Morto un papa se ne fa un altro...

... Ma quando si dimette? Anche, ma a certe condizioni

Il papa Benedetto sedicesimo, al secolo monsignore Ratzinger, ha dato le dimissioni. La situazione è strana, i precedenti sono pochi e risalgono alla notte dei tempi, ma ciò che più lascia perplessi sono le giustificazioni addotte, immediatamente assunte come genuine e probanti la buona fede del dimissionario vicario di Cristo, dalla solita pletora di credenti e officianti per i quali, qualunque cosa faccia o dica il papa, va sempre bene. Unica nota fuori dalle righe la dichiarazione del cardinale Sodano che, con un vero o falso stupore, dichiara di aver ricevuto la notizia come si subisce il bagliore e il fragore “di un fulmine a ciel sereno”.

Le giustificazioni sono semplici quanto banali. Si va dal “sono vecchio e stanco” al “non ho la sufficiente energia per continuare la mia missione”. Salvo, il giorno dopo, esibirsi con inconsueta lucidità ed energia contro la Curia romana, contro gli egoismi, gli arrivismi dei prelati vaticani, sino ad adombrare che una della cause della decadenza della chiesa di Cristo va ricercata all’interno della mura pontefice. A noi comunisti e miscredenti poco interessa delle vicende che travagliano la vita dello Stato pontificio, delle camarille che inevitabilmente nascono all’interno di quella struttura che poco ha di religioso e tanto attiene al comportamento d un qualsiasi consiglio di amministrazione di una holding internazionale. Due cosine però ci scappa di dire. Nella scelta, provocata o “libera”, di scendere dalla croce per fare due passi in libertà come un qualsiasi pensionato, certamente hanno giocato gli ultimi tragici avvenimenti che hanno provocato un rossore purpureo sulle gote dei fedeli più sprovveduti. Si va dagli scandali dei preti pedofili che hanno coperto di vergogna il mondo della chiesa negli Usa, in Inghilterra, in Irlanda, Italia e sud America; scandali condannati certo, ma prima ignorati e poi coperti perché hanno coinvolto, oltre ai parroci di campagna e qualche “peones” da oratorio, alti prelati delle varie curie internazionali sino ad arrivare anche all’interno delle mura del Vaticano. Si prosegue con le polemiche aperte con il Collegio cardinalizio, in una sorta di competizione tra “pares”, sul problema dei rapporti con l’Islam, sul confronto costante con il suo predecessore e, non da ultimo, si arriva al furto di documenti riservati da parte del “tutto fare” del papa stesso e all’ancor più grave fuga di notizie e documenti di monsignor Caiola, che hanno tolto il velo su di un putrescente verminaio di traffici illeciti, di lotte intestine per accaparrarsi posti di privilegio all’interno del vortice finanziario dello Ior.

Quest’ultima vicenda merita una piccola riflessione. Gli scandali che hanno riguardato lo Ior e i suoi dintorni finanziari, si chiamano Fiorani, Anemone e Roveraro. Personaggi noti alla Procura romana perché accusati e condannati per reati vari, ospiti finanziari e agenti graditi all’interno della Banca vaticana. Roveraro ci ha rimesso misteriosamente le penne travolto, probabilmente, da uno smottamento di mazzette, da atti di corruzione e concussione. Poi c’è l’inchiesta della Procura romana sui movimenti finanziari poco chiari dello Ior presso la Jp Morgan e le insistenti pressioni delle major della finanza mondiale affinché lo Ior regolarizzasse la sua posizione giuridica; non essendo formalmente una Banca, non era soggetto a nessuna forma di controllo da parte del sistema bancario internazionale. Il giochino di sottrarsi alle normative internazionali era riuscito ai tempi di Marcinkus. Il personaggio in questione, capo dello Ior di allora, accusato di intrallazzi con la P2, di responsabilità sul fallimento del Banco ambrosiano e delle stessa morte di Calvi, nonché di essere stato l’hub di un giro di riciclaggio di danaro mafioso, si è sottratto, perché cittadino straniero (città del Vaticano), alle attenzioni della magistratura italiana a cui non è mai stata concessa l’estradizione, né tanto meno, di consultarne i libri contabili.

Forse per questa ragione Benedetto XVI, dopo aver scelto Gotti Tedeschi, uomo dell’Opus Dei, come responsabile dello Ior ha deciso, nel 2010, di entrare nella convenzione monetaria europea, con l’inevitabile conseguenza di accettarne tutte le normative, compresa quella dell’antiriciclaggio.

Mossa non gradita ai vertici dello Ior e già tentata a suo tempo, anche se in termini diversi (l’operazione pulizia si limitava a sostituire Marcinkus e i suoi più stretti collaboratori dai vertici della Banca vaticana), da papa Luciani a cui, secondo molti osservatori, sarebbe toccata, proprio per questo, una sospetta morte prematura. Manovra, quella di Benedetto, che non sortì grandi effetti se è vero che lo Ior continuò ad essere al centro di scandalose vicende finanziarie dal 2009 in avanti, tra le quali quella relative ai falsi titoli di stato americani. A tutto ciò si riferisce la fuga di documenti durata ben due anni (2011/12) e alla base della quale non è difficile vedere lo scontro “fratricida” tra gli uomini dell’Opus dei e quelli della “loggia vaticana” che ha costretto Gotti Tedeschi a rassegnare le dimissioni in aperto scontro con il segretario di Stato, il cardinal Bertone, vero uomo forte della Commissione cardinalizia.

Altro fattore di scandalo e dalle dirompenti conseguenze, sempre nel settore della “mala finanza”, è il possibile coinvolgimento della solita Banca vaticana nel caso Antonveneta - Monte dei Paschi di Siena. Secondo le testimonianze anonime di un importante personaggio vaticano, rilasciate e pubblicate il 4 febbraio sul quotidiano Il Corriere della Sera, lo Ior avrebbe avuto un ruolo determinante in tutta la vicenda. Il testimone racconta di serrate riunioni tra l’allora direttore dello Ior Paolo Cipriani, l’alto prelato monsignor Piero Pioppo, sempre dello Ior, e il banchiere di area cattolica Andrea Orcel, che nel 2007 aveva avuto il compito di seguire i movimenti della Banca Santander nella scalata alla Banca Abn Amro, per poi essere elevato al rango di “advisor” della Montepaschi in funzione dell’acquisto di Antonveneta nel 2009. Per quella operazione furono aperti quattro conti intestati a quattro Organizzazioni religiose. A loro volta i quattro conti, che avrebbero avuto un ruolo determinante “nell’affare” Antonveneta e facenti capo allo Ior, si sarebbero serviti dell’ospitalità di una piccola banca, quella del Fucino, con sede a Roma e legata da mille fili al Vaticano. Sempre secondo lo stesso testimone, una consistente parte del primo affare Antonveneta ( 1,2 milioni di euro) sarebbero serviti a pagare gli intermediari del secondo acquisto della stessa. Sequenze complicate e contorte che, al dunque, rivelerebbero i soliti maneggi della finanza criminale e creativa con al centro un soggetto di “diritto divino”. Non siamo agli scandali di Marcinkus, alle collusioni con la P2, al riciclaggio di danaro sporco e alle alleanze con la banda della Magliana di Renatino De Pedis, ma poco ci manca.

Alla domanda se Benedetto XVI si sia spontaneamente dimesso per debolezza fisica e per raggiunti limiti d’età, la risposta è assolutamente no. Più probabile che il suo “scendere dalla croce” sia dovuto a pressioni di quell’area cardinalizia legata ai maneggi finanziari, alle lotte interne di potere, alle insostenibili pressioni che da più parti si sono scaricate sulla sua persona perché lasciasse libero il campo. Per concludere “in gloria”, aggiungiamo che, se le vie del signore sono infinite, lo Ior ha sempre scelto quelle che conducono ad un “terreno” cammino di salvazione dei suoi interessi economici. Con l’aggiunta temporale che, nella fase putrescente del capitalismo, caratterizzata da una devastante crisi che tutto e tutti, o quasi, ha travolto e sommerso, la Banca di Dio si è proposta nel più improduttivo dei settori capitalistici, quello della finanza, della speculazione e del parassitismo economico. Come al solito, più che le leggi della divina provvidenza, hanno avuto peso quelle del capitale. Il dio padre ha lasciato il posto al dio profitto che sembra essere l’unica divinità guida all’interno delle “sacre” mura dell’impero finanziario d’oltre Tevere. Nella prossima, feroce lotta per il successore di Ratzinger, peseranno gli stessi fattori che lo hanno portato alle dimissioni, in nome della coerenza e della continuità della potente holding finanziaria che risponde al nome di Ior, ovvero il “pio” Istituto per le Opere religiose. Amen.

FD
Sabato, February 16, 2013