Elezioni in Afghanistan

Si è conclusa la tornata elettorale tra attentati, intimidazioni e brogli. Il tutto sotto la ferrea morsa militare dell'imperialismo americano

Tutto si è svolto secondo copione. Nella rappresentazione mediatica delle elezioni, fortemente volute e sostenute dagli Usa, che i Taliban hanno cercato con la forza di boicottare, in parte riuscendovi nelle province del sud, l'esercito americano-Nato si è presentato sullo scenario afgano come il garante della consultazione democratica contro il terrorismo islamico. Sembrerebbe paradossale ma la nuova amministrazione Obama, in scia a quella precedente che la “democrazia” la voleva esportare con l'uso della forza, dichiara di difenderla con gli stessi mezzi, contro lo stesso obiettivo, il terrorismo di al Qaeda e dei suoi seguaci.

Alle urne si è presentato il 40-50% degli elettori contro il 70% della precedente consultazione del 2004. Karzai doveva vincere, al primo turno o al ballottaggio, non importa, e ha vinto. È sempre stato uomo americano sin dai tempi del vecchio progetto Unocal. Chiunque avesse vinto tra Karzai e il suo ex ministro degli esteri Abdullah, anche se il primo godeva delle grazie e delle pressioni di Washington, nulla si sarebbe modificato sia sullo scenario interno , sia su quello della collocazione internazionale dell'Afghanistan. Entrambi i concorrenti che si accusavano reciprocamente di brogli e pressioni presso l'elettorato, erano destinati a fare i conti con la presenza militare americana nel paese. In realtà di paradossale non c'è nulla se non che le dichiarazioni ufficiali fanno a pugni con la pratica di guerra che attraversa l'Afghanistan da decenni a questa parte. Sotto l'amministrazione Bush la lotta al terrorismo è servita per entrare nel paese, sotto quella di Obama serve per rimanerci a completare l'opera, con tanto di aumento di truppe e di stanziamenti governativi.

Il rinnovato interesse dell'imperialismo americano verso il paese centro asiatico, sulle sue elezioni, sull'appoggio a chiunque dei due contendenti vinca, non ha nulla a che vedere con la guerra al terrorismo, se non per la parte che riguarda la necessità di liberarsi di un vecchio alleato che oggi non rientra più nei piani strategici di chi lo aveva, a suo tempo, armato, finanziato e politicamente inventato. A parte il vecchio progetto “Unocal” di far passare con un oleodotto che dal Kazakistan portasse in Pakistan, via Afghanistan, il pregiato oro nero, mai realizzato ma nemmeno accantonato definitivamente, il turbolento paese di Karzai continua ad essere al centro delle strategie energetiche americane. Da qui l'interesse ad avere a disposizione un Afghanistan pacificato, affidabile e politicamente allineato. Recentemente, il 17-07-2009 si è conclusa la trattativa tra gli Usa e il Turkmenistan per la costruzione di un gasdotto di 1500 chilometri che parte dalla località di Dualatabad e che arriva a Gwadar in Pakistan attraveso l'Afghanistan. Il progetto ha una serie di valenze tutte di rilevante importanza. La prima riguarda la necessità americana di rientrare nel gioco energetico centroasiatico a pieno titolo. Il Turkmenistan è il primo produttore di gas di tutta l'area e con piccoli, ma significativi, giacimenti anche di petrolio. La seconda è quella di sottrarre un importante partner all'ingombrante presenza russa nella zona, dopo che Mosca e Pechino hanno concluso importanti accordi petroliferi con il Kazakistan di Nazarbayef e hanno fatto di tutto per far chiudere le basi militari americane installate nell'area dopo i fatti dell11 settembre. La terza si riferisce ad una sorta di richiamo all'ordine del Pakistan che recentemente, ancora sotto l'amministrazione dell'ex alleato Musharraf, aveva concesso alla Cina ampi spazi di penetrazione economica nel Balucistan e l'ammodernamento proprio del porto di Gwadar.

Allargando lo scenario, lo sforzo imperialistico americano è quello di rispondere alle altrettanto imperialistiche strategie russe, sempre in termini energetici, che prevedono accordi tra la Russia e la Turchia, per il passaggio dell'oleodotto South Stream nelle acque territoriali di Ankara in cambio di un pedaggio da 630 milioni di $ e della possibilità, per le Turchia, di usufruire del petrolio trasportato a prezzi di favore.Non a caso il primo viaggio di Obama all'estero, dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, è stato in Turchia per assicurarsi il terminale per il progettato gasdotto Nabucco, nel solito porto di Ceyan, che dovrebbe contrastare il già avviato, in termini di progettualità, South Stream russo. Sempre non a caso, su probabile suggerimento di Obama, il 6 giugno 2009, il ministro degli esteri turco Davotoglu, ha fatto un viaggio di rappresentanza proprio in Afghanistan e Pakistan per creare le condizioni politiche di un asse geografico che unisca le sponde meridionali del Caspio al Meditterraneo turco passando per Kabul e Islamabad, sotto gli interessati auspici de Washington. Nel progetto Nabucco c'è anche la nuova strategia, tutta da delineare nei tempi, ma soprattutto nelle modalità, di trovare uno spazio anche per l'Iran con il doppio obiettivo di agganciare il secondo produttore di petrolio dell'area e di staccare il regime di Theran dall'influrnza russa, ridisegnando a proprio favore i confini della ricomposizione imperialistica in atto in una delle zone economicamente e strategicamente più importnti al mondo.

Ecco perchè le elezioni in Afghanistan, hanno avuto come cornice una intensa attività diplomatica, la rinforzata presenza militare americana, la lotta senza quartiere a qualunque perturbazione politica che in qualche modo potesse intralciare il nuovo percorso imperialistico di Obama. Nulla di nuovo sotto il sole se non i fisiologici cambiamenti di amministrazione, l'andatamento delle tattiche al “contingente” e al pregresso, ma la strategia rimane sempre la stessa, con le buone o con le cattive.

fd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.