Brunetta ha deciso: anche i lavoratori statali devono pagare la crisi

Tra qualche mese, grazie al decreto legislativo di attuazione della riforma della pubblica amministrazione, in Italia assisteremo ad una “rivoluzione copernicana” (1). Questo almeno è quanto ha annunciato il ministro della Pubblica amministrazione e l’innovazione Renato Brunetta. Secondo il ministro la riforma sarà

“uno strumento di felicità per i cittadini-utenti che potranno finalmente liberarsi della palla al piede di una burocrazia che non funziona”

una riforma che

“...riguarda lo stato, la sua capacità di funzionare, produrre risultati in termini di qualità in tutti i suoi ambiti, dalla scuola alla giustizia, dalla sanità all’università, dagli uffici comunali alle agenzie di questo o quel ministero”.

Una riforma fatta per la felicità di tutti, anche di noi proletari, non dovremmo fare altro allora che ringraziare il signor ministro. La realtà però è tutta altra cosa, le motivazioni annunciate da Brunetta sono semplicemente false, l’ennesimo inganno; una copertura ideologica che deve nascondere le reali finalità della riforma. Per rendere evidente questo basterebbe una semplice riflessione: se effettivamente si volessero migliorare i servizi che lo stato offre ai cittadini come si spiegherebbero i tagli a scuola, università, sanità ed enti locali?

Perché quindi questa riforma? In realtà un po’ ce lo spiega lo stesso Brunetta quando, riferendosi alla “produttività” della pubblica amministrazione, afferma:

“...un settore protetto - e dunque non esposto direttamente agli effetti della recessione - che produce servizi e che vale più o meno quanto vale l’industria in senso stretto: il 15% del PIL... il margine di produttività che può essere recuperato è il 40-50%.”

Insomma, si tratta semplicemente di adattare anche questo settore alla fase di crisi che il capitalismo sta vivendo. Bisogna risparmiare, tagliare le risorse destinate ai pubblici servizi per sostenere l’intervento pubblico a salvaguardia dei profitti dei padroni. I servizi semmai peggioreranno, altro che aumento della qualità. Per ottenere questo risparmio verranno imposti rigidi vincoli di spesa agli enti pubblici, in particolare per quanto riguarda la gestione dei lavoratori. Ovviamente il gioco è sempre lo stesso: scaricare sui lavoratori i costi della crisi.

Entriamo quindi nel merito dei provvedimenti contenuti nel decreto.

Verrà istituita un’autority che svolgerà una funzione di controllo e valutazione delle prestazione dei dipendenti statali. Sulla base di questa valutazione ogni anno emetterà una graduatoria delle singole amministrazioni definendo tre livelli di “merito” in base ai quali la contrattazione nazionale ripartirà le risorse a disposizione per le singole strutture.

Non solo, dopo questa prima selezione ne avverrà una seconda, a livello locale. Sulla scia degli ultimi contratti stipulati anche per gli altri settori e in sintonia con quanto deciso dagli accordi del 22 gennaio (2), il contratto nazionale (di durata adesso triennale) assume una importanza quasi secondaria con un maggiore peso alla contrattazione locale (integrativa) e ai premi di produzione (al “merito”).

Partiamo proprio da questo ultimo aspetto. I dirigenti locali valuteranno l’operato dei lavoratori per attribuire poi i premi accessori. Solo il 25% dei lavoratori riceverà pienamente il trattamento accessorio legato alla performance individuale, il 50% dei lavoratori ne riceverà la metà di quello ottenuto dai colleghi più “meritevoli” e il restate 25% dei lavoratori non riceverà nessun trattamento accessorio. Un semplice modo per dividere ulteriormente i lavoratori, metterli in competizione tra loro e soprattutto per risparmiare un mare di denaro. Il tutto con la copertura ideologica del “merito” e della “produttività”. Supponiamo per esempio che tutti siano “meritevoli” e “produttivi” che senso avrebbe la diversificazione imposta dalla legge? Nessuno ovviamente...

Per quanto riguarda la contrattazione integrativa, questa va adeguata ai nuovi criteri che entreranno in vigore dal 1 gennaio 2011. Le risorse a disposizione saranno vincolate alla programmazione annuale. Se inoltre il programma annuale prevede una riorganizzazione delle attività - con tanto di tagli al personale - associata ad un risparmio sul bilancio, fino al 30% di questo risparmio verrà destinato per premiare il “merito” (grazie tanto...e i posti di lavoro tagliati?!).

La svalorizzazione del contratto nazionale si palesa in modo ancora più evidente attraverso l’applicazione del primato della legge sulla contrattazione. In pratica, non rientreranno più nel contratto materie come: gestione delle risorse umane, organizzazione del lavoro, valutazione del personale, quota salario legata alla produttività, progressione professionale, disciplina, mobilità all’interno degli uffici. Tutte queste materie non saranno disciplinate dal contratto ma rientreranno tra i poteri dirigenziali. Insomma, lavoratori più divisi, più “produttivi” (ossia più sfruttati) e più ricattabili. Inoltre, in caso di mancato contratto, o di non accordo sulla contrattazione integrativa, la stessa dirigenza potrà erogare risorse e aumenti (una volta sentiti i sindacati più “rappresentativi”...).

Come si diceva, la finalità reale della riforma è quella di risparmiare e ovviamente di far pesare questo risparmio sui lavoratori. Verranno quindi imposti dei vincoli di spesa, la corte dei conti vigilerà sul rispetto di questi vincoli, se superati le clausole del contratto stipulato vengono annullate e sostituite attraverso una sessione negoziale successiva.

Questo è il grosso della riforma, poi ci sono i provvedimenti per così dire accessori, che puntano l’attenzione sul controllo dei lavoratori, incentrati sulla ricattabilità e la repressione. A norma, il licenziamento - oltre che per la presentazione di falsi certificati medici (perseguibile anche penalmente) - scatterà pure per: assenze ingiustificate, rifiuto di trasferimento, comportamenti giudicati aggressivi o offensivi, il rendimento valutato insufficiente. Un bel catalogo che può essere anche ampliato dalla contrattazione collettiva.

Insomma, tempi duri anche per i dipendenti statali. In realtà in questi anni anche questi sono stati già abbondantemente colpiti. Così come tutti i lavoratori dipendenti, per esempio, anche loro hanno subito la perdita del potere d’acquisto, la riforma delle pensioni, i tagli allo stato sociale, ecc., ecc. Così come anche questo settore non è stato certamente immune dall’ondata di contratti precari (anzi...). Ma, nonostante tutto, permane una fetta di lavoratori pubblici che riescono ancora a cavarsela benino, ossia che riescono più o meno tranquillamente a tirare avanti. Per i padroni questo oggi è inaccettabile...se sei un proletario e non fai una enorme fatica ad arrivare a fine mese, se non sei precario (in tutti i sensi), se non subisci ritmi di lavoro insopportabili, se la tua vita non è totalmente incerta allora sei un “protetto” e un “fannullone” e quindi devi pagare, pagare la loro crisi.

Come si diceva in apertura, il ministro Brunetta ha dichiarato che la riforma sarà “uno strumento di felicità”. In un certo senso questo è vero, felicità per chi l’ha voluta: la borghesia. Borghesi e proletari hanno interessi contrapposti e inconciliabili, se da un lato (quello dei lavoratori) la riforma significherà un inevitabile peggioramento delle condizioni dei dipendenti statali dall’altro lato essa servirà pienamente la volontà e gli interessi della borghesia.

Una borghesia felice, anche perché, purtroppo, questo ulteriore attacco alle condizioni proletarie sembra che passerà senza la benché minima opposizione dei lavoratori, che si perdono ancora troppo dietro i sindacati. Da sempre sosteniamo che i sindacati sono servili (sindacati confederali) e nel migliore dei casi inutili (quelli di base) e se non fosse così sicuramente hanno dimostrato di essere perdenti. Dietro loro in questi anni i lavoratori hanno sempre perso e si è perso di tutto... Anche in questo caso ce ne sarà per tutti i gusti: tra chi concerterà e magari firmerà intese, accordi e contratti, a chi farà la voce grossa (CGIL) fino a chi prometterà la lotta intransigente (sindacati di base). Ma in sostanza succederà quello che è successo fino ad adesso: la riforma passerà, i lavoratori vedranno peggiorare le proprie condizioni e la borghesia se la ride. Di lotte vere nemmeno l’ombra (ma quelle spettano ai lavoratori !). Come ci piace spesso ricordare: chi lotta può anche perdere, chi non lotta ha già perso, chi fa finta di lottare...è un sindacalista.

NZ

(1) I vergoletteti sono tratti da una intervista rilasciata da Brunetta al Sole 24Ore.

(2) Vedi in Battaglia Comunista numero 2 anno 2009.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.