A 110 anni dalla pubblicazione, omaggio al “Che fare?” di Lenin

Il “Che fare?” di Lenin è un testo fondamentale del pensiero rivoluzionario sul tema del rapporto che intercorre tra il partito e la classe proletaria.

Pubblicato nel 1902 come contributo al II congresso del Partito Operaio Social-Democratico, il libro nasce nella battaglia contro la corrente economista/opportunista del partito, strumento di una

lotta decisa contro questo orientamento amorfo e mal definito, ma perciò tanto più stabile e capace di rinascere sotto forme diverse (1).

È dalla battaglia contro l'opportunismo, battaglia aspra e condotta a volte forzando, in maniera polemica, alcune posizioni, che nasce questa opera e l'idea del partito rivoluzionario di classe così come lo intendiamo oggi.

Il migliore omaggio che possiamo rendere al “Che fare?” e al suo autore è allora quello di produrre una sorta di guida alla lettura che possa permettere ai nuovi compagni che si avvicinano al libro di approcciarvisi con maggiore facilità, senza lasciarsi scoraggiare dai tanti riferimenti storico/polemici in esso contenuti e che possono far perdere di vista l'essenziale.

Dogmatismo e libertà di critica

Che cosa significa libertà di critica. Lenin apre il libro con la descrizione del contesto politico internazionale nel quale si colloca il suo contributo.

La lotta contro l'economismo è, nel 1902, il riflesso russo della battaglia internazionale che vede schierati su due fronti opposti riformisti e rivoluzionari. Questa battaglia culminerà nel 1919 con la rottura: la conquista della definitiva indipendenza del programma rivoluzionario e la nascita, attraverso la fondazione della Internazionale comunista, di autentici partiti comunisti (e non più socialdemocratici (2) come – a causa della convivenza tra socialisti riformisti e rivoluzionari – si chiamavano fino ad allora). Così, afferma Lenin,

non è un mistero per nessuno che nella moderna socialdemocrazia internazionale si siano formate due tendenze. [Per i riformisti] la socialdemocrazia deve trasformarsi da partito di rivoluzione sociale in partito democratico di riforme sociali.

Dopo aver delineato il quadro internazionale passa descrivere i tratti generali dell'impostazione politica dell'opportunismo:

Si nega la possibilità di dare un fondamento scientifico al socialismo e di provare che, dal punto di vista della concezione materialistica della storia, esso è necessario e inevitabile; si nega il fatto della miseria crescente, della proletarizzazione, dell'inasprimento delle contraddizioni capitalistiche; si dichiara inconsistente il concetto stesso di “scopo finale” e si respinge categoricamente l'idea della dittatura del proletariato; si nega l'opposizione di principio tra liberalismo e socialismo; si nega la teoria della lotta di classe, che sarebbe inapplicabile in una società rigorosamente democratica, amministrata secondo la volontà della maggioranza ecc.

Questa denigrazione del programma socialista è una vera e propria tragedia per il proletariato perché condotta tra le sue stesse file, perché in compenso di

questo pervertimento della coscienza socialista delle masse operaie - unica base che possa garantirci la vittoria - ci si presentano a suon di tromba progetti di riforme miserabili.

Dopo aver così delineato l'avversario, Lenin passa a delineare qual è la componente rivoluzionaria che si esprime per mezzo della sua penna:

Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa, allo scopo di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare nel vicino pantano, i cui abitanti, fin dal primo momento, ci hanno biasimato per aver costituito un gruppo a parte e preferito la via della lotta alla via della conciliazione. Ed ecco che taluni dei nostri si mettono a gridare: “andiamo nel pantano!”. […] Ma lasciate la nostra mano, non aggrappatevi a noi e non insozzate la grande parola della libertà perché anche noi siamo “liberi” di andare dove vogliamo, liberi di combattere non solo contro il pantano, ma anche contro coloro che si incamminano verso di esso!

I nuovi difensori della libertà di critica. I difensori della “libertà di critica” (opportunisti) negano la frattura di classe. L'opportunismo (bersteinismo, economicismo...), negando gli opposti interessi tra le classi sociali, si pone sul terreno della borghesia: l'opportunismo internazionale ha un contenuto unitario che si manifesta in modalità differenti nei differenti paesi.

La critica in Russia. L'inizio del movimento operaio russo vide la confluenza e del movimento spontaneo e del “pensiero sociale d'avanguardia” orientato verso il marxismo, una componente eterogenea che si unì sotto la comune bandiera della lotta contro un nemico comune, ossia contro convenzioni politiche e sociali superate, proprie del sistema sociale semi-feudale russo nel quale la borghesia non era ancora divenuta classe dominante unica.

La componente marxista, proletaria e rivoluzionaria e quella borghese-democratica (detta marxismo legale) strinsero una momentanea alleanza. Ecco che, in quel contesto, afferma Lenin,

soltanto chi non ha fiducia in sé stesso può aver paura di stringere alleanze temporanee anche con elementi incerti.

Ma questa concezione delle alleanze regge ed è possibile solo in una fase storica la quale pone come possibile la “lotta contro il comune nemico”. La possibilità, e l'utilità, di alleanze con settori borghesi di sinistra si rendeva concreta solo nello svolgersi della lotta comune contro un comune nemico, una terza classe né borghese, né proletaria: l'aristocrazia semi-feudale. Tale tematica delle alleanze, così formulata, non ha invece più ragione di esistere oggi, nel momento in cui, in tutto il mondo, la borghesia è l'indiscussa ed unica classe dominante. Al fine di precisare meglio la sua teoria sulle alleanze, infatti, Lenin precisa:

i rappresentanti di questa corrente [marxismo legale - ndr] sono per la socialdemocrazia degli alleati naturali e desiderabili quando si tratta dei suoi obiettivi democratici che vengono messi in primo piano dalla presente situazione russa [grassetto nostro].

Va da sé che il proletariato, nella fase attuale dei dominio mondiale incontrastato del capitalismo, non ha obiettivi democratici (borghesi) da condividere con chicchessia, per questo, oggi, non ha senso parlare di “alleanze”.

In ogni caso, lo stesso Lenin si affretta a precisare che la possibile alleanza non deve snaturare il programma proletario e rivoluzionario del marxismo: l'indipendenza politica e programmatica della classe deve sempre essere garantita dalla

piena possibilità di svelare alla classe operaia che i suoi interessi e quelli della borghesia sono opposti, ostili.

Cosa che l'opportunismo di ogni tempo, puntualmente, ha negato, pervertendo così

la coscienza socialista, svilendo il marxismo, predicando la teoria dell'attenuazione degli antagonismi sociali, dichiarando che l'idea della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato è insensata...

riducendo in questo modo il movimento operaio e la lotta di classe a un gretto tradunionismo (3), e alla lotta “realista” per piccole riforme graduali.

Engels e l'importanza della lotta teorica. La libertà di critica (opportunismo) non pretende in realtà la sostituzione di una teoria (il marxismo ortodosso) con un altra teoria differente. L'opportunismo, sotto un fitto strato di parole e ragionamenti, in realtà, vuole la libertà da ogni teoria coerente e ponderata: l'opportunismo è eclettismo e mancanza di principi.

Nella pratica, l'opportunismo è intrinsecamente antirivoluzionario, infatti “senza teoria rivoluzionaria non può esistere movimento rivoluzionario”, lo stesso genere di valutazione portava Marx ad affermare

fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei principi e non fate “concessioni” teoriche.

L'importanza della teoria rivoluzionaria emerge con tanta maggiore forza laddove si tratta di:

  1. Saldare i conti con le altre correnti del pensiero rivoluzionario, dalle quali settori del partito provengono e le quali potrebbero far deviare il movimento dalla giusta via (pensiamo oggi ai tanti compagni che approdano all'internazionalismo provenendo da esperienze autonome, movimentiste, anarchiche, trotskiste ecc.).
  2. Saper valutare criticamente e verificare da se stessi l'esperienza di altri movimenti/partiti rivoluzionai in altri paesi.
  3. Visto che “solo un partito guidato da una teoria d'avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia” tanto più alti sono i compiti politici del movimento, tanto superiore è l'interesse del partito per la teoria.

Per questo Engels, nel 1874, affermava che:

esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica), […] ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica.

Tre fronti quindi, teorico, politico e pratico-politico (resistenza ai capitalisti).

Sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire sempre più tutte le questioni teoriche, liberarsi sempre più completamente dell'influsso delle frasi fatte proprie della vecchia concezione del mondo, e tenere sempre presente che il socialismo, da quando è diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato.

Queste sono le premesse metodologiche che Lenin pone prima di passare al tema vero e proprio del suo saggio.

La spontaneità della masse e la coscienza della socialdemocrazia

Il secondo capitolo si apre tratteggiando i caratteri dell'ascesa del movimento rivoluzionario nel 1895 e la posizione dell'economicismo rispetto a questo:

la forza del movimento contemporaneo consiste nel risveglio delle masse (e principalmente del proletariato industriale) e la sua debolezza nella mancanza di coscienza e di iniziativa dei dirigenti rivoluzionari.

Per gli opportunisti, al contrario, vi è nel partito una

sottovalutazione dell'importanza dell'elemento oggettivo o spontaneo dello sviluppo.

È dalla presa d'atto di questa antitesi che inizia la trattazione del tema del rapporto tra spontaneità e coscienza.

Inizio dell'ascesa del movimento spontaneo.

L'elemento spontaneo non è che la forma embrionale della coscienza: gli scioperi sistematici rappresentano solo gli embrioni della lotta di classe.

Tutte le lotte spontanee annunciano il risveglio dell'antagonismo fra operai e padroni, ma non sono ancora lotte socialiste. In esse i proletari coinvolti non hanno ancora la piena coscienza

dell'irriducibile antagonismo fra i loro interesse e tutto l'ordinamento politico e sociale contemporaneo, cioè la coscienza socialdemocratica. […] [Il proletariato in lotta] con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operi ecc.

Rispetto alla tensione naturale del movimento spontaneo a rifluire nell'alveo del sindacalismo e del rivendicazionismo immediato, la parte rivoluzionaria

riteneva possibile presentare, proprio allora, agli inizi stessi del movimento spontaneo un vasto programma e una tattica di combattimento...

Un piano insomma. Il piano organizzato di lavoro è proprio quell'elemento cosciente che l'opportunismo nega, teorizzando, al contrario, la sottomissione servile alla spontaneità.

La sottomissione alla spontaneità. La Rabociaia Mysl.

Ogni sottomissione del movimento operaio alla spontaneità, ogni menomazione della funzione dell'“elemento cosciente”, della funzione della socialdemocrazia significa di per sé – non importa lo si voglia o no – un rafforzamento dell'influenza dell'ideologia borghese sugli operai... [E questo rafforzamento avviene necessariamente perché] per le sue origini, l'ideologia borghese è ben più antica di quella socialista, essa è meglio elaborata in tutti i suoi aspetti e possiede una quantità incomparabilmente maggiore di mezzi di diffusione... [Insomma] il compito della socialdemocrazia, consiste nel combattere la spontaneità, nell'allontanare il movimento operaio dalla tendenza spontanea del tradunionismo a rifugiarsi sotto l'ala della borghesia; il nostro compito consiste nell'attirare il movimento operaio sotto l'ala della socialdemocrazia rivoluzionaria.

Si sono quindi individuate due direttive, la prima è la tendenza spontanea dei proletari a fare propria una politica tradeunionistica, ossia l'aspirazione ad ottenere dallo Stato misure atte a rimediare ai mali che comporta la loro condizione, ma non ancora a sopprimere questa condizione, cioè a distruggere la sottomissione del lavoro al capitale. La seconda è quella dei rivoluzionari:

Il socialismo e la lotta di classe nascono uno accanto all'altra e non uno dall'altra; essi sorgono da premesse diverse, […] il detentore della scienza non è il proletariato, ma sono gli intellettuali borghesi; anche il socialismo contemporaneo è nato nel cervello di alcuni membri di questo ceto, ed è stato da essi comunicato ai proletari più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato, dove le condizioni lo permettono. La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall'esterno, e non qualcosa che ne sorge spontaneamente. […] il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la coscienza emanasse da sé dalla lotta di classe.

In questa affermazione, come all'inizio di questo capitolo – per fini polemici – Lenin è un po' troppo netto. Tornando su questi temi, nel corso del dibattito congressuale, affermerà infatti:

Tutti noi sappiamo adesso che gli economisti avevano curvato il bastone da una parte. Per raddrizzarlo era necessario curvarlo dalla parte opposta, e io l'ho fatto. (4).

È quindi opportuno precisare meglio l'aspetto centrale del rapporto tra il partito e la classe, ci serviremo delle parole di O. Damen (5):

porre i problemi in modo estremamente drastico e unilaterale si addice al linguaggio polemico, ma noi ora abbiamo bisogno di una verità più generale. La distinzione rigida tra l'operaio che può sviluppare solo una coscienza tradeunionista e l'intellettuale borghese che, in quanto detentore della scienza e della tecnica, è portatore della coscienza socialista è una valutazione scolastica, dualistica, lontana dalla visione dialettica del problema... Socialismo e lotta di classe, anche se sorgenti da premesse diverse, sono tuttavia il risultato dell'intrecciarsi di due momenti necessari di un unico processo, quello delle vicende di classe. Il socialismo non è nato dalla scoperta di una formula, sia pur essa genialissima, non è il risultato di indagini di laboratorio, non è soltanto scienza ma è anche un nuovo modo di porsi il problema della vita, una nuova visione del mondo sorta dallo sviluppo del moderno capitalismo e maturata via via sotto il pungolo delle sue stesse contraddizioni. [I marxisti] hanno tutti avuto il compito di “introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione” ma gli elementi formativi di tale coscienza hanno la loro matrice storica nella classe lavoratrice, si riflettono volta a volta nel cervello di alcuni uomini, come in un laboratorio di sistemazione scientifica, per ritornare quindi alla classe per aiutarla e far sua questa “coscienza del fine” in modo sempre più chiaro e distinto.

Quindi dalle esperienze della classe alla elaborazione scientifica nel partito e dal partito nuovamente alla classe sotto forma di intervento e direzione politica.

Il gruppo di autoemancipazione e il Rabiceie Dielo. Al suo risveglio alla lotta il proletariato afferra spontaneamente i primi strumenti che si rendono disponibili, e questi sono esattamente i mezzi sindacali e l'ideologia borghese del miglioramento delle condizioni sociali fermo restando il capitalismo (sindacalismo, tradeunionismo).

Alla sua apparizione, il movimento spontaneo di massa offre ai rivoluzionari due opzioni: o fare proprie le istanze che il movimento spontaneamente produce, accodandosi ad esso, o sviluppare i nuovi compiti teorici, politici, e organizzativi che la sua stessa esistenza pone. Quanto più grande è la spinta spontanea della masse, quanto più il movimento si estende, tanto più aumenta, in modo incomparabilmente più rapido, il bisogno di coscienza nell'attività teorica, politica e organizzativa della socialdemocrazia.

I comunisti, in un dato momento politico, devono essere guidati da un piano rigorosamente applicato. Gli opportunisti affermano che è desiderabile la lotta che è possibile, possibile è la lotta che si svolge in questo momento: ogni piano violenterebbe il naturale svilupparsi del movimento.

Per i marxisti la metodologia di approccio ai movimenti è però sempre la medesima, cioè

risolvere dapprima i problemi teoricamente, per poi convincere della giustezza di questa soluzione l'organizzazione, il partito e le masse! […] in che consiste la funzione della socialdemocrazia se non nell'essere lo “spirito” che non soltanto aleggia sul movimento spontaneo, ma eleva quest'ultimo fino al “suo programma”? In ogni caso, la funzione della socialdemocrazia non è di trascinarsi alla coda del movimento cosa che nel migliore dei casi è inutile, e, nel peggiore, estremamente nociva per il movimento stesso. [questo atteggiamento, più che opportunismo deve essere definito] codismo.

Politica tradunionista e politica socialdemocratica

Il concetto di “politica” degli opportunisti devia continuamente verso la concezione sindacalista (tradeunionista) della lotta politica, il presente capitolo si concentra quindi sulle differenze tra le due concezioni.

L'agitazione politica e la sua limitazione da parte degli “economisti”

per evitare ogni malinteso è opportuno notare che per “lotta economica” intendiamo sempre […] la “lotta economica pratica” che Engels, nella citazione sopra riportata, ha chiamato “resistenza ai capitalisti” e che, nei paesi liberi, è chiamata lotta professionale, sindacale o tradunionista.

Innanzi tutto gli strumenti di tale lotta: le denunce economiche, sulle fabbriche, sono uno strumento notevole di lotta economica, e così sarà finché sussisterà il capitalismo, il quale incita necessariamente gli operai a difendersi da sé. Questa attività di per sé non è ancora socialdemocratica, ma soltanto sindacale. Le denunce si riferiscono unicamente ai rapporti dei lavoratori coi loro padroni in una sola categoria o luogo di lavoro e hanno come obiettivo quello di portare i venditori di forza-lavoro a vendere meglio la loro merce (la forza-lavoro, appunto), siamo ancora sul terreno prettamente commerciale, nell'ambito delle condizioni di compra e di vendita della forza-lavoro. Queste denunce possono essere il punto di partenza per un lavoro rivoluzionario o possono assestarsi sul terreno immediato, sindacale.

La socialdemocrazia dirige la lotta della classe operaia non soltanto per ottenere condizioni vantaggiose nella vendita della forza-lavoro, ma anche per abbattere il regime sociale che costringe i nullatenenti a vendersi ai ricchi. La socialdemocrazia rappresenta la classe operaia non nei suoi rapporti con un determinato gruppi d'imprenditori, ma nei suoi rapporti con tutte le classi della società contemporanea, con lo Stato, come forza politica organizzata. È dunque evidente che i socialdemocratici non soltanto non possono limitarsi alla lotta economica, ma non possono nemmeno ammettere che l'organizzazione di denunce economiche sia la parte prevalente della loro attività. Dobbiamo occuparci attivamente dell'educazione politica della classe operaia, della sviluppo della sua coscienza politica.

Le denunce devono essere dirette ovunque il rapporto di oppressione e sfruttamento si manifesti, il loro obiettivo deve essere, infatti, quello di denunciare la globalità del sistema economico dominante, in ogni suo aspetto ed espressione, insomma, per quanto centrale, l'agitazione dei comunisti non può e non deve circoscriversi alla sola attività nelle fabbriche.

La lotta economica immediata è, necessariamente, una lotta di categoria, la quale mira ad ottenere miglioramenti nelle condizioni di lavoro di quella data categoria. Dare opportunisticamente a quella “lotta economica stessa un carattere politico”, significa allora adoperarsi per avere migliori misure legislative ed amministrative, ossia ciò che dovrebbero fare i sindacati. I “comunisti” che si impegnano a “dare alla stessa lotta economica un carattere politico”, a sviluppare la “lotta economica contro i padroni e contro il governo” (quella che oggi si chiamerebbe la “lotta per obiettivi concreti”), di fatto si impegnano ad abbassare la politica comunista al livello della politica sindacale, della lotta per le riforme economiche. Il legame tra lotta per le riforme (quando, dove e se possibile) e programma rivoluzionario è sempre di subordinazione. I comunisti, di fatto, approfittano dell'agitazione economica (p.es. No ai licenziamenti! No ai tagli! ecc.) non soltanto per presentare rivendicazioni di ogni genere, ma anche per rivendicare la soppressione del regime capitalista. Insomma, subordinano

la lotta per le riforme alla lotta rivoluzionaria per la libertà e il socialismo, come la parte è subordinata al tutto.

Ove si racconta come Martynov ha approfondito Plechanov. I differenti compiti dell'approccio all'intervento, all'interno del partito, sono così strutturati: i teorici scrivono saggi che inquadrano teoricamente le questioni, i propagandisti trasformano queste teorie in un sistema di idee che trasmettono ad un ristretto numero di persone attraverso articoli, conferenze etc, gli agitatori traggono dagli esempi eclatanti della vita quotidiana gli argomenti per denunciare un particolare modo nel quale l'oppressione capitalista si è manifestato.

Questi sono i momenti nei quali si articola l'intervento del partito nella classe. Come si vede l'appello organizzativo alla lotta, all'azione immediata, esula da questi tre momenti. Approfondiamo.

Denunce politiche e “tirocinio dell'attività rivoluzionaria”. L'elevazione dell'attività della masse operaie è possibile solo se non ci si limita all'agitazione sul terreno economico immediato, è bensì necessario organizzare

denunce politiche in tutti i campi della vita. Solamente con queste denunce si potrà educare la coscienza politica e suscitare l'attività rivoluzionaria delle masse. […] la coscienza della classe operaia non può diventare vera coscienza politica se gli operai non si abituano a reagire contro ogni abuso. […] qualunque sia la classe che ne è colpita, e a reagire da un punto di vista socialdemocratico e non da un punto di vista qualsiasi. La coscienza delle masse operaie non può essere una vera coscienza di classe se gli operai non imparano a osservare, sulla base dei fatti e degli avvenimenti politici concreti e attuali, ognuna della altre classe sociali in tutte le manifestazioni della vita intellettuale morale e politica: [...] chi induce la classe operaia a rivolgere la sua attenzione, il suo spirito di osservazione e la sua coscienza esclusivamente, o anche principalmente, su se stessa, non è un socialdemocratico, perché per la classe operaia la conoscenza di se stessa è indissolubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte la classi della società contemporanea, e conoscenza non solo teorica, anzi, non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l'esperienza della vita politica. […] per diventare socialdemocratico, l'operaio deve avere una chiara visione della natura economica, della fisionomia politica e sociale del grande proprietario fondiario e del prete, dell'alto funzionario e del contadino, dello studente e del vagabondo, conoscerne i lati forti e quelli deboli, saper discernere il significato delle formule e dei sofismi di ogni genere con i quali ogni classe e ogni strato sociale maschera i propri appetiti egoistici e la propria vera “sostanza”, saper distinguere quali interessi le leggi e le istituzioni rappresentano, e come li rappresentano. […] Queste denunce politiche relative a tutte le questioni della vita sociale sono la condizione necessaria e fondamentale per educare le masse all'attività rivoluzionaria.

L'appello all'azione, alla lotta, può essere lanciato solo sul luogo stesso dell'azione; solo chi dà l'esempio immediatamente può incitare gli uomini ad agire. Il dovere dei comunisti è quello di approfondire, estendere, rafforzare le denunce e l'agitazione politiche, elevando con ciò la coscienza politica delle masse.

Che cosa hanno in comune l”economismo” e il terrorismo? Gli economisti reggono la coda del “movimento operaio puro”, i terroristi si prostrano

dinanzi alla spontaneità e allo sdegno appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio, o non ne hanno la possibilità.

Questi poli opposti del medesimo problema (l'incapacità ad affrontare il compito di elevare la coscienza politica delle masse) trovano la loro esatta collocazione nella visione per la quale gli operai conducono la “lotta economica contro i padroni e contro il governo” e gli intellettuali sviluppano la lotta politica - e, perché no, cercano di “stimolare” i lavoratori con le proprie forze ricorrendo al terrorismo. Si tratta di una conseguenza logica inevitabile laddove lotta economica e battaglia politica non si incontrano sul terreno del rovesciamento proletario dello stato di cose presenti. Va, infine, da sé che il terrorismo non è utile né per scardinare il governo, né come stimolante - come se lo sfruttamento quotidiano non fosse uno stimolante sufficiente - per la ripresa della lotta di classe. Per questo non si tratta di cercare “rivendicazioni concrete” o “stimolanti artificiali” quanto di sviluppare l'attività di agitazione politica e per l'organizzazione di campagne di denunce politiche.

La classe operaia, combattente d'avanguardia per la democrazia

Se non è possibile sviluppare la coscienza politica di classe degli operai dall'interno, con la sola lotta economica e basandosi solamente su di essa, e se è invece necessario estendere l'orizzonte degli operai a tutta la società, organizzando denunce dell'oppressione capitalista in tutti i settori della società, allora è dimostrato che

la coscienza politica di classe può essere portata all'operaio solo dall'esterno, cioè dall'esterno della lotta economica, dall'esterno della sfera del rapporto tra operai e padroni, [dal] campo dei rapporti reciproci di tutte le classi... [Per fare questo i comunisti devono] andare fra tutte le classi della popolazione, devono inviare in tutte le direzioni i distaccamenti del loro esercito.

Bisogna affrontare con gli operai – e in tutti gli strati della società – non solo i problemi d'officina, ma i problemi generali che il movimento rivoluzionario ha di fronte al capitalismo nel suo complesso. È questo il compito principale che deve assolvere il giornale politico rivoluzionario nel quale le denunce politiche sono una dichiarazione di guerra al governo e al sistema, come le denunce economiche sono una dichiarazione di guerra agli industriali. E queste denunce avranno una carattere rivoluzionario in quanto verranno prodotte dal particolare punto di vista del proletariato rivoluzionario.

Va inoltre compreso che Lenin parla dei compiti “democratici” che hanno i rivoluzionari perché è collocato in una fase storica nella quale la borghesia non era ancora l'indiscussa classe dominante. Come già detto, nel capitalismo contemporaneo i comunisti non hanno più compiti democratici (borghesi), ma solo compiti dittatoriali (l'instaurazione della dittatura del proletaria).

Ancora una volta “calunniatori”, ancora una volta “mistificatori”.

Qualsiasi sottomissione alla spontaneità del movimento di massa, qualsiasi abbassamento della politica socialdemocratica al livello della politica tradeunionista equivale a preparare il terreno per la trasformazione del movimento operaio in strumento della democrazia borghese. Di per sé, il movimento operaio spontaneo non può che generare (e genera immancabilmente) il tradunionismo, e la politica tradunionista della classe operaia è precisamente la politica borghese della classe operaia.

Il primitivismo degli “economisti” e l'organizzazione dei “rivoluzionari”

Visto che la struttura di ogni organismo è necessariamente ed inevitabilmente determinata dal contenuto della sua attività, le differenti concezioni politiche degli economisti e dei rivoluzionari portano a due differenti concezioni organizzative.

Che cos'è il primitivismo. Nel primo periodo del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, tra il 1894 e il 1901, i circoli erano slegati tra loro, vi erano una straordinaria dispersione dei militanti locali, mancanza di preparazione, un orizzonte ristretto nel campo teorico, politico e organizzativo, non vi era centralizzazione. La generosità e il grosso lavoro svolto dai militanti veniva, ogni volta che si alzava il livello dello scontro, azzerato dalle retate e dagli arresti della polizia, le quali disorganizzavano in modo incredibile il movimento e rendevano impossibile mantenere qualsiasi continuità e organicità nel lavoro.

Primitivismo ed “economismo”. Qual è il collegamento tra il “primitivismo” e l'“economismo”? La mancanza di una adeguata organizzazione è una malattia della crescita naturale agli inizi del movimento rivoluzionario. Il primitivismo riflette una ristrettezza del lavoro rivoluzionario, ristrettezza che ostacola la formazione di una buona organizzazione: tipico dell'opportunismo (economismo) è il tentativo di giustificare tale ristrettezza e di farne una “teoria”, ossia il promuovere la sottomissione alla spontaneità anche in materia organizzativa. I rivoluzionari russi non avrebbero potuto sbarazzarsi della ristrettezza organizzativa se non si fossero sbarazzati della teoria che la giustificava: l'economismo, cioè

la ristretta interpretazione della teoria marxista, della funzione della socialdemocrazia e dei suoi compiti politici.

Questo economismo assumeva due facce: la prima, “opportunista”, affermava che la massa operaia doveva prima lottare per le rivendicazioni politiche immediate e poi (forse, quando, se...) per la rivoluzione; la seconda, “rivoluzionaria”, lontana da ogni gradualismo, affermava la necessità della rivoluzione politica, ma non riteneva utile ad essa il partito di classe, bensì strumenti “più accessibili”, come lo sciopero generale, il terrorismo stimolante (vedi sopra) etc. Entrambe capitolavano di fronte al primitivismo dominante e negavano il compito pratico più urgente: la creazione di un'organizzazione di rivoluzionari capace di garantire alla lotta politica l'energia, la fermezza e la continuità.

Si tratta quindi di affrontare la questione dei rapporti fra l'organizzazione dei rivoluzionari di professione e il movimento puramente operaio.

Organizzazione degli operai e organizzazione dei rivoluzionari. Visto che per gli economisti la “lotta politica” coincide con la “l_otta economica contro il governo e i padroni_”, è naturale che “l'organizzazione dei rivoluzionari” coincida con “l'organizzazione degli operai”.

La lotta politica della socialdemocrazia è molto più vasta e molto più complessa della lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo. Parimenti (e per questa ragione) l'organizzazione di un partito socialdemocratico rivoluzionario deve necessariamente essere distinta dall'organizzazione degli operai per la lotta economica. L'organizzazione degli operai deve anzitutto essere professionale, poi essere la più vasta possibile […] Al contrario, l'organizzazione dei rivoluzionari deve comprendere prima di tutto e principalmente uomini la cui professione sia l'azione rivoluzionaria […]. Per questa caratteristica comune ai membri dell'organizzazione nessuna distinzione deve assolutamente esistere fra operi e intellettuali, e a maggior ragione nessuna distinzione sulla base del mestiere.

Lenin insiste poi sulla clandestinità di questa organizzazione, la qual cosa non deve stupire nella Russia zarista, dove i comunisti erano fuorilegge. Va da sé che il livello di pubblicità o di clandestinità dell'organizzazione dei rivoluzionari dipende dal livello di libertà democratiche, nelle condizioni storicamente e geograficamente date.

Le associazioni per la lotta economica degli operai (6) devono essere larghe, aperte agli operai di ogni orientamento politico e senza partito, non sottoposte ad una rigida regolamentazione, fermo restando il lavoro di denuncia di ogni “nota armonica” che dovesse emergere riguardo un'identità di interessi con padroni, liberali, preti etc. circoli, associazioni di mestiere, circoli di lettura, (noi aggiungeremmo oggi i momenti di autorganizzazione delle lotte) bisogna che siano il più possibile numerosi, con i compiti più diversi, ma è assurdo e dannoso confonderli con l'organizzazione dei rivoluzionari, cancellare la distinzione che li separa. I rivoluzionari devono sempre più liberare le loro energie per dedicarle, all'interno di tali strutture larghe, al lavoro di educazione politica rivoluzionaria degli operai.

Se si comincia col creare una forte organizzazione di rivoluzionari si potrà assicurare la stabilità del movimento nel suo insieme, attuando in pari tempo gli scopi rivoluzionari e gli scopi della lotta economica.

Io affermo: 1) che non potrà esservi un movimento rivoluzionario solido senza un'organizzazione stabile di dirigenti che ne assicuri la continuità; 2) che quanto più numerosa è la massa entrata spontaneamente nella lotta, la massa che è la base del movimento e partecipa ad esso, tanto più imperiosa è la necessità di siffatta organizzazione e tanto più questa organizzazione deve essere solida (sarà facile, altrimenti, ai demagoghi trascinare con sé gli strati arretrati della massa); 3) che tale organizzazione deve essere composta principalmente di uomini i quali abbiano come professione l'attività rivoluzionaria; 4) che in un paese autocratico sarà tanto più difficile “impadronirsi” di siffatta organizzazione quanto più ne ridurremo gli effettivi, fino ad accettarvi solamente i rivoluzionari di professione, educati dalla loro attività rivoluzionaria alla lotta contro la polizia politica; 5) che in tal modo, tanto più numerosi saranno gli operai e gli elementi delle altre classe che potranno partecipare al movimento e militarvi attivamente.

Ampiezza del lavoro di organizzazione. Il problema principale dell'organizzazione dei rivoluzionari è come organizzare le masse di uomini e donne spinte quotidianamente al malcontento dalla situazione economica e sociale. Per fare questo non si può rimanere solo nell'ambito dell'agitazione nelle fabbriche. In guerra tocca infondere fiducia nelle proprie file, ma tocca anche farsi tenere in considerazione dal nemico e dagli elementi neutrali (la cui neutralità, a volte, può garantire la vittoria). Per fare questo bisogna elevare la preparazione politica dei militanti di base, a partire dalle fabbriche, elevare la capacità teorica, politica, organizzativa dei lavoratori, far entrare i più validi nelle fila dell'organizzazione.

Per quanto riguarda l'organizzazione, ci troviamo a un livello così basso che è assurdo pensare (come pensa l'opportunismo) che potremmo spingerci troppo in alto.

Organizzazione cospirativa e democrazia. Un organizzazione politica d'avanguardia, guidata da una teoria d'avanguardia, non rischia di cadere in una visione “cospirativa” della lotta politica, in un “assalto prematuro al potere”? Il solo mezzo per limitare le possibilità di una sconfitta prematura è quello di prepararsi sistematicamente alla lotta, per premunire il movimento contro la possibilità di attacchi inconsulti.

In assenza di una tale organizzazione, è naturale che facciano capolino i due estremismi già affrontati. L'economismo che predica la moderazione e la lotta per le rivendicazioni concrete non soddisferà mai un rivoluzionario, così questo cadrà nella trappola del terrorismo cospiratore.

Soltanto un'organizzazione di combattimento centralizzata, che esplichi con energia un'azione politica socialdemocratica e soddisfi, per così dire, tutti gli istinti e tutte le aspirazioni rivoluzionarie, può premunire il movimento contro un'offensiva inconsulta e preparare un attacco che possa concludersi con la vittoria.

Fa il paio con la paura della deriva cospirativa, la paura che nell'organizzazione rivoluzionaria non esista una “larga democrazia”, ma spesso si tratta di un idea “primitiva”, formale, di democrazia. Noi abbiamo bisogno della democrazia nell'organizzazione non in quanto vezzo, ma nella misura in cui questa rende più solida e funzionale l'organizzazione rivoluzionaria stessa. Va da sé che la democrazia è applicabile nel partito solo laddove esso viva condizioni legali che permettano di svolgere pubblicamente la sua attività e che permettano l'elezione di tutte le cariche. E' in questo ambito che può prodursi quel controllo di ognuno su ogni iscritto al partito che dà vita ad un meccanismo di selezione per il quale, alla fine, ogni militante assume il compito più adatto per le sue forze e capacità. Ma sia chiaro, le organizzazioni rivoluzionarie non hanno mai applicato una “larga democrazia” (feticcio democratico), ma, bensì, una democrazia (centralismo democratico) funzionale al funzionamento interno, a prendere decisioni, a stabilire la piena fiducia fra le diverse istanze del partito, la responsabilità dei militanti.

La “democrazia”, autentica, che non è, un semplice balocco, è un elemento che fa parte organicamente dei rapporti fra compagni!

Lavoro locale e lavoro nazionale. Qual'è il rapporto tra organizzazione nazionale e lavoro locale? In realtà una forte organizzazione nazionale non indebolisce, bensì rafforza il lavoro locale. In luogo dello sforzo non razionale di tanti giornali locali è meglio dare vita ad un unico giornale nazionale, che esca con maggiore regolarità e frequenza. Se in esso non potranno trovare spazio denunce di soprusi di fabbrica o gravi fatti locali, che meritano una risposta immediata, ci si affiderà ai volantini o, per questioni più complesse, a specifici opuscoli di argomento agitatorio.

“Piano” di un giornale politico per tutta la Russia

Nell'articolo “Da che cosa cominciare?” Lenin ha esposto l'idea che un giornale nazionale possa essere il mezzo attraverso il quale organizzare il partito, passa ora ad argomentare la sua tesi rispondendo alle critiche fin qui ricevute.

Può un giornale essere un organizzatore collettivo? Innanzi tutto il giornale è l'unico mezzo con il quale sia possibile educare politicamente i gruppi locali, al fine di renderli più forti. Il partito rivoluzionario deve essere capace di unire tutte le forze e di dirigere effettivamente il movimento, ogni protesta ed esplosione, sfruttandole per moltiplicare e consolidare le forze che possono servire alla battaglia decisiva. Il “piano” per il giornale combacia con il “piano” per ottenere una “preparazione alla lotta” che permetta di essere presenti nelle varie situazioni di scontento. Il giornale come filo conduttore seguendo il quale si potrà sviluppare, approfondire ed estendere l'organizzazione.

Bisogna sognare!

“Il contrasto tra il sogno e la realtà non è affatto dannoso se chi sogna crede sul serio al suo sogno, se osserva attentamente la realtà, se confronta le sue osservazioni con le sue fantasticherie, se, in una parola, lavora coscienziosamente per attuare il sogno. Quando vi è un contatto tra il sogno e la vita, tutto va per il meglio.” Di sogni di questo genere ve ne sono disgraziatamente troppo pochi nel nostro movimento. E ne hanno colpa sopratutto i rappresentanti della critica legale e del “codismo” illegale, che fanno pompa della loro ponderatezza, del loro “senso del concreto”.

Quale tipo di organizzazione ci occorre? Premesso che l'organizzazione rivoluzionaria è indispensabile affinché ci sia l'assalto rivoluzionario, si pone ai rivoluzionari la necessità di costruire tale organizzazione per tempo, proprio al fine di dirigere la “folla”, non venendone travolti. Le truppe del partito,

sistematicamente organizzate, devono occuparsi esclusivamente di un'agitazione politica generale e molteplice, di un lavoro che tenda appunto ad avvicinare e a fondere in un tutto la forza distruttrice spontanea della folla e la forza distruttrice cosciente dell'organizzazione rivoluzionaria.

Sarà proprio nella rivoluzione che questo partito dovrà cogliere i risultati delle precedenti battaglie teoriche, per combattere energicamente le posizioni pratiche che assumerà l'opportunismo in quei drammatici risvolti.

Diego

(1) Lenin, Che fare?, Einaudi, 1971, pag.3. Le successive citazioni tra virgole, dove non diversamente specificato, sono da considerarsi tratte dalla medesima opera, dal paragrafo indicato nel titolo in grassetto.

(2) Fino al 1917 i termini comunista, socialista e socialdemocratico erano utilizzati come sinonimi, come sinonimi sono usati anche in questo articolo.

(3) Tradeunionismo è una parola che viene da''inglese “trade unions” che significa “sindacato di categoria”.

(4) Lenin, op. cit., pag. 281.

(5) O. Damen, Gramsci tra marxismo e idealismo, ed. Prometeo, pag. 17 e segg.

(6) Per la differenza tra la concezione della lotta economica e del ruolo dei sindacati all'inizio del '900 e oggi rimandiamo ai numerosi articoli apparsi su questa rivista, ultimo tra i quali “Il sindacato, la lotta di classe, i comunisti”, Prometeo 5, VII serie, 2011.

Sabato, July 7, 2012

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.