Note sull’intervento tra i lavoratori

Questo articolo non intende riproporre in modo esaustivo la nostra posizione rispetto alla questione dell’intervento tra i lavoratori. Si tratta – come si evince dallo stesso titolo – di semplici note. L’articolo è una riorganizzazione di alcune parti di un documento interno, adoperato come materiale di partenza per le riunioni organizzate recentemente su questo fondamentale tema; è una versione di tale documento sistemata per la pubblicazione, con l’aggiunta di alcune importanti considerazioni emerse dalle stesse riunioni.
Speriamo che questo lavoro possa aiutare il lettore a comprendere meglio le nostre modalità di lavoro. Per iniziare inoltre ad avere una visione più ampia sul tema dell’intervento, consigliamo la lettura di due opuscoli da noi realizzati: “L’intervento” (consultabile anche sul sito web) e “Il sindacato, la lotta di classe, l’intervento dei comunisti”; l’articolo di apertura è stato pubblicato sul numero precedente di Prometeo ed è consultabile sul nostro sito.

Introduzione

Negli ultimi anni il nostro partito ha visto una relativa crescita sia in termini numerici, con l’avvicinamento di nuovi compagni, sia in termini di attività svolta. Questa relativa crescita ha riguardato, ovviamente in proporzione alle nostre forze, anche un settore di attività che per noi resta fondamentale: l’intervento tra i lavoratori.

In Italia negli ultimi anni si sono verificati diversi episodi di lotta che hanno assunto, per certi versi, forme anche molto radicali, superando il controllo esercitato dal sindacato. Dobbiamo però dire che la risposta proletaria resta ancora debole – se paragonata all’entità dell’attacco subito – e che gli episodi di lotta dei lavoratori restano alquanto isolati; non c’è ancora, insomma, una generalizzata ripresa della lotta di classe. Così come non possiamo non rilevare che, nonostante il disgusto provato da molti proletari verso queste strutture, il sindacato in Italia riesce ancora a controllare la massa dei lavoratori, questo anche grazie ad un perfetto gioco delle parti messo in campo dal sindacalismo confederale. Un gioco dove Uil e Cisl svolgono la parte del sindacato moderato, mentre la Cgil-Fiom interpreta il ruolo di organismo formalmente conflittuale, riuscendo in parte a recuperare il malcontento, facendo sfogare la rabbia dei lavoratori dietro le consuete finte lotte. Dobbiamo dire che – inconsapevole o meno, poco importa – la stessa azione del “sindacalismo di base” pesa sulla debolezza della ripresa della lotta di classe. Continuando queste strutture sindacali a proporre, in veste formalmente più “radicale”, la solita logica del sindacato non fanno altro che allontanare i lavoratori da forme di lotta non istituzionalizzate e quindi da una vera contrapposizione lavoratori-padroni.

La realtà delle cose sta ribadendo quindi che tra crisi e ripresa generalizzata della lotta di classe da parte proletaria non c’è un nesso meccanico (1). Senza farci quindi illusioni meccanicistiche dobbiamo però tener conto che i continui sacrifici imposti alla classe lavoratrice creano, oggettivamente, condizioni tali da rendere potenzialmente più difficile l’azione del riformismo e dei sindacati. Questa potenziale debolezza, unita agli isolati episodi di lotta, apre le porte ad una maggiore possibilità di intervento per i comunisti. Tale possibilità è stata assaggiata, nel piccolo, anche dalla nostra organizzazione che si è trovata negli ultimi anni ad intervenire in situazioni certamente più interessanti rispetto agli anni passati.

Come abbiamo detto in apertura, per noi l’attività tra i lavoratori resta un elemento essenziale. Fermi restando i nostri principi politici, che da sempre proponiamo e ribadiamo, la realtà ci porta volta per volta a riflettere circa le adeguate modalità di intervento da applicare nelle diverse situazioni. Partendo dai nostri principi politici e dall’esperienza concreta, consapevoli di non essere infallibili, crediamo sia indispensabile portare avanti un continuo lavoro di riflessione per poter, in questo modo, affinare la nostra futura capacità di intervento, facendo tesoro anche degli eventuali errori commessi.

La ripresa della lotta di classe proletaria

Innanzitutto va ribadito e tenuto sempre presente che la ripresa generalizzata della iniziativa proletaria nella lotta di classe – per la difesa delle proprie condizioni – non è la conseguenza di un atto di volontà delle avanguardie politiche del proletariato (ovvero dei comunisti); non è nemmeno il prodotto necessario della loro propaganda e agitazione; ovvio è che lì dove sono presenti i comunisti devono favorire le azioni di lotta. Tale ripresa invece deriva – se si verifica – da un insieme complesso di fattori, gran parte dei quali sfuggono al controllo delle avanguardie e del partito stesso di classe; questo ultimo aspetto – purtroppo – è particolarmente vero oggi, quando la consistenza numerica delle avanguardie è ridottissima come raramente (o forse mai) è accaduto nella secolare storia del “Movimento Operaio”. Pena la totale sconfitta della eventuale ripresa di iniziativa, sarà invece compito imprescindibile delle avanguardie – in futuro, speriamo, organizzate nel Partito internazionale del proletariato – fare ogni sforzo per indirizzare la lotta di classe sul percorso organizzativo e politico più adeguato nella prospettiva rivoluzionaria della battaglia finale per il potere.

Benché sia stata pressoché cancellata dalle coscienze proletarie l’idea (chiara o confusa) di un’alternativa al capitalismo, i comunisti devono e dovranno ribadire il limite del muoversi, per quanto generosamente, sul solo terreno rivendicativo, indicando quindi come prioritaria la prospettiva del superamento del sistema fondato sullo sfruttamento. Per fare un esempio, i comunisti devono ribadire che mentre bisogna ovviamente lottare senza cedimenti per salvare ogni singolo posto di lavoro, allo stesso tempo occorre essere coscienti che i meccanismi economici del capitale sono incompatibili con il mantenimento degli attuali livelli occupazionali, quindi nessuna politica del sedicente “meno peggio” potrà garantire la sicurezza del posto di lavoro, e meno che mai per tutti. Non bisogna farsi illusioni, non sarà possibile tornare semplicemente indietro negli anni, la fase economica è completamente cambiata. Allora, il problema vero, risolutivo, non è quello di lavorare, forse, tutti, ma in condizioni ogni volta peggiori, bensì quello di farla finita con il capitalismo e il lavoro salariato. Lo sviluppo scientifico-tecnologico consentirebbe di soddisfare – e molto meglio, con un minimo numero di ore di lavoro distribuite fra tutti gli uomini e le donne in grado di eseguirlo e con un minimo numero di ore di lavoro distribuite tra tutti coloro che sono in grado di eseguirlo – i bisogni degli essere umani se solo si spezzassero le catene del profitto.

L’organizzazione autonoma delle lotte

È ad ogni modo prioritario definire le linee generali in cui la ripresa si rende possibile; una ripresa, va ribadito, vera, di massa, non episodica.

Innanzitutto fuori e, se necessario, apertamente contro il sindacato. Fuori e contro cioè la logica della delega sindacale e della contrattazione come obiettivo delle lotte. Fuori dalla lotta istituzionalizzata, oltre le leggi antisciopero. Organizzazione autonoma delle lotte, sul posto di lavoro prima e sul territorio poi, dei lavoratori via via allargata sino al coordinamento di diversi settori, mediante delegati eletti e revocabili dall’assemblea. Nella prima fase ciò si può esprimere con il darsi prime “rudimentali” forme di autorganizzazione della lotta sui singoli posti di lavoro, lotte che magari partono dopo l’attività agitatoria di lavoratori più combattivi, organizzati in comitati di agitazione e sciopero. Lotte basate sulla centralità dell’assemblea che, sola, elegge l’eventuale rappresentanza (revocabile in ogni momento) e ne guida l’azione, indicando inoltre obiettivi e modalità di lotta. Questo nel caso che il posto di lavoro occupi un numero di lavoratori sufficiente a che si dia una simile iniziativa. Ma le prime forme di organizzazione autonoma, dal basso, possono anche darsi come coordinamenti fra più unità di produzione della stessa o di diverse aziende, dello stesso o di diverso settore.

È forse utile ricordare che le espressioni “autorganizzazione delle lotte”, “organizzazione autonoma”, “dal basso”, “lotte spontanee” sono modi diversi di esprimere il medesimo concetto: il superamento di strutture istituzionali (sindacati confederali) e istituzionalizzate (sindacalismo di base).

I nostri strumenti di intervento

I nostri organismi di lavoro sono quelli che aderiscono alla piattaforma politica di partito, organismi che agiscono muovendosi intorno questa piattaforma. Questi sono – e speriamo sempre di più saranno – i militanti del partito, i Gruppi internazionalisti di fabbrica (intesa in senso lato) e di territorio, quelli che comunemente chiamiamo GIFT. I nostri organismi sono quindi strumenti di azione politica, che partecipano attivamente alle lotte dei lavoratori – quando hanno la possibilità le stimolano, le promuovono – ma vi partecipano in quanto strumenti di avanguardia politica, unendo l’attività di intervento e agitazione nella lotta ad una inseparabile azione di stimolo politico.

Trattandosi dell’intervento sui luoghi di lavoro, particolare attenzione va quindi rivolta ai GIFT. Questi sono organismi politici, espressione del partito, che partecipano alla lotta “economica”, vi portano le indicazioni politiche, si sforzano di raccogliere gli elementi migliori – nel senso di più coscienti e combattivi – quando la lotta per forza di cose rifluisce, fanno “come la calamita con la polvere di ferro”. Non necessariamente tutti i lavoratori aderenti ai GIFT aderiscono al partito, ma ne condividono gli indirizzi fondamentali, tra cui la denuncia della forma-sindacato e la prospettiva del superamento rivoluzionario del capitalismo. Insomma, il compito dei GIFT – o semplicemente dei lavoratori internazionalisti – non si esaurisce nella singola lotta economica, nei problemi relativi a una singola azienda o categoria, anche se da lì si muovono, ma va al di là di tutto questo: captare il vapore che si sprigiona – quando si sprigiona – dalle insanabili contraddizioni del modo di produzione capitalistico e farlo interagire col cilindro a pistone.

Compiti dei GIFT sono:

  1. affermare la contrapposizione e l’inconciliabilità degli interessi di classe tra borghesia (capitalisti, padroni, dirigenti, burocrati, amministratori, politicanti...) da un lato e proletariato (lavoratori “stabili” e precari, occupati e non, di entrambi i sessi e di ogni nazionalità) dall’altro;
  2. sviluppare una crescente coscienza e solidarietà all'interno della classe proletaria, individuando motivi comuni di mobilitazione che accomunano settori sempre più estesi di proletariato, superando le divisioni di genere, nazionalità, mansione, contratto ecc. tra appartenenti alla classe lavoratrice;
  3. affermare la centralità delle assemblee dei lavoratori, regolate dal principio della democrazia diretta, per ciò che concerne obiettivi immediati e modalità di lotta, nonché la necessità di estendere e collegare quanto più è possibile queste esperienze;
  4. stimolare la nascita e la generalizzazione di lotte vere, che mirino ad arrecare danno ai padroni e ad estendere la forza organizzata della classe, che non si disperdano seguendo piattaforme mirate a ricondurre le conflittualità nell’alveo istituzionale o della delega sindacale: luoghi dove la rabbia viene inevitabilmente soffocata e ricondotta alle esigenze del sistema;
  5. la puntuale denuncia del ruolo collaborazionista dei sindacati e dei loro tatticismi – dannosi o, comunque, non utili ai fini di una vera difesa delle nostre condizioni di vita e di lavoro – come la denuncia della politica di tutti quegli organismi riformisti e radical-riformisti che negano il carattere strutturale della crisi e la necessità di superare il sistema capitalista;
  6. il costante collegamento tra le rivendicazioni immediate ed il programma del superamento rivoluzionario della società di classe;
  7. la difesa e la propaganda delle analisi e delle posizioni del partito.

Va da sé quindi che la costruzione e il rafforzamento dell’organizzazione politica, il partito internazionale del proletariato, è compito essenziale delle avanguardie proletarie e di tutti coloro che si schierano con il proletariato e i suoi compiti storici. In termini organizzativi, tra le tematiche politiche che i compagni dovranno cercare di veicolare, in particolare tra i lavoratori più coscienti, centrale è la necessità di rafforzare il nostro partito, di lavorare per la costruzione del Partito internazionale del proletariato, di costruire strumenti di azione politica negli ambienti lavorativi, i gruppi internazionalisti appunto.

Le tematiche sulle quali fare leva

Dalle linee della possibile ripresa di iniziativa della classe dei lavoratori, non solo discendono le modalità con cui rapportarsi con gli organismi attraverso i quali questa lotta si esprimerà ma anche i contenuti che deve avere l’intervento nella classe. Ovvero, le tematiche sulle quali fare leva per veicolare i contenuti politici sono conseguenti alle stesse caratteristiche della futura possibile ripresa di lotta.

L’intervento fra i lavoratori deve avere e indicare come obiettivo “immediato” essenziale l’organizzazione autonoma delle lotte con le caratteristiche indicate: formazione di comitati di lotta e di sciopero, per svolgere un lavoro di agitazione, assemblee aperte sui luoghi di lavoro, per decidere modalità e obiettivi delle lotte, coordinamento di diversi settori. Questi sono gli strumenti di lotta che indichiamo in alternativa al sindacato. La critica al sindacato segna un primo passo di rottura verso l’ideologia dominante, inoltre fornisce la possibilità di iniziare a veicolare contenuti politici nel momento in cui si critica il riformismo politico promosso dal sindacalismo.

La difesa del posto di lavoro, perennemente in pericolo, la battaglia contro il precariato, la rivendicazione salariale in qualunque ambito contrattuale, la rivendicazione normativa e/o relativa ad ambiente e sicurezza. Questi sono tutti temi centrali dai quali partire per la possibile agitazione politica, temi sui quali devono convergere le avanguardie per un intervento che miri ad orientare la ripresa di iniziativa del proletariato verso una condizione politica nella quale si rende possibile l’ampia circolazione del programma rivoluzionario anti-capitalista. È questa ampia circolazione, infatti, a sua volta, la condizione imprescindibile del successo definitivo e dell’emancipazione dal lavoro salariato, inevitabilmente a scala internazionale.

L’intervento negli organismi di lotta della classe

Per approfondimenti sulla questione sindacale rimandiamo al lavoro citato in apertura. Vogliamo in questo momento semplicemente ribadire che:

Il sindacato non sarà la forma organizzativa attraverso la quale si esprimerà un’aperta rottura della “pace sociale”, neanche sul piano semplicemente rivendicativo. Questo, ovviamente, non significa che non ci sarà più lotta rivendicativa o che l’intervento dei comunisti nella lotta di classe proletaria abbia perso valenza, significa semplicemente che tale lotta si esprimerà attraverso altre forme organizzative. Quali? La risposta – anche in questo caso - ci viene data dalla storia, dagli stessi lavoratori. Negli ultimi decenni – ma non solo – gli episodi di lotta più significativi hanno visto come protagonisti diretti i lavoratori e non il sindacato. Il sindacato magari è intervenuto successivamente, con l’effetto (e l'obiettivo!) di addormentare la situazione (2).

L’autorganizzazione delle lotte – attraverso assemblee, coordinamenti, comitati si sciopero ecc. – può nascere indipendentemente dalla presenza o meno dei rivoluzionari ma è nostro dovere politico agitare la parola d’ordine dell’organizzazione autonoma delle lotte con lo scopo di:

  1. favorirne, quando possiamo, lo sviluppo; quando interveniamo sui luoghi di lavoro dobbiamo dare delle indicazioni concrete e in alcuni casi queste nostre indicazioni posso essere da stimolo per la maturazione di un processo di autorganizzazione;
  2. indicare una alternativa chiara al sindacato, adoperare questa indicazione come strumento di critica alle organizzazioni sindacali;
  3. trovare un primo punto di contatto, di simpatia e interesse, con lavoratori più coscienti (almeno rispetto la critica al sindacato).

Ribadiamo nuovamente che la rottura con il sindacato resta oggi un primo indispensabile passo in avanti per la presa di coscienza dei lavoratori e per la crescita organizzativa della classe. Un passo non sufficiente per noi comunisti ma un passo necessario. I comunisti devono favorire la crescita della classe, in termini di coscienza e di organizzazione, questo dobbiamo farlo anche – ovviamente non solo – agitando e favorendo i processi di autorganizzazione delle lotte, quando possiamo.

Un paio di precisazioni.

La prima. La nostra analisi della questione sindacale ci porta ad escludere categoricamente una azione rivolta alla conquista della direzione di sindacati. Escludere dal nostro lavoro lo strumento sindacato non significa affatto escludere l’ambito. Ovvero: noi riteniamo doveroso intervenire in tutte le manifestazioni organizzate dai sindacati nelle quali ci sono lavoratori, in quegli ambiti dove c’è la base: assemblee, manifestazioni, cortei. Ovviamente lo faremo innanzitutto criticando il sindacato.

Seconda precisazione. Riteniamo le manifestazioni di autorganizzazione delle lotte – gli organismi attraverso i quali queste si esprimeranno – l’ambito privilegiato di intervento per i comunisti. Ciò significa sostenere questi organismi, aiutarli a crescere, esserne anche parte attiva, sostenere le loro iniziative. Tutto questo però non significherà semplicemente accodarsi. Non possiamo accodarci ai limiti, propri della spontaneità, che questi organismi comunque esprimeranno. Lotta spontanea significa lotta che supera realtà istituzionali e istituzionalizzati, lotta che supera il sindacato, fuori anche dal riformismo organizzato, ma non significa superare totalmente l’ideologia dominante, non significa maturare automaticamente una coscienza rivoluzionaria, non significa muoversi quindi su un chiaro programma politico anti-capitalista. I comunisti devo intervenire in queste realtà sempre come avanguardia comunista, sempre preservando la chiarezza e l’indipendenza politica. Compito dei militanti sarà quello di trovare le forme di intervento per riuscire a conciliare i due aspetti: sostegno, intervento attivo e chiarezza politica. Questo è un elemento fondamentale dell’intervento, proprio perché è compito dei comunisti – parte della classe nella classe – spingere verso la coscienza e il programma rivoluzionario. È compito dei comunisti spingere i lavoratori a superare i limiti della spontaneità.

Nuove forme di vita proletaria? La chiarezza innanzitutto

Abbiamo cercato fin qui di delineare le linee generali della possibile ripresa della lotta di classe e di definire alcuni aspetti che riguardano il conseguente lavoro di intervento dei comunisti. Ovviamente non possiamo non tener conto che nel nostro intervento potremmo trovarci di fronte a situazioni meno chiare rispetto a quelle sopra descritte. Situazioni ibride che comunque potrebbero rappresentare interessanti esperienze e momenti di lavoro. Questo potrebbe accadere in particolare in questa fase storica, dove la ripresa della lotta di classe resta molto stentata e tra i lavoratori regna smarrimento, confusione. Su questo aspetto, basandoci anche su nostre recenti esperienza, vogliamo riportare alcune riflessioni.

Prima riflessione. Come detto, oggi, ripartiamo, se ripartiamo, da molto indietro. Gli episodi che vedono la classe operaia rialzare la testa ed eventualmente mettere in affanno il sindacato – vere boccate d'aria fresca – non devono farci dimenticare che, finora, si tratta appunto di episodi. A maggior ragione, però, bisogna guardare con interesse a quello che si muove dentro la classe, senza spocchia, senza pregiudizi, ma nemmeno senza entusiasmi fuori luogo.

Rientrano in questo quadro sparute iniziative di coordinamenti di lavoratori che sorgono qui e là, magari anche dopo una lotta per certi versi vittoriosa. Si tratta di piccoli organismi che, come dichiarano apertamente, si prefiggono di mettere in contatto lavoratori più coscienti o esperienze che, altrimenti, rimarrebbero isolate e sconosciute le une agli altri. Un tentativo di coltivare tenere pianticelle classiste nel deserto dello strapotere borghese. Quale deve essere, perciò, il nostro atteggiamento? Ribadiamo innanzitutto il concetto che organismi di lotta dei lavoratori – comitati di agitazione e sciopero, assemblee ecc. – non sono organismi permanenti, ma la loro esistenza è legata alla vita della specifica lotta. Nati da determinate situazioni di conflitto, sono destinati ad esaurirsi con l’affievolirsi della stessa situazione conflittuale, cioè quando – in un modo o nell'altro – vengono meno le ragioni specifiche dello sciopero ecc. Organismi che poi magari possono ricostituirsi di fronte a nuovi momenti di conflittualità. Detto questo, in assoluto non si può escludere che, per un certo periodo di tempo, nascano e vivano forme di vita proletaria relativamente nuove e diverse dai vecchi intergruppi, che erano – o potrebbero essere – chiara emanazione di precise e strutturate organizzazioni politiche. Oggi il livello di coscienza è talmente basso, la confusione talmente alta, la mancanza di riferimenti classisti pressoché totale, per cui possono essere valutati positivamente eventuali organismi assembleari in cui elementi dispersi sul territorio, in cerca di riferimenti di classe, si trovino, si colleghino, discutano. Va benissimo, purché si abbia chiaro ciò che sono. Non sono intergruppi, però non è da escludere che nascono – se nascono – con l'apporto di elementi ben caratterizzati politicamente. Non sono comitati di lotta, se la lotta è finita o non c'è mai stata o se non si è in situazioni tali da poter almeno prevedere l’inizio di un reale momento di lotta. I partecipanti provengono, a volte e almeno in parte, da una recente esperienza di conflitto. Possono quindi costituire un interessante terreno di intervento, palestra, confronto e di battaglia politica per i militanti del partito, ma in nessun caso sono in grado di assolvere i compiti del partito e dei suoi bracci operativi nella classe: per noi, i Gruppi Internazionalisti di Fabbrica e di Territorio. Possono essere comunque realtà di interesse, da valutare ovviamente volta per volta.

Seconda riflessione. Rispetto agli organismi di autorganizzazione delle lotte, forse non è superfluo sottolineare che molto spesso le lotte autonome/spontanee possono nascere per iniziativa di elementi già politicizzati o con un grado di politicizzazione superiore a quella dell’operaio “medio”. Un conto, però, è rilevare questo dato elementare, un altro pretendere che la lotta di classe, in particolare quella di carattere “economico”, venga totalmente a mancare in assenza del partito comunista. Ma se è del tutto “naturale”, in quanto inevitabile, ritrovarsi ad operare anche con questi elementi sul terreno della lotta nei comitati di sciopero e nelle assemblee che eventualmente sorgessero – come per altro è sempre avvenuto – tutt’altra cosa è illudersi di poter procedere sul terreno squisitamente politico se si tratta di consolidati militanti di altri gruppi. Si ricadrebbe nella nefasta strategia del “Fronte Unico”, primo grave segnale della degenerazione verso cui si stava avviando la Terza Internazionale. Dobbiamo inoltre renderci conto che, essendo la nostra azione volta a veicolare contenuti politici, negli stessi organismi di autorganizzazione delle lotte potremmo in certi momenti trovarci a scontrare con elementi provenienti da altre organizzazione.

Per quanto limitato possa essere il successo rivendicativo di tali esperienze, costituirebbero comunque preziose esperienze positive per i lavoratori interessati e per quelli che in un modo o nell’altro le vengono a conoscere. Infatti, ciò che prima di tutto interessa ai comunisti non è tanto – e certamente non solo – il “successo rivendicativo”, quanto il risultato politico, se cioè ha permesso di far crescere, anche di poco, il livello della coscienza di classe, o se ha permesso di irrobustire il partito con l’adesione di nuovi militanti o l’allargamento dell’area dei simpatizzanti.

Terza riflessione. Vogliamo ancora una volta ribadire che l’organizzazione autonoma delle lotte significa innanzitutto fuori dal controllo dei sindacati, superamento della logica del sindacato stesso. Spesso infatti si presentano esperienze apparentemente nuove ed extra-sindacali che in sostanza nulla hanno a che fare con reali momenti di autorganizzazione di classe. Per capirci meglio, riportiamo come esempio l’ “Assemblea degli autoconvocati” alla quale abbiamo assistito più volte a Roma. Queste esperienze, in termini organizzativi, non presentano molto di nuovo, restano impantanate nella logica del sindacato e del “recupero” di questi. Di fatto rappresentano semplicemente l’argine a sinistra del sindacalismo, confederale o di base. Restando all’esempio dell’assemblea romana, dopo le prime riunioni hanno iniziato a prevalere gli interventi dei funzionari e militanti sindacali (CGIL e sindacati di base).

Proprio perché il carattere confuso ed ibrido è conseguenza dell’arretratezza e dello smarrimento, a maggior ragione in situazioni del genere la nostra proposta dovrà essere più chiara che mai. Lanciamo la parola d’ordine dei comitati di lotta (di agitazione, di sciopero) per spingere i lavoratori più combattivi a dar vita ad un organismo che abbia la “semplice” funzione di stimolare la lotta, uno strumento per promuoverla. Lanciamo la parola d’ordine delle assemblee aperte tra i lavoratori per indicare lo strumento di organizzazione e gestione delle lotte. Lanciamo l’indicazione dei coordinamenti fatti di lavoratori per unire le lotte, coordinarle. Anche quest'ultimo, il coordinamento, è uno strumento legato alla lotta, non uno strumento permanente. Uno solo è invece lo strumento che indichiamo quando intendiamo promuovere la creazione di organismi permanenti – quindi politici – dei lavoratori: i GIFT, gruppi politici rivoluzionari sui posti di lavoro. Queste sono le parole d’ordine sul piano organizzativo che facciamo circolare durante il nostro intervento. È ovvio che a seconda del momento, a seconda della situazione, particolare attenzione sarà data all’una o all’altra indicazione, ma nell’intervento complessivo queste indicazioni vengono tutte tutte chiaramente. Sono queste indicazioni che ci caratterizzano, ci distinguono da tutto il resto. Sono con queste chiare indicazioni che iniziamo a stimolare i lavoratori, a maggior ragione in situazioni più arretrate, confuse e ibride.

Sulla partecipazione alle RSU e organismi simili

Nell’opuscolo citato in apertura, sull'argomento si fanno le seguenti considerazioni:

La nostra azione comporta sempre il distacco da ogni possibile accostamento e coinvolgimento con le posizioni e la prassi di un qualunque sindacalismo, tanto tradizionale che apparentemente di base. (pag.4) [...] chi detta oggi i ritmi e determina il livello di scontro della lotta di classe è la borghesia, mentre la classe operaia è incapace di abbozzare una seppur timida ripresa [il testo risale a prima del 2007, ndr]. In queste condizioni è facile per chi interviene in fabbrica, in condizioni di grande difficoltà, essere tentato di utilizzare lo strumento della elezione nelle RSU per cercare di rompere il proprio isolamento. Noi abbiamo più volte precisato condizioni e rischi di questa eventualità: il rischio reale è quello di rimanere invischiati nella palude delle regole, dei vincoli e dei compromessi della contrattazione in una logica parasindacalistica. La candidatura [nelle RSU, ndr] può essere invece utilizzata per un periodo limitato nel tempo quando vi sono reali possibilità di agire con maggiore efficacia in situazioni di malcontento diffuso e in aperta opposizione al sindacato. Il ruolo del delegato comunista non è quello di trattare con il padrone, ma quello di denunciare le condizioni di sfruttamento e smascherare il ruolo del sindacato. Ruolo non facile, ma inevitabile per un militante comunista.

Da sempre, quindi, non escludiamo a priori una partecipazione alle RSU ma da sempre ne sottolineiamo la “pericolosità” ponendo dei paletti, delle condizioni ben precise per questa pratica. C’è poi da verificare se ci potranno essere situazioni dove effettivamente poter attuare tali pratiche di partecipazione alle RSU compatibilmente ai paletti che noi poniamo.

Per quanto riguarda quindi questa questione non si può far altro che ribadire quanto è stato detto in più occasioni e cioè che si tratta di un “esperimento” da farsi, eventualmente, solo in via eccezionale e per un periodo limitato, altrimenti si cade in contraddizione con la nostra impostazione metodologica di fondo e in un sindacalismo solamente più radicale di quello confederale. In ogni caso, condizione dell'“esperimento” è la spinta proveniente dalla “base” operaia, dai compagni di lavoro che premono affinché il nostro compagno (o compagna) entri nelle RSU. Ma l'elezione a membro delle RSU deve avvenire sulla base della chiarezza ossia i nostri compagni accettano eventualmente – e in situazioni particolari – la candidatura solo dopo che hanno apertamente illustrato alla “base” le loro posizioni (cioè del partito) sul sindacato e la lotta di classe.

Strumenti e ambiti di intervento

Concludiamo questo documento ribadendo un aspetto fondamentale. Bisogna operare avendo ben chiara la distinzione tra strumenti politici di partito e ambiti di intervento per il partito.

Gli strumenti permanenti, politici, sono le sezioni di partito, i militanti e – in particolare per l’intervento tra i lavoratori – sono i GIFT. I GIFT sono organismi politici espressione del partito, che si costituiscono intorno ai nostri militanti e stretti simpatizzanti.

Gli organismi attraverso i quali la lotta dei lavoratori si esprime, al di là di come si presentino, rappresentano invece un ambito di intervento per il partito e non strumenti di partito. I comunisti partecipano e sono parte attiva in questi organismi della lotta di classe, partecipano in tali organismi di classe con i propri strumenti. Possono parteciparvi da esterni favorendone la formazione, possono – in quanto lavoratori – promuoverli, ma in ogni caso questi restano ambiti di intervento per i comunisti e non strumenti di intervento.

Così come, in determinate situazioni, noi possiamo favorire un lavoro di aggregazione che avvicini lavoratori più combattivi di diverse realtà ma questo lavoro resterà per noi un ambito di intervento.

In ogni ambito di intervento cercheremo sempre di lavorare come avanguardia comunista, promuovendo con chiarezza gli organismi di autorganizzazione delle lotte e promuovendo la costruzione, o il rafforzamento, degli organismi politici di classe.

NZ

(1) Mentre certamente possiamo affermare che la crisi ha spinto inevitabilmente la classe borghese ad apportare negli ultimi anni un attacco al proletariato internazionale ormai senza esclusione di colpi.

(2) Da “Il sindacato, la lotta di classe, i comunisti”, Prometeo settima serie, numero 5.

Martedì, April 24, 2012

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.