La spontaneità giovanile - 1962: Piazza Statuto

Torino, 1962, Piazza Statuto. A Torino, un imponente flusso migratorio - partito soprattutto dal Sud, ma anche dalle tante zone "sottosviluppate" del Nord - ha ingrossato e trasformato la classe operaia del capoluogo piemontese, accentuandone il carattere di città più operaia d'Italia. Nel giugno del 1962 è in corso il rinnovo dei contratti di alcune categorie di lavoratori, tra cui quella dei metalmeccanici. Per i giorni 7, 8 e 9 luglio è stato proclamato uno sciopero, ma la UIL e il SIDA - il sindacato aziendale della FIAT- siglano un accordo separato con la direzione della FIAT, col quale, in cambio di poche lire, non vengono toccati alcuni degli elementi più scottanti, tra cui ritmi e carichi di lavoro, la dura disciplina aziendale ecc. Insomma, il solito bidone. I due sindacati, forse resi spavaldi dal fatto che in FIAT avevano raccolto il 63% dei consensi nelle elezioni delle Commissioni Interne, pensano che questa ennesima fregatura passi senza colpo ferire, E invece no, Il sabato mattina, 7 luglio, lo sciopero prende corpo in un clima teso (picchetti, caccia e botte ai crumiri, ecc.); al pomeriggio cominciano a radunarsi sotto la sede della UIL, in piazza Statuto, centinaia di manifestanti, molti iscritti alla UIL, che fischiano, urlano contro il sindacato; due sindacalisti, riconosciuti in un bar, vengono picchiati e cominciano a volare sassi contro la sede del sindacato. Da qui prendono il via gli scontri e la successiva, dura, repressione. Le forze “di sinistra” condannano i “giovani teppisti” di piazza Statuto; anche i Quaderni Rossi, culla dell'operaismo, si uniscono al coro di condanna...

I "teppisti" di piazza Statuto hanno portato innanzi la causa dei lavoratori più di quanto non hanno fatto, in 17 anni, tutte le Confederazioni Sindacali messe insieme

Da Battaglia comunista n. 7 - luglio 1962

Ancora una volta l'iniziativa della piazza ha dato scacco matto alla politica manovriera e irresponsabile dei sindacalisti della C.G.I.L. e dei comunisti di Togliatti; ancora una volta si è avuta la dimostrazione che c'è qualcosa di nuovo e di mutato nel campo delle forze sociali in azione: si tratta di masse di giovanissimi che irrompono improvvise e violente .nel conflitto di classe nel momento più acuto del suo svolgimento e questa loro azione sfugge al controllo del partito che fino a ieri aveva dl fatto il dominio incontrastato delle piazze d'Italia. La tattica dell'azione di piazza, in cui le squadre d'azione del partito di Togliatti avevano dato prove sufficienti di prontezza, tempestività e soprattutto di capacità a dosare l'attacco come la difesa, si va dimostrando assolutamente incapace d'impedire che altre iniziative di lotta, con diverso indirizzo tattico, possano determinarsi a sinistra del loro schieramento per continuare la lotta stessa su di un piano più avanzato e spingere a fondo un'azione di classe certamente non prevista nel dispositivo tattico dello stato maggiore stalinista.

Piazza De Ferrari ieri, piazza Statuto oggi: due episodi che hanno visto, sì, il fervore e la tenacia a volte eroica delle giovani leve dolorosamente forgiate nel clima mostruoso del più moderno e spietato sfruttamento operaio della grande industria, ma anche l'opera subdola e avvilente dei soliti sindacalisti C.G.I.L. e funzionari del partito, fattisi d'improvviso inascoltati predicatori di pace essi, che poco prima avevano acceso la miccia all'incendio.

Il fatto estremamente importante, dunque, è che masse di giovani operai, senza alcuna seria tradizione politica e al di fuori d'una vera e propria disciplina di partito, obbediscano ad una spinta istintiva che sale dalla sofferenza d'una insoluta e insolubile condizione sociale ed entrino nella mischia ili classe spavaldamente, disposti a tutto, dovunque ciò è reso loro possibile. Se tutto questo per noi è sintomo di una situazione nuova, ricca di sviluppi di cui il partito rivoluzionario deve tener conto nella propria prospettiva di lavoro e di azione, per la stampa e per i parlamentari socialcomunisti si tratta unicamente di rigurgiti del sottofondo sociale, di elementi del sottoproletariato, in una parola di provocatori e di teppisti che vanno, in ogni caso, denunciati.

Si capisce quindi il loro affannarsi nello sforzo di dare un nome e un volto politico alla provocazione, e hanno finito per puntare il dito su scalmanati anarco-sindacalisti e sui comunisti internazionalisti, affiancandoli, si capisce, a gente notoriamente al soldo di Valletta [Vittorio Valletta, l'allora amministratore delegato e presidente della FIAT, ndr]. E' risaputo che il partito di Togliatti è maestro nell'arte di denunciare l'avversario per occultare le proprie azioni passibili di gravi responsabilità politiche oltre che penali come è già avvenuto per i fatti di Schio (1), subito dopo la liberazione; tentativo che il nostro partito poté smascherare a tempo. Si tratta d'un logoro espediente, ma non per questo meno infame.

Non sarà certo il timore d'essere tacciati da “provocatori” che impedirà ai comunisti internazionalisti di continuare nella politica di solidarietà fattiva, costante e tenace con gli operai, sindacati o no, e con la loro azione rivendicativa, lo vogliano o no Togliatti e i suoi tirapiedi. Niente e nessuno potranno impedire, anche con la violenza fisica o morale e con la bassa denuncia agli organi della polizia, che i comunisti internazionalisti facciano il loro dovere di combattenti di classe con la loro presenza fisica là dove gli operai si battono, ed essere loro di sprone e di guida se la tendenza al compromesso e alla capitolazione mirasse ad indebolire il fronte della solidarietà e della resistenza al padronato.

Spetta oggi più che mai ai comunisti internazionalisti ridare contenuto ed obiettivi di classe alle lotte del lavoro, e far sentire l'inanità [l'inutilità, ndr] delle lotte rivendicative se non sono inserite nel quadro delle lotte di tutto il proletariato; spetta ai comunisti internazionalisti tradurre tempestivamente in termini di politica di classe la spinta che proviene dalle lotte rivendicative delle masse operaie che il partito rivoluzionario e solo esso (in nessun caso la presunzione di autosufficienza del sindacato e degli organismi di fabbrica; in nessun caso lo stesso, immenso e per sua natura irrazionale e caotico, potenziale delle masse nato dalla spontaneità e affidato alle leggi della germinazione spontanea) può e deve saper convogliare sul piano unitario della lotta per raggiungere obiettivi che vanno oltre i limiti angusti e corporativi delle lotte parziali e contingenti delle masse operaie.

Perché questo avvenga, non basta dirlo a parole, ma occorre che i comunisti internazionalisti siano a fianco degli operai nel posto di lavoro, negli organismi di fabbrica e nel sindacato; occorre vivere la loro vita di lavoro, di sacrificio e di speranze; sentire come proprie le loro rivendicazioni e le loro lotte. Là dove sono gli operai con i loro problemi sempre insoluti; là dove gli operai entrano in conflitto con le forze del capitalismo che li sfrutta e con gli organi di repressione dello Stato che questa condizione di ineguaglianza e di sfruttamento protegge, lì è il posto del militante rivoluzionario, lì è il posto del partito quali che siano le difficoltà, i rischi e le conseguenze a cui andrà incontro.

Una simile politica di solidarietà e di diretto intervento nelle lotte operaie presuppone una presenza permanente e organica dei gruppi sindacali del partito nella fabbrica e nelle organizzazioni operaie di base, senza la quale l'iniziativa stessa rischierebbe di degenerare nell'avventurismo più negativo e infecondo.

Sono questi gli insegnamenti che ci provengono dai recenti fatti di Torino; se sapremo farne tesoro, dimostreremo d'essere concretamente sulla strada buona, quella che conduce al trionfo della causa del proletariato e del socialismo.

Cronaca breve di una manovra fallita e di un pesante sciopero “a rate” dei metallurgici torinesi

Da Battaglia comunista n. 7, luglio 1962

A coloro che seguono lo sviluppo politico del centro-sinistra non può sfuggire il carattere di manovra della UIL nel denunciare in anticipo il contratto dei metallurgici. Azione che ha messo in moto tutta questa vasta categoria di lavoratori che si dibatte, come tutte le altre categorie, da anni nelle strette maglie di uno sviluppo sempre più a carattere monopolistico di questo settore e di altri settori collegati. A Torino e provincia lo sciopero dì sabato 23 segna con lo sbloccamento della FIAT la punta massima di partecipazione dove la spontaneità delle masse si è espressa vivacemente dimostrando tutta la profondità del malessere contrattuale della categoria, e uno scontento proletario che il serrate della FIAT e di altre aziende minori ha appena smorzato nelle due giornate di martedì e mercoledì.

Torino pulsa di energie compresse dal malcontento e dallo sfruttamento intensivo compensato da salari insufficienti a tenere testa al costo della vita in continua ascesa. Lo sciopero di sabato 7 luglio inizia la quarta fase di questa agitazione a rate e segna, con il rifiuto dei lavoratori della FIAT dell'accordo aziendale sottoscritto dal sindacato di Rapelli e dalla UIL, la punta massima della partecipazione all'agitazione.

La FIAT è ferma e oggi, lunedì, il cuore produttivo di Torino borghese e proletaria non produce né merci, né plus-valore e la massa proletaria commenta questi due fatti sostanziali: lo sciopero totale dei lavoratori della FIAT che pone, con il rifiuto della trattativa aziendalistica, la richiesta di un nuovo contratto che sancisca dei salari più sostanziali e normalizzi orari, prestazioni e la vita all'interno delle fabbriche. Il secondo fatto meriterebbe una trattazione inserita sulle nostre previsioni circa i limiti delle possibilità di un sindacalismo, riformisticamente inteso, di collaborazione. È sintomatico però che la rivolta alla politica della UIL sia scaturita dalla FIAT dove questo sindacato ha avuto il suo lancio più clamoroso dopo lo scorporo della CGIL post-bellica.

Piazza Statuto, elegantemente borghese, è stata dalla mattina di sabato in poi, teatro della protesta degli organizzati della UIL che avevano iniziato a strappare tessere già da venerdì nelle sezioni FIAT dopo l'annuncio del patteggiamento con Valletta e, con clamoroso senso di democrazia proletaria, chiedevano spiegazioni di tale agire al vertice delle organizzazioni.

Qui si chiude e senza spiegazioni l'atto della commedia del sindacalismo UIL a Torino e si inizia con la notte il dramma, dato che la clamorosità di questo avvenimento accentra tutta una massa di proletari e sottoproletari e di curiosi di fronte alla vuota sede del sindacato, piantonato inspiegabilmente da troppa forza armata e avviene così il solito fattaccio delle piazze italiane tra polizia troppo attrezzata e l'insofferenza popolare che tale dimostrazione di potenziale repressivo genera sempre: pestamenti, candelotti lacrimogeni, disselciamento e una zuffa dalla quale escono pestati anche esponenti della FIOM che nell'intento di determinare una azione diversiva, sono restati intrappolati nella composita massa formata da dimostranti e poliziotti in lotta. Feriti, contusi, arrestati sono l'epilogo di uno dei più freddi e globali scioperi di metallurgici attuatisi a Torino in questi ultimi anni.

La quarta rata dello sciopero dei metallurgici sta scadendo con questo drammatico fatto, senza nulla di concluso sul piano delle trattative per il contratto.

La politica FIAT ha subito un colpo d'arresto; di chi si servirà ora per assicurare la sua continuità di sfruttamento d'avanguardia, della CISL o della CGIL?

Giù le zampe dai giovani di piazza Statuto

Da Battaglia comunista n. 7, luglio 1962

Ancora una volta i giovani sono di scena; ancora una volta sono all'avanguardia degli scioperi avvenuti nei giorni scorsi; e ancora una volta queste forze vitalissime che scaturiscono dal seno della classe operaia sono state in vario modo qualificate da teppiste o qualunquiste, anarchiche o internazionaliste; ma mentre al tempo dei fatti di Genova, a piazza De Ferrari erano solo i fascisti a definire teppiste le forze dei giovani in azione, questa volta, per i fatti di piazza Statuto a Torino, a definire teppisti e provocatori i giovani in azione è stata la CGIL, è stata la stampa cosiddetta di sinistra. È veramente penoso, sconcertante assistere al fatto che un migliaio di giovani insegnino alla massima organizzazione italiana come si debbano condurre gli scioperi. Uno sciopero generale, indipendentemente dalla sua durata, che registri il fatto che uno scioperante si ritiri al Bar o alla bocciofila del suo rione per fare la partita a scopone o a bocce, ha una portata sindacale molto, molto relativa. Se si vogliono ottenere risulta ti positivi occorre che le centinaia di migliaia di scioperanti scendano organizzate sulle piazze e allora, come i fatti di Torino insegnano, tutti i settori del capitalismo italiano e dei suoi sbirri tremeranno dalla paura.

Ma chi erano i giovani di Torino? Alcune decine di loro vengono in questi giorni giudicati per direttissima dalla democratica ma reazionaria magistratura borghese. Dall'analisi della loro origine regionale e della loro origine di classe si possono ricavare elementi idonei a formulare una prospettiva avvenire per le lotte del proletariato Italiano e per le direttrici di marcia del partito di classe.

È statisticamente assodato che la città di Torino ha in pochissimo tempo aumentato la sua popolazione di trecentomila unità. Una fortissima percentuale di quest'aumento proviene dal centro e particolarmente dal sud della nostra penisola; sono dunque forze di origine contadina, che si sono urbanizzate ed ingranate nell'apparato produttivo torinese, ma che portano con sé l'istinto di classe che le guidava quando andavano all'assalto delle terre baronali presidiate dalle forze dell'ordine borghese. Ora, nella loro nuova situazione di proletari dei complessi industriali fra i più moderni, mostrano la via che la classe deve percorrere alle aristocratizzate masse operaie del nord. Questi sono gli elementi di importanza sociale che si ricavano dall'esame dei fatti di Torino.

Questi giovani che con le loro famiglie e spesse volte da soli abbandonano con il loro paese nativo un passato di fame e di miseria, trovano, sì, subito lavoro, sia nell'edilizia che nella piccola e grande industria, ma sono sempre trattati come sottoprodotti della classe operaia nazionale e quindi sempre mal-pagati. A questa loro nuova sistemazione sociale, sorretta dall'istinto di classe che li ha sempre guidati, vanno i fatti di piazza Statuto. La stampa borghese, piange sui danni arrecati alla piazza ma non dice nulla sul fatto che un migliaio di giovani affrontava a ondate le forze di polizia concentrate sulla piazza!

E noi precisiamo: dove erano le altre decine di migliaia di scioperanti mentre i giovani in piazza Statuto affrontavano le gimcane e le bastonate della polizia? I giovani dovevano difendersi o no? Se sì, noi siamo con loro, soprattutto con quelli che ora si trovano sotto accusa e concludiamo queste note dicendo in modo inequivocabile: giù le “zampe” dai giovani di piazza Statuto.

(1) Nel luglio del 1945, a Schio (VI), 53 fascisti vennero uccisi, mentre erano detenuti nelle carceri della città, da un commando formato da ex partigiani. Il PCI, per sviare le indagini, accusò vigliaccamente i nostri compagni di allora.