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Home ›Nè con Gheddafi nè con la Nato, ma dalla parte del proletariato
Volantino per le manifestazioni e le iniziative contro la guerra
Le radici imperialistiche delle operazioni belliche sul territorio libico (per ora) sono più che evidenti, così come evidente è la crisi di quel capitalismo globale che - a salvaguardia degli interessi borghesi e per la conservazione del dominante sistema di sfruttamento e oppressione - sta portando le nostre condizioni di vita a livelli insostenibili.
Gli effetti della mondiale crisi del capitalismo colpiscono le economie Mediorientali e Nord Africane. In pericolo gli interessi, strategici-energetici, delle maggiori potenze imperialistiche, Italia compresa. Il ricorso alle armi (e quali armi!) era inevitabile dietro la maschera ipocrita di “operazione umanitaria”. Possibile una più vasta escalation militare. E quella che si sta svolgendo in Libia - va detto con chiarezza - è anche una guerra civile tra tribù, tra fazioni borghesi, che si contendono una lucrosa esportazione di petrolio al secondo posto di tutto il continente africano (1), e in presenza di definiti interessi delle potenze imperialistiche
Un’altra preoccupazione (imperialistica, ma non solo) riguarda la possibile estensione della crisi in tutta la penisola arabica (Yemen,Oman, Bahrein) se non addirittura in quell’Arabia Saudita che è attualmente il primo produttore al mondo di petrolio e primo fornitore degli Usa. A quel punto l’imperialismo, non solo Usa, non potrebbe più comportarsi… umanamente!
Al di là delle confessioni religiose (sunniti e sciiti) le borghesie arabe reclamano maggiori poteri per meglio dominare e controllare l’area mediorientale fondamentale per la questione energetica. Il tutto con i due imperialismi d’area (di cui gli “anticapitalisti” - di facciata - non parlano affatto!), cioè l’Iran sciita e l’Arabia saudita che, militarmente, fanno la guardia attorno ad una pentola in forte ebollizione. Uno scenario che nessuno degli imperialismi, già dominanti o in fase di rafforzamento, può ignorare e che, per i propri interessi, deve a tutti i costi “tenere a bada”.
In Libia, incrinatisi gli equilibri fra quella di Gheddafi e le altre tribù del paese - dopo 40 anni di una dittatura che ha elargito poche manciate di dollari appropriandosi del grosso del malloppo “privato” - la gestione della rendita petrolifera si sta imponendo come la vera posta in gioco, dietro le illusorie bandiere della democrazia e della libertà, agitate nei moti di protesta suscitati da masse disoccupate, immiserite, spesso addirittura affamate e senza futuro.
Il nostro deciso NO alla guerra è strettamente collegato ad una ripresa della lotta di classe. Ma occorre la massima chiarezza per una lotta decisamente anticapitalista che faccia della protesta una prima difesa contro gli attacchi del capitale; sarà la base sulla quale si formi la consapevolezza della necessità di unirsi e di organizzarsi con l’obiettivo di una lotta generale, economica e politica, per il superamento definitivo di questa sempre più barbara società. Il tutto sotto la direzione e con il programma per il socialismo che solo il partito del proletariato (e non quelli di false “sinistre” borghesi) ci può dare.
E le masse dei lavoratori e lavoratrici e del proletariato libico in generale? La loro liberazione, non solo dal giogo imperialistico ma da quello imposto loro dalle borghesie nazionali, non dipende affatto dalle richieste - manipolate e strumentalizzate dalle stesse borghesie in vesti di “oppositrici” alle dittature - di libertà e democrazia. Come sempre, queste richieste faranno da migliori involucri politici e ideologici per proseguire i processi di sfruttamento della forza-lavoro ed eventuali cambi del fronte imperialistico. L’infernale giostra di interessi interni e internazionali potrà essere spezzata solo dallo sviluppo di una concreta lotta anticapitalista.
Per questo non ci si deve fare false illusioni: senza la presenza, organizzata a livello internazionale, di una avanguardia rivoluzionaria in possesso del risolutivo programma teorico-politico per il comunismo, avremo altri bagni di sangue offerti in sacrificio al capitale e al profitto che schiavizzano ovunque le masse del proletariato d’Oriente e d’Occidente.
Anche se la Libia possiede solo il 2% delle riserve mondiali, può vantare ben il 10% del rimanente sweet light crude presente al mondo. Il petrolio di migliore qualità, quello che serve disperatamente alle raffinerie europee: il suo contenuto di zolfo è di ben sei volte inferiore al pur ottimo greggio saudita. In Europa le leggi sui carburanti sono molto stringenti, e le raffinerie oramai obsolete.
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Da qualche settimana gira l'appello per il corteo nazionale a Napoli contro la guerra, ve lo giriamo:
L’Italia che a parole ripudia la guerra si è lanciata in una nuova aggressione militare a senso unico, come le precedenti, questa volta contro la Libia che rappresenta la “nostra” quarta sponda. La quinta in vent’anni, la terza nel giro di un decennio in cui si è persa ogni remora nei confronti dell’intervento bellico.
Ma a differenza delle altre occasioni pochi sembrano indignarsi, pochi alzano la voce per gridare che questa, come già altre guerre, ha dei motivi ben precisi: le immense ricchezze del sottosuolo libico, il gas, il petrolio, gli affari delle grandi aziende e della grande finanza. Motivi che stanno causando già centinaia di morti fra i libici, e che ne causeranno ancora di più, appena l’uranio impoverito, sganciato in quantità, comincerà a fare effetto. Motivi che potrebbero portare, co
me già successo nei Balcani, in Afghanistan o in Iraq, alla devastazione della Libia, alla fine della sua sovranità, all’occupazione militare di un territorio-chiave per controllare e addomesticare tutte le rivolte che stanno agitando il Nord Africa e il mondo arabo.
Come al solito, la prima vittima della guerra è stata la verità: per giustificare l’uso della forza abbiamo visto squadernarsi tutte le retoriche guerrafondaie, nelle varianti di destra e di “sinistra”. Da un ritrovato e sfacciato spirito colonialista (“dobbiamo intervenire perché la Libia è casa nostra”) al ritornello della guerra umanitaria (“dobbiamo proteggere la popolazione contro il tiranno”), passando ovviamente per i cliché razzisti (“dobbiamo intervenire per portare la democrazia ai popoli sottosviluppati”). Soprattutto si è cercato di neutralizzare l’impatto emotivo di una nuova guerra, di farla sparire dalla nostra percezione, di inserirla nel tessuto della quotidianità, parlando di “no-fly zone”, “pattugliamento umanitario”, “sostegno ai ribelli”.
Dovremmo sapere bene cosa si nasconde dietro questi eufemismi: il profitto delle multinazionali dell’energia, il desiderio delle potenze occidentali di accaparrarsi, anche dopo il disastro nucleare giapponese, risorse preziose in tempo di crisi, la voglia di controllare un pezzo di mondo che si è risvegliato e cerca da sé la sua libertà. Si interviene in Libia proprio come si sono sostenuti fino alla fine i regimi di Ben Alì o Mubarack, o come si appoggia la repressione dei movimenti popolari in Bahrein o nello Yemen… Ancora una volta il “diritto internazionale” si rivela nei fatti solo la legge del più forte.
Giusto otto anni fa, contro analoghe menzogne, eravamo in milioni a scendere in piazza. Oggi il silenzio dei pacifisti e dei movimenti è assordante, mentre la sinistra istituzionale si nasconde dietro ad una risoluzione ONU scritta, come già altre volte, ad uso e consumo di USA, Gran Bretagna e Francia, mentre a spingere per l’intervento ci sono in prima fila il PD ed il Presidente Napolitano… Ad “opporsi” alla guerra c’è solo la destra estrema della Lega, che parla di “invasione dei clandestini”, lascia marcire i profughi a Lampedusa, crea strumentalmente un’emergenza umanitaria, esaspera l’odio contro i più deboli e i “dannati della terra” per rastrellare voti sotto elezioni.
Forse è giunto il momento di riscattare questa vergognosa Italia, che dal baciamano a Gheddafi, il “nostro miglior alleato”, è passata alle bombe, per paura di perdere i propri affari in Libia.
È giunto il momento di dire la nostra, mentre riscrivono la storia del Mediterraneo attraverso le bombe, la violazione dei diritti dei migranti e la continua militarizzazione del nostro e del loro territorio.
È giunto il momento di affermare che non esistono interessi “nazionali”, ma solo gli interessi degli sfruttati e dei dominati di tutto il mondo contro quelli dei dominanti e dei regimi di tutto il mondo.
È giunto il momento di proclamare che i popoli, e lo hanno scritto in questi giorni proprio i tunisini e gli egiziani in rivolta, o si liberano da soli o non si liberano affatto.
Tutto questo lo vogliamo dire chiaro e forte proprio a Napoli, dove è appena passato il comando dell’operazione ora a guida NATO. Ed è per questo che facciamo appello ai movimenti, alle associazioni, ai comitati, alle forze politiche e sindacali, a tutti i pacifisti coerenti ed a tutti i cittadini a far crescere in tutta Italia la mobilitazione contro la guerra e costruire insieme una grande manifestazione nazionale proprio a Napoli, sabato 16 aprile.
Una manifestazione che, schierandosi a fianco del popolo libico e di tutte le popolazioni in rivolta dell'area, chieda:
• La fine immediata dei bombardamenti e dell'aggressione militare;
• La fine di ogni ingerenza straniera, compresa l’ipotesi di embargo e di sequestro dei beni libici non meno criminale dell’aggressione militare;
• Il diritto d'asilo per tutti i profughi e i migranti in fuga;
• Il taglio delle spese militari e l’utilizzo di fondi e mezzi per le vere priorità sociali di un’Italia in crisi: casa, lavoro, servizi sociali, reddito garantito, provvedimenti a difesa del territorio e dell’ambiente;
Chiediamo a tutte e tutti di diffondere e sottoscrivere quest’appello, per cercare nelle due settimane che abbiamo davanti di costruire insieme una grande e determinata manifestazione contro la guerra!
Nel caso questo appello dovesse incontrare come speriamo, il sostegno delle più significative realtà impegnate nella lotta contro la guerra proponiamo di tenere il giorno successivo alla manifestazione, domenica 17 aprile, una Assemblea nazionale del movimento contro la guerra per discutere insieme come proseguire la lotta contro questa infame politica che va a seminare in nome dell’umanità e della democrazia morte e distruzione presso altri popoli, con la vigliacca consapevolezza che questi paesi non hanno nemmeno le armi per potersi difendere adeguatamente di fronte alle micidiali armi di distruzione di massa utilizzate.
ASSEMBLEA NAPOLETANA CONTRO LA GUERRA