Motivi per cui il comunismo non solo è possibile, ma necessario

Uno dei miti che più incoraggiano e foraggiano il luogo comune che ritiene l’uomo incapace di migliorare sostanzialmente la qualità della propria vita e delle proprie relazioni sociali (per cambiamento sostanziale intendo la possibilità di realizzare concretamente una società basata su “Uguaglianza, Libertà, Fratellanza”, gli ideali traditi dalla borghese Rivoluzione francese), è quello dell’uomo di Hobbes:

Ogni associazione spontanea nasce dal bisogno reciproco o dall’ambizione, mai dall’amore o dalla benevolenza verso gli altri.

Il filosofo inglese definendo i “postulati certissimi della natura umana”, stabilisce che la natura dell’uomo sia essenzialmente individualista, opportunista e assolutamente dominata dall’egoismo; il primo postulato illustra la naturale bramosia per la quale “ognuno pretende di godere da solo dei beni comuni”, e del resto ciò che per Hobbes porta l’uomo a vivere in comunità (non ritenendo l’essere umano un “animale politico”) è essenzialmente la consapevolezza di quest’ultimo che vivendo solo sarebbe estremamente vulnerabile e facilmente preda delle insidie della natura.

Il primo a smentire Hobbes fu Rousseau, il quale nel “Discorso sulle origini e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini”, proclamò l’innata bontà dell’uomo, seppur ammettendo che la sua propensione a vivere in armonia ed empaticamente con i propri simili sia corrotta dalla società stessa, matrice di conflitti insanabili.

Una recente scoperta scientifica, quella dei neuroni specchio effettuata negli anni 1990 da un team di ricercatori dell’Università di Parma, potrebbe confermare di fatto l’essenza benevola della natura umana.

I neuroni specchio permettono l’apprendimento attraverso l’imitazione del comportamento dei propri simili, in altri termini questa scoperta ci consente di capire in che modo la buona riuscita della crescita psico-fisica dell’uomo sia indiscutibilmente legata ad un rapporto di cooperazione e collaborazione fra gli individui.

Tuttavia nell’ambito delle scienze umane istintivisti e comportamentisti hanno continuato a credere nella fondamentale negatività della natura umana; Freud ci palesa questa concezione ne “Il disagio della civiltà”, libro tragico, nato in circostanze storiche e personali eccezionali, in cui emerge la convinzione che

la naturale aggressività sembra non poter più essere controllata [... e] la morte è iscritta nel cuore della nostra psiche dall’impossibilità di addomesticare le pulsioni di morte.

Dunque una vita costellata di violenze, crudeltà, smodato egoismo, prevaricazione sociale, incolmabili disparità tra un individuo e l’altro, distruzione ed indifferenza verso le sfortunate altrui sorti sembrerebbe l’unica sorte possibile per l’uomo. Tuttavia lo studio dell’autorevole psichiatra tedesco E. Fromm, pubblicato in “Anatomia della distruttività umana” ci consegna un’alternativa e piuttosto convincente analisi della condizione umana:

Fra tutti i mammiferi, l’uomo è l’unico sadico e assassino su larga scala. Perché? [..] Se l’uomo dovesse aver ereditato una “distruttività” innata dai suoi antenati, i primati preumani, vivremmo in un mondo relativamente pacifico.

Secondo Fromm l’origine della negatività umana non è da considerarsi in tratti ereditati, ma piuttosto risiede nell’inequità del sistema socioeconomico costruito dall’uomo stesso in tempi relativamente recenti, e che si trova in palese contraddizione con i suoi reali bisogni vitali.

Ho voluto anche dimostrare che l’aggressività non è semplicemente un tratto, ma parte di una sindrome, e che, nel sistema, ritroviamo regolarmente l’aggressività con altri tratti, come una rigida gerarchia, predominio, divisione in classi ecc. In altre parole l’aggressione deve essere intesa come parte del carattere sociale, e non come tratto comportamentale isolato.

Fu la società sviluppatasi nel IV e nel III millennio a.C. (periodo corrispondente alla rivoluzione urbana) a configurarsi come standard di un sistema iniquo, lo stesso standard che è alla base dell’attuale società civile di stampo capitalista; possiamo in modo schematico verificare come la società della rivoluzione urbana condivida tratti essenziali del sistema capitalista:

  • Lavoro altamente specializzato
  • Trasformazione del surplus in capitale (esigenza di un sistema di produzione centralizzato)
  • Divisione in classi
  • Nascita del concetto di “conquista” come esigenza del nuovo sistema di produzione (in modo analogo alla nascita dell’imperialismo come fase del capitalismo); dunque trasformazione della guerra in un utile (se non indispensabile) strumento per sostenere l’economia
  • Considerazione dell’essere umano come “strumento economico”, che poteva dunque essere sfruttato e reso schiavo (in epoca moderna è stata abolita la schiavitù come ben sappiamo, tuttavia continua a persisterne una forma alquanto subdola nello sfruttamento delle masse proletarie)

In contrapposizione a questo sistema, presentiamo le caratteristiche di una società più vicina ai bisogni vitali umani, nonché precorritrice in determinati aspetti dell’ideale società comunista:

I cacciatori e gli agricoltori preistorici non ebbero l’opportunità di sviluppare l’ambizione per la proprietà o l’invidia per i “ricchi” semplicemente perché non esistevano proprietà private cui attaccarsi, o differenze economiche rilevanti. Al contrario, il loro sistema di vita incoraggiava lo sviluppo della collaborazione e la vita pacifica. Non c’era alcun fondamento per il desiderio di sfruttare altri esseri umani. L’idea di sfruttare un’altra persona, la sua energia fisica o psichica per i propri interessi, è assurda in una società in cui non esiste alcun presupposto, economico e sociale, dello sfruttamento. [...] Le relazioni umane non erano governate dai principi di controllo e potere, e il loro funzionamento dipendeva dal reciproco aiuto.

Tuttavia mi pare il caso di precisare che non abbiamo bisogno di tornare a vivere nelle capanne del Neolitico per beneficiare degli effetti di una società di questo stampo!

In conclusione:

I dati sulla società di caccia-raccolta e dei primi agricoltori suggeriscono forse che la passione del possesso, dello sfruttamento, l’avidità, l’invidia non esistevano ancora e sono prodotti esclusivi della civiltà? Non mi sembra che si possa fare un’affermazione così impegnativa. […] Ma c’è una grandissima differenza fra culture che incoraggiano e alimentano avidità, invidia e sfruttamento con la loro stessa struttura sociale, e culture che fanno esattamente l’opposto. Nelle prime, questi vizi formeranno parte del “carattere sociale”, sotto forma, per esempio, di una sindrome che emerge nella maggioranza; nelle seconde saranno soltanto aberrazioni individuali dalla norma, con scarse possibilità di influenzare l’intera società.

Sembrerebbe d’intuire che un cambiamento nella struttura socio-economica della nostra civiltà sarebbe il primo passo verso il raggiungimento di un equilibrio duraturo, nonché del reale benessere; abbiamo inoltre sfatato il mito della natura utopica di una società non capitalista, e abbiamo dimostrato con sufficienti argomentazioni che il sistema nel quale viviamo non è di certo quello che si addice meglio ai nostri bisogni ed inclinazioni. Con questi presupposti ostinarsi ad ignorare il problema sarebbe da persone folli e del tutto sconsiderate. E se non si agirà drasticamente ricostituendo ogni aspetto della vita sociale ed economica, se si continuerà ad ostentare un blando riformismo, ciò significherà voler eludere il problema che ci si manifesta palesemente attraverso questa sorta di follia distruttiva che spinge l’uomo a violentare sé stesso, il suo prossimo e la terra in cui vive; significherà allo stesso modo scappare dalle proprie inderogabili responsabilità di garantire condizioni tali da permettere ad ogni uomo e ad ogni donna di vivere una vita degna d’essere vissuta.

Una società comunista è possibile e necessaria.

Alessandra, Ostia

Amici di Spartaco

Rivista giovanile internazionalista