Primo Maggio: non c’è niente da festeggiare... ma un mondo da conquistare

Dalla rivista giovanile internazionalista “Amici di Spartaco” #24

Cercheremo di delineare la condizione di sfruttamento della gioventù proletaria, ovvero dei giovani salariati, all’interno della cornice della crisi capitalistica.

Giovani che sono già da un po’ nel mercato del lavoro o che si apprestano ad entrarci finito il loro percorso di formazione, quindi inevitabilmente verranno trattati i legami tra istruzione e mercato del lavoro cercando di evidenziare come le riforme di scuola e università siano profondamente connesse all’esigenze del capitalismo in questa data fase, ovvero nella crisi.

Disoccupazione giovanile in Italia al 28,9%

Diversamente da quanto ci raccontano i nostri governanti attraverso i loro mezzi di informazione la crisi, sotto forma di diminuzioni salariali, precarietà e disoccupazione, quindi di povertà crescente, non smette di peggiorare le nostre condizioni di vita e di lavoro.

La crisi colpisce soprattutto i giovani lavoratori. Basti pensare che solo in Italia dal 2007, inizio di questa fase acuta della crisi, la disoccupazione giovanile (15-24 anni) è aumentate in maniera vertiginosa per arrivare, nel dicembre 2010, al tasso record del 28,9% (dati Eurostat e Bankitalia).

Ma a differenza di quanto affermino ben pensanti di sinistra, che attribuisco la colpa di questo fenomeno al mal governo ciarlando che fuori dall’Italia si sta alla grande, l’aumento della disoccupazione giovanile è una tendenza mondiale, come mondiale è il capitalismo e con esso la sua crisi: nel mondo ci sono 81 milioni di giovani senza lavoro, cioè 7,8 milioni in più del 2007. Per comprendere meglio la situazione basti considerare che

a titolo di paragone, nel corso dei dieci anni che hanno preceduto la crisi (dal1996-97 al 2006-07) il numero dei giovani disoccupati è aumentato in media di 191.000 unità all’anno.

Ben poca cosa rispetto a quanto avvenuto in questi anni, gli anni della crisi “1,1 milioni nel 2007/08 e 6,7 milioni nel 2008/09” (fonte ILO). Inutile dire che in questo scenario tutt’altro che roseo le ragazze sono le più colpite come da noi i giovani del meridione. Insomma nel mondo la disoccupazione giovanile viaggia intorno al 13% mentre il 25% della forza lavoro giovanile (compresa tra i 15 e i 24 anni) occupata guadagna 1,25 dollari al giorno (ILO agenzia dell’ONU), stiamo parlando di 152 milioni di giovani non di aria fritta! Non c’è da stupirsi di questi numeri se teniamo conto che per l’ISTAT (famoso covo di bolscevichi)

l’80% del calo dell’occupazione ha colpito i giovani soprattutto quelli che vivono nella famiglia d’origine.

Altro dato significativo che evidenzia ancor di più come la crisi colpisca la classe lavoratrice, famiglie e figli in maniera indiscriminata (poiché la disoccupazione di un giovane grava sulla famiglia) è quello che afferma che

i giovani che hanno perso il lavoro appartenevano in maniera superiore alla media a famiglie con persona di riferimento operaia.

Christina Tajani

Dobbiamo anche ricordare che il sistema previdenziale non prevede sussidi di disoccupazione per chi non è mai entrato “ufficialmente” (cioè con contratto) nel mercato del lavoro e per un periodo continuativo di almeno 5 mesi.

Precarietà

Il lavoro precario costituisce sempre la principale, se non l’unica, modalità d’ingresso nel mondo del lavoro e, ai noi, l’instabilità lavorativa per i giovani è spesso un’esperienza senza fine. E’ evidente che ciò mal si concilia con i progetti di vita individuale, visto che vivere per conto proprio, sposarsi o avere dei figli sono “progetti di lungo termine”. I precari, gli instabili del lavoro, sono chiamati “atipici”, perché atipica è la forma contrattuale del lavoro che svolgono. L’Istat definisce “atipici” i lavori che prevedono una durata a termine del rapporto contrattuale. Rientrano in questa categoria numerose tipologie lavorative: il lavoro a tempo determinato, il lavoro a chiamata, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, a progetto, i contratti di apprendistato, di inserimento, occasionali, gli stages, le borse di studio o di ricerca. Questa classificazione non include fra gli atipici i lavoratori autonomi senza dipendenti (il cosiddetto “popolo delle partite IVA”) che tuttavia spesso nascondono forme di lavoro subordinato “travestito” e rischiano di risentire prima di altre categorie della contrazione della domanda di lavoro.” I lavoratori atipici costituiscono l’aggregato più vulnerabile di fronte alla crisi economica” anche agli occhi degli economisti borghesi, il che è tutto dire.

Il lavoro a termine costituisce la principale modalità di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani.

Tuttavia, analizzando i dati nel dettaglio, si scopre che solo un quarto dei precari è al primo lavoro: quasi la metà è presente nel mercato del lavoro da più di 10 anni e di essi l’80% ha almeno 35 anni. In molti casi si è innescata una spirale di precarietà senza via d’uscita.

Nonostante la varietà delle forme contrattuali, i tempi dei lavoratori atipici sono scarsamente flessibili, così da rendere difficile la conciliazione lavorofamiglia, lavoro-studio. La maggior parte dei lavoratori atipici, inoltre, non ha tutele contrattuali (congedi per malattia e parentali, ferie retribuite, liquidazione, contributi pensionistici) ed, inoltre, percepisce una retribuzione media mensile più bassa rispetto a quella di chi lavora stabilmente.

In Europa il tasso di precarietà giovanile (15/24 anni) oscilla intorno al 40% mentre tende ad attenuarsi salendo con l’età; 20% tra i 25 e i 29 anni, 10% tra i 30 e i 54 anni. Ma i dati non tengono conto delle specificità locali come nel caso di Spagna, Portogallo e Polonia in cui la precarietà è molto diffusa in tutte le fasce d’età. Nel nostro paese, comunque, la precarietà giovanile si attesta intorno a l 4 3 % .

Naturalmente per i padroni assumerci con un contratto precario significa poter disporre di forza lavoro nel momento del bisogno a basso costo per poi gettarci nella baratro della disoccupazione dal momento in cui risultiamo un peso e una spesa inutile poiché impossibilitati a produrre un profitto per loro. Ma per noi giovani proletari essere assunti con un contratto a tempo determinato significa, oltre a non aver nessuna prospettiva di continuità lavorativa e nessuna certezza per il futuro, quello di aver un salario più povero oltre che quello di essere sempre sotto scacco del padrone, libero di licenziarci in qualsiasi momento. In un momento in cui lavorare sembra quasi un privilegio o un favore che ci viene fatto il ricatto padronale assume dimensioni inquietanti: bisogna accontentarsi di due spicci, di un contratto di merda quando ce lo fanno, bisogna essere disponibili sempre festivi inclusi, e quando ci chiedono di allungare la nostra giornata di lavoro non lo domandano lo impongono. Insomma non sai mai quando lavori e quando lavori non sai mai per quanto, ci sta pure che dopo un paio d’ore il padrone ti dica “non c’è gente non mi servi” ti da i tuoi 10 euro e ti manda a casa, che cazzo gliene frega se hai fatto 30 km per guadagnare 10 euro? ai padroni interessa solo il profitto. Ovviamente i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato mettono il lavoratore nella condizione di dove subire di tutto più tosto di non vedersi rinnovato il contratto.

Se persino il presidente di Bankitalia Draghi ammette che:"

Salari giovani fermi da 10 anni, sotto livelli anni 1980. Tasso disoccupazione a 30%. Minima mobilità, massima precarietà"

vuol dire che siamo proprio messi male così male che neanche i padroni posso negare l’evidenza.

Diminuzione salariale e povertà

Su 5 giovani uno soltanto lavora con una retribuzione del 23% inferiore ad un adulto (dati Eurostat). Dimentichiamoci la generazione 1000 euro perché oggi la busta paga di un giovane al primo impiego è assai più leggera: 823 euro. Con le ovvie, per il capitalismo, discriminazioni di territorio: Al nord si guadagna 876 euro mentre al sud non si arriva ai 750 euro; e di sesso: mentre i maschi neo assunti sfiorano i 900 euro le ragazze si fermano ai 750 euro (fonte datagiovani).

Il calo dei salari ha colpito soprattutto i giovani, le ragazze e i precari con diminuzioni intorno al 3% e i proletari del settore del commercio -13,6%. Le imprese stanno approfittando del periodo di avvio al lavoro e dato che nei livelli iniziali si rimane per lungo tempo il salario non sale mai. E magari quando dovremmo fare il salto di qualità, un contratto migliore, veniamo licenziati per un altro disgraziato come noi che verrà assunto con un contratto di merda rifacendo la nostra stessa trafila per poi finire licenziato per far posto a nuova carne da macello.

Insomma è il solito giochino padronale spendere meno per i salari e fare più profitti. Ma per noi proletari questo significa sprofondare nella povertà.

Non a caso il 27% dei giovani under 35 e il 20% delle giovani coppie sono sotto la soglia di povertà. Infatti

sono in diminuzione le famiglie che riescono a risparmiare qualcosa il 26 % contro il 31% del 2010 e a raggiungere l’ormai ambito traguardo della fine del mese 61% contro il 66% del 2010.

Il 40% delle famiglie ha difficoltà a pagare rate e canoni. Mentre evidenziamo l’aumento della povertà all’interno del proleta riato dovuta alla crisi e al suo trascinarsi dietro precarietà e disoccupazione notiamo come, invece, i ricchi tendano a diventare sempre più ricchi, siamo infatti il 6° paese sui 30 censiti per livello di disuguaglianze tra ricchi e poveri. Dagli anni 1980 la differenza tra ricchi e poveri in Italia è aumentata del 33%. Dati Ocse. Niente di nuovo sotto il solo: i proletari sempre più poveri i padroni sempre più ricchi.

Infortuni sul lavoro

L’IRES, Istituto di ricerche economiche e sociali ha condotto una ricerca sulle condizioni di lavoro per giovani dai 17 ai 35 anni. Drammatici i risultati della ricerca: un infortunio o un incidente mortale su tre colpiscono i giovani lavoratori.

Il problema del lavoro per i giovani non si limita alla faticosa ricerca e difficile collocazione.

Oltre alla disoccupazione il giovane lavoratore che vuole entrare nel mercato del lavoro si scontra con condizioni davvero gravose per la sua salute e sicurezza.

Questi i dati elaborati dall’Ires a partire da fonti ufficiali Inail e da interviste telefoniche condotte con mille lavoratori under 35 provenienti da diversi settori lavorativi e titolari di diverse tipologie contrattuali.

Quali le condizioni di lavoro cui sono sottoposti? L’immagine che ci viene restituita mette in luce situazioni di lavoro gravose: i giovani lavorano spesso sotto sforzo e in si tuazioni di rischio.

Si va dall’affaticamento fisico, dovuto ad esempio alla movimentazione manuale di carichi, responsabile di un’alta incidenza di disturbi all’apparato muscolo scheletrico denunciato da questi lavoratori (30,4%) a condizioni di lavoro stressanti, frustranti e tanto difficili da causare sindrome da stress lavoro correlato, insonnia e altri disturbi psico-fisici (34,4%).

La precarietà e flessibilità cui i lavoratori vanno incontro entrando nel mondo del lavoro non si traduce in dinamicità e autonomia, come vorrebbero farci credere i padroni, ma sempre più spesso determina l’intensificazione dello sfruttamento.

Giovani che lavorano con contratti a progetto, cui dovrebbe essere garantita una certa autonomia decisionale e di gestione dei tempi e delle metodologie, si trovano in realtà costretti a tenere ritmi di lavoro etereo diretti, che spesso non prendono in considerazione le reali necessità di riposo o di ottimizzazione dei tempi. Nessuna autodeterminazione quindi per i giovani lavoratori con contratti atipici ma solo mancanza di garanzie e condizioni di lavoro inadeguate e insoddisfacenti.

Insomma, i padroni, come dice il loro ministro dell’economia, sono contenti che ci siano così tanti immigrati perché così impariamo ad essere umili, ovvero ad accettare la miseria che ci propongono, e la smettiamo di fare gli sfaticati, per farci sfruttare a dovere. Ma lasciamo la parola al suddetto servo dei padroni alias Ministro Tremonti

In Italia ci sono 4 milioni di immigrati, tra cui moltissimi giovani che lavorano da mattina a sera e anche di notte.

Il servile Tremonti ha aggiunto

l’Italia è un paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone, evidentemente non c’è domanda per questi tipi di lavoro da parte di altri ... Non mi risulta che tra i giovani immigrati ci sia disoccupazione, è tutta gente che lavora tantissimo

è la sua risposta. Cosa fare quindi per risolvere il problema dei giovani senza lavoro che a febbraio scorso l’Istat valutava al 28,1%? A chi gli chiede se sia il caso di chiudere all’immigrazione o se i giovani italiani debbano adeguarsi, Tremonti replica secco:

escudo la prima ipotesi...

Insomma i padroni criminalizzano i lavoratori immigrati gettandoli nell’ “illegalità” per costringerli al silenzio di fronte a qualsiasi sopruso con il ricatto della denuncia e dell’espulsione nel caso non stiano buoni.

Così facendo i nostri compagni di classe immigrati sono costretti a subire qualsiasi dettame padronale, dai salari da fame a uno sfruttamento sovraumano determinando inevitabilmente l’ abbassamento dei livelli salariali e l’intensificazione dello sfruttamento per tutto il proletariato e soprattutto quello giovanile.

La scuola si adegua alla crisi

Vedere un governo, di qualunque colore esso sia, affannarsi per rispondere all’esigenze dei padroni ai noi internazionalisti non ci sorprende affatto. Noi siamo tra quelli che credono che il parlamento sia “il comitato d’interessi della borghesia” e la realtà dei fatti non fa che confermare le nostre tesi. Guardiamo ad esempio come il governo in carica, come fecero a suo tempo quelli di sinistra (all’interno dei quali c’erano anche presunti comunisti), stia modellando il mondo dell’istruzione sull’esigenze del mercato del lavoro, quindi del capitalismo. Ma onde evitare di risultare coloro che tirano acqua al proprio mulino ideologico lasciamo spazio ai fatti e diamo la parola direttamente a coloro, i ministri governativi, che tali misure si apprestano a concludere. Parliamo del “Piano di azione per l’occupabilità dei giovani” presentato a Palazzo Chigi dal ministro del lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi, dal ministro dell’istruzione Gelmini e dal ministro della gioventù Meloni. Il piano, ha spiegato Sacconi, che conta su risorse di circa un miliardo, di cui un quarto a carico del fondo sociale europeo, ruota intorno al superamento del disallineamento tra scuola/università e mercato del lavoro, alla valorizzazione del contratto di apprendistato come strumento privilegiato d’ingresso nel mondo del lavoro (che naturalmente permette ai padroni di pagare bassi salari ma poter sfruttare il lavoratore a proprio piacimento) e del lavoro manuale come sbocco possibile per tutti i disoccupati, laureati compresi.

La Meloni aggiunge:

occorre abbattere i privilegi acquisiti e adeguare la società al mercato del lavoro che cambia.

Infatti, secondo il governo l’alto tasso di disoccupazione giovanile è dovuta soprattutto al fatto che nel mercato i padroni non trovano le professionalità richieste, che sono principalmente manuali, tecniche e di alta tecnologia. Per cercare di risolvere questo annoso problema per i padroni di casa nostra anche la scuola deve adeguarsi, legandosi sempre di più alle esigenze del capitale. Non a caso, parole della ministra Gelmini, va in questa direzione l’istituzione di 58 istituti tecnici superiori (“scuole speciali di tecnologia”) che avranno il compito di formare super tecnici nelle aree tecnologiche stabilite dal piano di intervento industria 2015. Tra le iniziative ci sono anche la promozione di stage (quindi lavoro gratis perché non retribuito, altro regalo ai padroni!), un bonus di 5000 euro per le aziende che assumono un giovane disoccupato con meno di 35 anni e figli a carico (incredibile! invece di sostenere gli ammortizzatori sociali per i giovani disoccupati si incentivano le aziende che magari assumono per un solo mese, rigettandoti poi nella disoccupazione!).

Si pensa, inoltre, di anticipare il tirocinio professionale agli ultimi anni di università (regalando lavoro gratis ai padroni, insegnandoci subito ad essere sfruttati e abituandoci alla precarietà che ci attende).

Non può mancare un po’ di sana educazione ai bisogni del capitale quindi spazio a giornate dedicate alla realizzazione di tali piani. “un giorno per il futuro” che si realizzerà il 20 maggio in tutte le scuole per sensibilizzare i giovani al tema delle pensioni. Ma non azzardiamoci a chiedere a quanto ammonterà la nostra pensione perché come dice il ministro Sacconi

ormai è impossibile vista l’evoluzione della normativa e del mercato.

Insomma un bel futuro ci aspetta pensioni addio, precarietà e disoccupazione... cosa aspettiamo a fargliela pagare? Il sistema sociale in cui viviamo costringe le forze più fresche, i giovani, all’inattività, alla disoccupazione e strizza fino all’osso se non alla morte le vecchie generazioni: questo è il capitalismo.

Il sistema che costringe chi proviene dalla povertà e dalla disperazione allo stato di clandestinità per sfruttarlo meglio mettendoci in concorrenza tra i lavoratori e aizzando la cosiddetta “guerra tra poveri” proletari italiani contro proletari immigrati, per sviare l’attenzione dai veri responsabili delle nostre miserie: è il capitalismo. il sistema che investe le menti più brillanti nella produzione e nella ricerca del massimo grado di distruzione e di morte è il capitalismo.

Il sistema che disincentiva la spesa sociale tagliando sanità, istruzione e trasporti non avendo un piano per l’abitazione popolare: è il capitalismo.

Il sistema che depreda e distrugge la natura è il capitalismo.

Il capitalismo è un sistema sociale che ha fatto il suo tempo, che non ha più nulla da offrire se non precarietà, disoccupazione, devastazione ambientale e guerre. Per questo noi giovani proletari dobbiamo capire che se siamo disoccupati la colpa non è dell’immigrato che prende meno di noi ma del padrone che vuole aumentare il nostro sfruttamento abbassando il costo della forza lavoro, se siamo precari la colpa non è del 50enne ma del padrone che preferisce succhiagli fino all’ultima goccia di sudore più tosto che assumere qualcuno altro. Insomma un sistema sociale che non è più in grado di garantire casa lavoro e servizi sociali è il capolinea ed è giunto il momento di sbarazzarcene.

È tempo di organizzarci per fare in modo che questo sistema astorico nel suo affondare non ci porti giù con lui verso la barbarie sociale.

È tempo di organizzarci per organizzare la nostra rabbia, per trasformare il nostro odio in speranza, per costruire un’alternativa alla precarietà allo sfruttamento al regno del profitto.

E l’alternativa è una sola: è una società senza sfruttati né sfruttatori, una società di produttori liberamente associati dove alla logica del profitto sia sostituita quella del bisogno.

Questa alternativa è una sola: l’alternativa è il Comunismo!