No ai licenziamenti, no alla cassa integrazione!

Volantino per lo sciopero dei metalmeccanici, 9 ottobre 2009

La crisi del capitalismo non ci dà tregua; +400% di Cig ordinaria e +86% di quella straordinaria secondo gli ultimi dati...

E non gli basta ancora: fanno accordi separati sempre al ribasso e ovviamente sempre sulla nostra pelle con quelle vere e proprie escort di Cisl&Uil. Vogliono lo smantellamento del ccnl, cioè la possibilità di derogare da esso se l'azienda è in crisi o al contrario sta investendo (ossia sempre!), vogliono contratti triennali senza scioperi a sostegno del rinnovo, limiti al già formale ruolo delle rsu, aumenti legati alla produttività, calcolo “creativo”dell'inflazione in stile Tremonti ecc.

Ci prendono in giro? Forse, di sicuro però la crisi economica li incattivisce più di quanto non accade a noi che abbiamo smarrito ogni minimo istinto di classe.

I padroni affondano la lama come un coltello nel burro: prima licenziano gli immigrati e gli interinali - non rinnovando i contratti, grazie anche agli accordi firmati dal 1992 in poi da tutti i sindacati confederali - poi se non basta si passa alla Cig, vera e propria anticamera del licenziamento o direttamente a questo se i “conti” non tornano (sempre quelli del padrone è ovvio).

E per chi torna al lavoro o ne trova uno nuovo c’è la certezza di trovare condizioni salariali e normative peggiori secondo il vecchio adagio base della società capitalistica “il lavoro c'è a queste condizioni, se non ti va bene arrangiati”...

È indispensabile organizzare una risposta collettiva e di classe. Rassegnazione, paura e passività sono sentimenti che il padronato usa ed alimenta ad arte per la propria esclusiva convenienza.

Ci servono invece rabbia, orgoglio e disprezzo verso i padroni, il loro stato sempre pronto a difenderli con le sue leggi ed i politicanti e sindacalisti parolai.

Ci prendono anche in giro dicendoci che i morti sul lavoro sono in diminuzione: certo, se non si lavora... si muore di meno.

Qualche esempio di risposta c'è, la Innse su tutti; non farsi disperdere sul territorio con la promessa di 2 o 3 anni di salario “garantito” (se e come, da vedere...e comunque: dopo?) - sviluppare organismi/assemblee autonome sul territorio che prendano la direzione delle differenti lotte in corso attraverso delegati eletti e revocabili in ogni momento delle singole aziende in lotta (necessariamente perciò fuori dal controllo sindacale/istituzionale. E probabilmente contro...).

Assemblee che poi in funzione della forza dei numeri alle proprie spalle dovrebbero produrre richieste unificanti per la classe - blocco dei licenziamenti, rifiuto della Cigs ecc. - e le relative forme di lotta da adottare per ottenerle, p. es. blocchi stradali, occupazioni di impianti ecc.

È scontato per noi comunisti internazionalisti che non si debba rimanere legati alla propria fabbrica/prigione od alla “categoria”, ma la mobilitazione nelle forme sopra esposte va allargata nei modi ritenuti più idonei agli altri settori della nostra classe colpiti dalla crisi più devastante degli ultimi 80 anni; cioè scuola, servizi, proletariato immigrato ecc. La crisi la subiamo tutti, dobbiamo rispondere uniti contro le false divisioni di categoria, territorio e nazionalità come vogliono padroni, politici, e sindacalisti di mestiere.

Tutto ciò è indispensabile, ma non sufficiente: siamo convinti che senza la prospettiva di una società diversa e migliore, una società cioè basata sul soddisfacimento dei bisogni della maggioranza dell'umanità e non sul profitto di pochi, non sia possibile sostenere il peso delle battaglie che ci attendono. Pertanto chiamiamo i lavoratori più generosi a dotarsi dello strumento necessario a questo scopo, cioè ad organizzarsi nel loro partito di classe, comunista ed internazionalista.

W la lotta di classe!