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Home ›Il barometro capitalista segna tempesta
Le nubi temporalesche non si diradano sullo scenario mondiale: la crisi peggiora ogni giorno di più le condizioni del proletariato, sgretolando anche le mura di quello Stato sociale sbandierato a vanto della borghesia soprattutto europea. I miraggi di “crescita economica ed equa distribuzione della ricchezza” altro non erano (e non sono) che narcotiche tisane per indebolire la classe operaia.
Il capitale cammina all'indietro e neppure tenta di mistificare come una ritirata strategica quella che si evidenzia come una disfatta da allarme rosso. Gli impoverimenti (sempre a carico del proletariato e di qualche strato della piccola borghesia) sono all'ordine del giorno.
Da quando è stato concepito il progetto di una Europa Unita, i problemi della sua strutturazione politica sono rimasti irrisolti, neppure affrontati. Le pietre angolari dell'Unione europea - nelle visioni dei padri fondatori - si sono polverizzate. Si parla espressamente di fallimento, rivoltando nella tomba Schuman, De Gasperi, Adenauer, Einaudi e Ciampi…. E si comincia dall'insuccesso della Comunità Europea di difesa, nel 1954, e dai successivi e contrastanti indirizzi di politica sia interna che estera, vagamente superabili con l'introduzione di una moneta comune come passaggio ad una politica economica uniforme. I compromessi, sfioranti problemi economici e politici, erano influenzati dagli interessi nazionali dei Paesi più forti, che alla fine si sono imposti sui più deboli. L'idea di una Europa con due pesi e due misure circola tuttora.
I pensieri illuministi esibiti dalla borghesia in tempi lontani e per lei gloriosi, solo apparentemente sorreggono i sermoni che, inneggiando alla prosperità e alla giustizia sociale per i popoli d'Europa, risuonano su un continente percorso per secoli da guerre fratricide. Il lungimirante realismo che animava il pensiero dei padri spirituali della unione europea non ha retto alla concreta prova dei fatti, dimostrando illusorie le prospettive di costruzione di una ossatura istituzionale in grado di sostenere - dopo i fallimentari risultati del nazi-fascismo - la “pelle” più morbida della democrazia borghese.
A complicare il tutto, si è aperto il baratro di una crisi globale dagli stessi esperti borghesi ritenuta peggiore di quella del 1929. Tant'è che si rifà avanti persino qualche sollecitazione verso restaurazioni non soltanto nazionalistiche ma anche totalitarie. La sovranità popolare deve adattarsi, rispettandola, all'unica volontà che in queste situazioni conta: quella del capitale messo alle strette e in pericolo di sopravvivenza.
Fra l'annuncio di un patto fiscale che la sovranità dei singoli Stati non tollera e un pareggio di bilancio che, controllato dalla UE, può diventare una bomba a tempo, sul tutto grava il peso di migliaia di miliardi di euro a sostegno delle Banche europee sommerse dai titoli spazzatura. Con l'emissione oltre misura di titoli di debito pubblico, che hanno portato alla necessità (a seguito di allarmi da ultima spiaggia!) di urgenti e colossali rifinanziamenti di obbligazioni, pubbliche e di imprese private, e che si accumuleranno fra il 2012 e il 2014. Si parla di parecchi miliardi, sempre fra dollari ed euro, comprese le spese aggiuntive degli interessi sui debiti. Si aggiungano i tassi di disoccupazione in forte aumento e l'oscurarsi della speranza, sempre accarezzata, di poter contribuire con l'euro ad un ridimensionamento del dollaro nel suo riferimento come moneta dominante a livello mondiale.
Crescono le incognite di una dichiarata congiuntura tecnica, non solo italiana, e che non esclude i timori per un pericoloso accendersi di crisi sociali di vasta portata. C'è in gioco quella coesione sociale nella quale la borghesia e i suoi comitati d'affari nazionali hanno da decenni intrappolato e indebolito la classe operaia. Col rischio concreto di provocare qualche collasso in uno degli Stati al momento in maggiore difficoltà e da qui, con la globalizzazione, le ripercussioni potrebbero aggravare la situazione generale del capitalismo. Facendo traballare tanto le impalcature materiali quanto quelle ideologiche, costruite attorno ad un liberalismo di facciata dentro il quale galleggia quel pensiero unico borghese il cui fondamentalismo totalizzante qualche incrinatura la sta pur subendo.
Non mancano quindi sbandamenti, non solo spirituali, in uno scenario che anziché illuminarsi si va oscurando di giorno in giorno, mettendo in difficoltà un sistema politico “democratico” che rischia di essere travolto nel disordine monetario mondiale: basti osservare i rapporti reciproci, e non certamente idilliaci, che hanno le quattro monete principali: dollaro, yen, renminbi ed euro. Gli equilibri sono complessi e celano, anzi evidenziano, contraddizioni ed antagonismi pronti al esplodere in quel mercato delle valute che vede un giornaliero e frenetico moto di oltre 4mila miliardi di dollari. Le ripercussioni sono evidenti sul precario equilibro delle parità monetarie e coinvolgono, negli alti e bassi di questa o quella moneta, gli investitori in concorrenza fra di loro, americani, europei e giapponesi in primis. E si guarda con nervosismo al delinearsi, dietro le quinte, di alleanze imperialistiche meno parziali e variabili di quelle che si sono fino ad oggi prospettate, soprattutto attorno alla egemonica posizione degli Usa, al momento alle prese con non poche difficoltà interne ed esterne. Tempo al tempo, dunque, e piantiamo saldi i sostegni!
DCBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #04
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