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Home ›Di fisso, nel capitalismo, c'è solo lo sfruttamento
Il ministro Tremonti deve essere una persona molto volitiva, se così vogliamo chiamare chi non si dà troppa pena della coerenza e non si fa dunque scrupolo di dire esattamente il contrario di quello che sosteneva fino al giorno prima. Per esempio, il condono fiscale, un tempo bollato come l'anticamera del golpe alla sudamericana, è un ingrediente fondamentale della cucina tremontiana, tant'è vero che non manca mai nei menù dei governi berlusconiani. Ma se il condono, sotto forma di scudo fiscale, è accolto con entusiasmo da borghesi di ogni taglia e settore (non escluso, ovviamente, quello mafioso), l'ultima uscita di Tremonti ha suscitato un vespaio sia nel suo “alveare” di riferimento - la Confindustria - che tra alcuni suoi colleghi di governo.
È noto che il ministro dell'economia ha niente affermato che bisogna ritornare al posto fisso, rafforzando contemporaneamente altri “istituti” quali la pensione e la sanità pubbliche, unici elementi che, in una fase come questa, possono sostenere le basi etiche della società (famiglia in primo luogo). Ora, Berlusconi Superman, per non crearsi altri grattacapi, cioè uno scontro quanto mai inopportuno dentro al governo, si era affrettato a buttare lì senza troppa convinzione una dichiarazione di sostegno al suo compare, ma ormai il vespaio suddetto era stato stuzzicato e ha portato alla luce tensioni che, evidentemente, covavano dentro la compagine governativa. Infatti, come “un sol uomo”, la Marcegaglia, Sacconi e Brunetta hanno sparato a raffica contro la malpensata del ministro economico, rispedendo al mittente le sue considerazioni e sottolineando che il posto fisso è da considerarsi un reperto archeologico, che indietro non si torna. A dirla tutta, l'ineffabile Brunetta si è lanciato in una delle sue esilaranti (e feroci) fantasie, secondo la quale la precarietà è colpa dei “garantiti”, dell'egualitarismo degli anni '70 e degli immancabili fannulloni, ribadendo che il posto fisso, come lo straniero sulla linea del Piave, non passerà, anzi: precarietà, pardon, flessibilità per tutti! Il sistema - continua il trombettiere del padronato - non può permettersi i costi elevati che l'occupazione stabile generalizzata comporterebbe, per cui sgobbare, quando c'è da sgobbare, e tacere.
Viste le reazioni scontate da parte del padronato e la rissa scatenata dentro la banda Berlusconi - per ora sopita, sembra - c'è da chiedersi perché Tremonti se ne sia uscito con questa “sparata”, visto che è fin troppo facile imputargli il ruolo di primo piano da lui avuto nell'esasperazione della precarietà (legge 30/2003) e la responsabilità del forse più grande licenziamento di massa nella storia della repubblica: i precari della scuola. Scontri sotterranei - appunto - di potere dentro la maggioranza? Tentativo di accreditarsi come possibile alternativa anti-liberista e compassionevole in un eventuale dopo-Berlusconi? Forse. Oppure il timore che la disoccupazione esploda in faccia al governo? Non è detto che questo avvenga, ovvio, ma il rischio esiste e alcuni settori della borghesia, come Tremonti, potrebbero aver pensato di lanciare strumentalmente la parola del “lavorare tutti” per tentare di anestetizzare la rabbia sociale e pescare consensi in un mondo del lavoro salariato non solo arrabbiato, ma anche impaurito, disorientato e perciò facile all'adescamento elettoralesco da parte delle più torbide ideologie borghesi (tra cui il nazi-leghismo, i cui esponenti sono tra i più decisi sostenitori del “Giulio”).
Dunque, dato che il capitalismo, se vuole contrastare la crisi, non può rinunciare alla precarietà e all'intensificazione dello sfruttamento in tutte le forme possibili, si potrebbe pensare - lasciandosi andare un po' alla dietrologia - che dietro alla nuova immagine di Tremonti ci sia l'ipotesi di scambiare il posto fisso con l'abbassamento generalizzato dei salari (accompagnato, magari, da una maggiore facilità di licenziamento), così da ottenere in un colpo solo un doppio risultato: bagnare le polveri del malessere sociale e contenere la massa del salario erogata dai padroni. Ipotesi ardita? Può essere, naturalmente; in ogni caso, non sarebbe molto diversa da quella avanzata dalla FIOM - blocco dei licenziamenti in cambio della moderazione salariale - che sembra “estremista” solo perché CISL e UIL non fanno più nemmeno finta di stare dalla parte dei lavoratori (vedi l'articolo in questo numero del giornale).
Certo è che, stando così le cose, sebbene sia impossibile ipotizzare un ritorno puro e semplice alla “piena occupazione” degli anni del boom economico, a priori, non si può escludere nulla: in due secoli e passa di storia del capitalismo, abbiamo visto la borghesia, messa alle strette, tirare fuori dal suo cilindro “conigli” considerati fino a un secondo prima i più improbabili, pur di rafforzare il proprio dominio di classe. Il punto, allora, è se e quando il proletariato farà volare per aria le carte dei sordidi giochi interborghesi...
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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