Ieri e oggi. I comunisti di fronte alle lotte di difesa dei lavoratori

«Una direttiva unica deve presiedere alla propaganda e all'azione dei comunisti in materia di crisi economica e disoccupazione.
La critica più aspra deve essere opposta all'indirizzo sancito in proposito dagli organi confederali, e dev'essere denunziata la loro acquiescenza alle imposizioni dei capitalisti. La chiusura delle aziende, l'insufficienza delle provvidenze governative in materia di sussidi, l'illusione di poter ottenere più efficaci interventi dello Stato per via parlamentare e collaborazionista, l'arrendevolezza dei dirigenti confederali dinnanzi all'offensiva dei padroni, sono tutti elementi che devono essere messi da noi nella loro vera luce, spiegando che, secondo la nostra tattica rivoluzionaria, una soluzione di questi problemi esiste solo nella conquista del potere da parte del proletariato; che la evidente insolubilità di essi deve essere utilizzata per condurre appunto le masse a questa convinzione ed intensificare tra esse la preparazione rivoluzionaria, mentre i riformisti, per evitare ciò, illudono i lavoratori affermando che esista la possibilità di migliorare le difficoltà della crisi presente nell'ambito del regime attuale.
È importante mostrare che i dirigenti confederali, con tale politica, mentre nulla realizzano di concretamente utile alle masse, pongono la loro tesi collaborazionista e pacifista non solo al disopra della rivoluzione, ma anche contro gli interessi immediati dei lavoratori, rinunziando, per non turbare le loro manovre e intese politiche con gruppi borghesi, all'impiego della forza sindacale del proletariato per la battaglia contro l'offensiva padronale, che potrebbe venire ingaggiata quando si fosse seriamente decisi a spingerla a fondo, sul terreno politico. Ciò sarà possibile solo sloggiando i disfattisti dalla dirigenza delle masse proletarie organizzate (...).
La questione dei disoccupati è, dal nostro punto di vista, una questione squisitamente politica. Si deve svolgere la critica dei palliativi che propongono i riformisti. Lo Stato borghese cui essi si rivolgono non può provvedere alla tragica situazione delle folle dei senza lavoro che con misure inefficaci e aventi il carattere di una grama beneficenza. Dal punto di vista di classe, una sola soluzione può essere agitata: il principio della sostituzione del sussidio con la corresponsione dell'intero salario al disoccupato in ragione del numero dei membri della sua famiglia. Questo principio, stadio elementare verso l'economia socialista, mentre è incompatibile con l'esistenza del potere borghese, sarebbe una realizzazione immediata del potere proletario, che intaccando a fondo i privilegi del capitale, stabilirebbe l'eliminazione di qualunque disparità di trattamento tra i lavoratori, sulla base dell'obbligo sociale del lavoro».

Così il Comitato Esecutivo del P.C.d’Italia, nel 1921, indicava ai proletari la necessità di una unione fra lotte economiche di difesa e lotta politica per l’abolizione della schiavitù salariale. Questo quando il sindacato - pur sempre come organo della sola contrattazione del prezzo della forza-lavoro e delle condizioni della sua vendita - ancora poteva avere spazi di manovra.

Ma il regime borghese e il suo sistema economico non sono riformabili; le organizzazioni sindacali - nel pieno sviluppo storico del capitalismo - sono passate al servizio della conservazione del capitalismo stesso. Tutti (capitalisti e sindacalisti, politici di destra e di sinistra) congiungono indissolubilmente lavoro e capitale. La cosiddetta “lotta sindacale” si è trasformata in una farsa; anziché una difesa immediata delle condizioni di vita del proletariato, il sindacato è diventato la quinta colonna del sistema di produzione capitalistico. E ciò era inevitabile di fronte al restringersi di possibili margini di contrattazione a seguito della crisi che rode il capitale e gli interessi imperialistici in gioco. Ritenere che oggi, in piena epoca imperialista, sia possibile, con un sindacato a cui si applichi l’etichetta “di classe”, negoziare concretamente una difesa degli interessi di classe, è una mistificazione e un tradimento. Soltanto una lotta generalizzata e radicalizzata potrà liberarci definitivamente dalle catene del capitalismo e dalla barbarie sociale; una lotta che veda i proletari non soltanto protagonisti delle loro azioni ma anche artefici di una propria organizzazione nella quale si inserisca una congiunzione inscindibile con quel programma, strategia e tattica per il comunismo, che soltanto il partito - nel quale si raccoglie la parte più cosciente del movimento di classe - è in grado di elaborare e diffondere.

Il primo obiettivo della nostra battaglia è più che mai il superamento dei vincoli, ideologici e politici, che la conservazione borghese ha stretto attorno alla classe operaia.