Il sogno dei padroni è un incubo per gli operai

Marchionne e la World class manifacturing

Della vicenda specifica di Pomigliano, ci occupiamo in un altro articolo; qui vogliamo fare alcune considerazioni, diciamo collaterali, nel senso comune che il termine ha assunto in riferimento alle operazioni militari. Così come i danni collaterali delle guerre dette umanitarie implicano necessariamente stragi tra i civili, allo stesso modo la “filosofia” che Marchionne vuole imporre al gruppo FIAT, via Pomigliano, ha dentro di sé “effetti collaterali” devastanti per la classe operaia e la forza lavoro in genere. È sufficiente confrontare la realtà con la propaganda per rendersene conto. Che dice la propaganda padronale? A questo proposito, è utile l'articolo (1) apparso sul Sole 24 ore on-line del 13 giugno di Franco Vergnano. Più che un articolo sembra uno spartito per fanfara, visto che non risparmia elogi sperticati a Marchionne e alla sua “concezione del mondo” chiamata World class manifacturing (Wcm). Sintetizzando, gli operai dei siti industriali posti in regioni o stati diversi, devono farsi concorrenza tra di loro su chi produce di più a minor costo. Il tutto, dentro l'orizzonte concettuale del toyotismo, cioè della politica industriale applicata alla Toyota da circa quarant'anni. Si tratta, dice il giornalista del foglio confindustriale, di

un sistema basato sul coinvolgimento delle persone [… che ha consentito di raggiungere] livelli di qualità e di affidabilità più elevati, ma con costi minori [… perché è riuscito] a convogliare tutta l'intelligenza dei lavoratori, dall'ingegnere all'operaio, verso processi produttivi più efficienti.

Che il toyotismo, dal punto di vista del capitale, abbia avuto un certo successo, è indubbio, così come è certo che presuppone sottomissione totale della classe operaia, affinché siano raggiunti e mantenuti livelli di sfruttamento da record. L'operaio doveva (e deve) dare anima e corpo all'azienda - tant'è vero che, nonostante il lavoro a squadre, il salario è fortemente individualizzato - in cambio della garanzia del posto di lavoro, assicurato, per i dipendenti diretti Toyota, a vita. Infatti, questo “privilegio” non ha mai riguardato gli operai delle imprese subappaltatrici/dell'indotto, ultra flessibili e dai salari di gran lunga più bassi, ma fondamentali nella strategia dell'azienda.

La crisi ha però infranto anche il sogno (o l'incubo) Toyota. La precarietà ha fatto il suo ingresso in pompa magna: gli interinali raggiungono il 35-40% della forza lavoro diretta e, va da sé, sono i primi ad essere licenziati. Una parte crescente delle lavorazioni è trasferita all'esterno, secondo una catena di sub-sub-subappalto che occupa i “paria” della classe operaia: giapponesi già emigrati o figli di emigrati in Sudamerica ritornati nel paese d'origine, immigrati vietnamiti, cinesi, filippini senza “diritti”, con stipendi miserabili, Ma le condizioni della classe operaia “garantita” non sono poi un bengodi, visto che non è affatto esclusa dalla CCC21 (Costruzione della competitività del XXI secolo attraverso i costi), cioè la strategia aziendale che prevede, appunto,un abbassamento dei costi del 30%, ricavato dai tagli salariali e dall'incremento dei ritmi e dei carichi di lavoro. Lo sforzo psico-fisico cui è sottoposta la classe operaia alla Toyota è talmente intenso che i morti per stress da lavoro e i suicidi non sono una rarità. A titolo di esempio, la moglie di un operaio morto di “karoshi”, cioè di sfinimento, nel corso del processo che ha chiuso la causa intentata contro il management, poi vinta (caso rarissimo), ha raccontato che suo marito, nell'ultimo mese, aveva fatto 144 ore di straordinario gratuite.

Ma c'è un altro effetto collaterale - molto meno drammatico, se non per il profitto - del supersfruttamento, vale a dire il netto peggioramento della qualità del prodotto, che contraddice il mito della “qualità totale” toyotista e le fanfare padronali. Tra il 2000 e il 2005

più di cinque milioni di vetture Toyota sono state richiamate, vale a dire il 36% di tutte le vetture riconosciute difettose al mondo […]. E si constata anche un'accelerazione [del fenomeno] dato che si parla di 8-9 milioni di automobili richiamate nell'esercizio 2009-2010 (2).

Il fenomeno, cioè l'intensificazione all'estremo dello sfruttamento che inceppa di meccanismi del mercato, non è nuovo, né così paradossale come potrebbe sembrare a prima vista. Ma non è certo da questo che ci aspettiamo la fine del capitalismo: solo l'azione congiunta della classe e della sua avanguardia politica può farlo.

CB

(1) ilsole24ore.com

(2) Kamata Satoshi, autore di una documentata e pionieristica inchiesta sulla Toyota, citato da Martine Bulard nell'articolo La Toyota è sempre la «fabbrica della disperazione», in blog.mondediplo.net da cui sono tratte le notizie.