzione scolastica sull'orlo del precipizio per le spese eccessive in stipendi e per la massiccia presenza di fannulloni - magari anche un po' pedofili - che pullulerebbero tra i banchi.

Con sapiente regia, nemmeno tanto tra le righe si dà ad intendere che se viene ridimensionata la spesa per l'istruzione, ci sarebbero più soldi non solo per una scuola migliore, ma anche per i lavoratori “veri” e le spese sociali.

Fedeli al motto che una bugia ripetuta mille volte diventa una verità, branchi di giornalisti servi hanno creato un clima tale per cui non è raro sentire tra la famigerata “gente” commenti positivi sull'operato del governo e sulla sunnominata fatina “lombardo-calabra”.

Niente di strano: è normale che in democrazia borghese la cosiddetta opinione pubblica non abbia nessuna idea dell'argomento su cui dovrebbe esprimere la propria opinione e, difatti, alla base dell'indirizzo pedagogico della Gelmini non c'è alcun intento educativo, ma solo la logica brutale di tagliare quanto più è possibile, per favorire la privatizzazione della scuola e, quindi, la schiera di avvoltoi che si preparano a banchettare a nostre spese, cioè del proletariato e, in genere, degli strati sociali inferiori.

Al di là dei provvedimenti più folcloristici (si fa per dire), come il cinque in condotta e il grembiulino, l'imposizione, per esempio, della maestra unica, oltre a costituire un'intollerabile regressione educativa, comporterà la soppressione di migliaia e migliaia di posti di lavoro e, quindi, la messa in discussione (o la cancellazione pura e semplice) del tempo pieno con i conseguenti gravissimi problemi per quei genitori che, lavorando, non sapranno dove mettere i bambini al pomeriggio.

Ma i tagli, come uno tsunami, si abbatteranno su ogni ordine e grado, dalle scuole per l'infanzia alle superiori, non esclusi gli insegnanti di sostegno all'handicap (che canagliata!), le piccole scuole (soprattutto di montagna, ma non solo), le mense scolastiche ecc. In breve, da qui a tre anni dovranno sparire circa 160.000 posti - docenti e non docenti - e le classi potranno gonfiarsi fino a 35 alunni: questa sarebbe la scuola che promuove l'impegno e il lo studio! Non ci vuole un genio per capire che con 30-35 alunni per classe non si può parlare di insegnamento-appren-dimento, ma solo di burocratica assegnazione dei voti per stare in regola con la legge: insomma, un “votificio”, con tanti saluti a quei ragazzi che hanno un qualche genere di difficoltà. O, meglio, per gli studenti proletari (per lo più), perché quelli borghesi hanno certamente più mezzi cultural-finanziari per superare le difficoltà suddette.

Per gli altri, forse si ritornerà al vecchio doposcuola, cioè la possibile e/o probabile versione del tempo pieno e prolungato in stile Gelmini, magari gestito da cooperative istituite appositamente, istituzioni religiose (in prima fila!) e simili, che ingaggeranno insegnanti-sorveglianti pagati una miseria, pescati nel gran mare della precarietà. Senza addentrarci nel lungo elenco delle infamie (alcune delle quali interessano tutti gli statali), non si può tacere dello sconvolgi-mento del contratto nazionale a tutto favore dell'amministrazione statale, della restituzione di discreti poteri ai presidi - anche e non da ultimo sulla scelta del personale, le “carriere”, lo stipendio - dell'ulteriore aziendaliz-zazione della scuola, con la trasformazione degli istituti scolastici in Fondazioni aperte ai privati e amministrate, più di adesso, con criteri per l'appunto aziendalistici. Che poi si trovino veramente industriali e compagnia cantante disposti a investire nelle scuole, è un altro discorso, ma l'importante è far passare il principio...

Se questo è il panorama - la cui asprezza è proporzionale alla durezza della crisi complessiva del capitale - qual è la reazione delle maggiori forze sindacali? Beh, chiamarla inadeguata non si è nemmeno a metà strada.

Data la gravità dell'attacco - per altro in linea con ciò che sta avvenendo in altre parti del mondo - parecchi si aspettavano o si aspettano, se non le barricate, al almeno la voce grossa, almeno la minaccia di qualche scioperetto.

Invece,, tranne le CGIL, ma per motivi particolari, niente, zero. Tutti, compresi la CGIL, nelle assemblee sindacali, pur fornendo ampia documentazione sulla macelleria sociale in corso, si affannano a contenere, smorzare, demoralizzare i lavoratori: “non dobbiamo fare passi falsi, abbiamo l'opinione pubblica contro” e via dicendo. Insomma, il solito.

Ora, è vero che la categoria (o, meglio, tutta la classe) è demoralizzata e in gran parte rassegnata, ma responsabili di questo stato d'animo sono anche e non da ultimo i confederali, coi loro scioperi farsa che, alla fine, danneggiano solo chi li fa.

Non ci si può dunque meravigliare se regnano lo scoraggiamento e una rabbia sterile, perché non sa trovare sbocchi adeguati ossia il rilancio della lotta di classe. Ma in questo deserto, è apparso qualche segno di vita: le iniziative dal basso spuntate da un capo all'altro della penisola: occupa-zioni di scuola a cui partecipano genitori e bambini - in primo luogo a Roma - manifestazioni autorganizzate, docenti che si riuniscono al di fuori delle normali assemblee sindacali per discutere il “che fare?”, ecc.

Naturalmente, i contenuti politici sono per lo più confusi, marcati da timidezza e democraticismo; altret-tanto ovviamente, al momento non è possibile prevedere se e quali sviluppi avrà questo movimento molto frastagliato, anche perché, com'era prevedibile, cominciano ad arrivare le intimidazioni o peggio da parte degli organi repressivi dello stato.

Intanto, però, le iniziative ci sono e confermano, se mai ce ne fosse bisogno, che quando i lavoratori vogliono far davvero sentire le propria voce, lo devono fare dal basso, fuori - se non decisamente contro - sindacati grandi e piccoli. Infatti, gli stessi sindacatini “di base” sono stati colti alla sprovvista e lo sciopero del 17 ottobre - indetto il 15 luglio! - è una pura coincidenza. Per quanto ci riguarda, siamo e saremo al nostro posto: nelle scuole, nelle piazze non manchiamo né mancheremo di far sentire la nostra voce, di dare un attivo contributo alla lotta ponendo sempre la prospettiva irrinunciabile del superamento di questo canagliesco sistema sociale, incompatibile, in fin dei conti, con uno studio, un'educa-zione, una ricerca disinteressate.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.