Contro l’illusione del “sindacato di classe”

Negli ultimi anni, ma non solo, il problema cruciale dell’intervento dei comunisti nelle lotte della classe lavoratrice è stato affrontato con particolare superficialità. L’incalzare della crisi e gli attacchi senza precedenti alle condizioni di vita proletarie hanno indotto molti comunisti a credere imminente una significativa ripresa della “risposta di parte proletaria”. Militanti e gruppi politici che si richiamano alla lotta di classe, così come alcuni lavoratori e lavoratrici più combattivi, si sono raggruppati o ritrovati in più circostanze, nel tentativo di fare forza e numero.

Bisogna però distinguere due fenomeni di matrice distinta. Alcuni di questi raggruppamenti infatti sono nati nel corso di vertenze e lotte recenti che però, si sa, hanno visto coinvolti solo alcuni settori di classe, se non proprio solo alcune aziende in certe località. Spesso questi raggruppamenti hanno avuto il sostegno di militanti e organizzazioni politiche ma vedevano innanzitutto il protagonismo attivo di lavoratori e lavoratrici, sono quindi sorti sull’onda emotiva della lotta e si sono sciolti con l’esaurirsi della lotta stessa. Altre volte sono invece nati senza che ci fossero delle lotte in corso, venendo – in questo caso – principalmente animati da gruppi politici, vecchi o nuovi.

Iniziamo ad analizzare, in particolare, questa seconda tipologia di esperienza. Questi raggruppamenti di rado sono sorti in aperta rottura con le organizzazioni sindacali esistenti e, a quanto ci risulta, in nessun caso sono nati sulla base di una critica del ruolo che il sindacato ricopre oggi. Del resto, tolto il nostro partito, praticamente, nessuno in Italia porta avanti una concreta alternativa al sindacalismo.

Le prospettive dei tanti comunisti che hanno promosso o aderito a questi raggruppamenti si dividono in due alternative complementari e, dal nostro punto di vista, entrambe sbagliate:

  1. chi crede che i sindacati “tradizionali” siano organismi operai i cui vertici si sono corrotti e venduti ritiene quindi che il compito dei comunisti, per poter finalmente opporre resistenza ai capitalisti, sia la conquista della direzione dei sindacati stessi;
  2. chi invece ritiene che tutti i vecchi sindacati sono completamente asserviti al potere borghese e afferma allora che occorre costruire di fatto un nuovo sindacato (“di base” o “di classe”) dei lavoratori per i lavoratori.

La seconda posizione nel corso degli anni ha portato allo sviluppo dei tanti sindacatini di base (Cobas, Slai-cobas, Si-cobas, CUB, USI, USB, SdL etc.). Alcune di queste esperienze sono partite sbandierando la prospettiva dell'“autorganizzazione” in alternativa alla burocrazia dei sindacati confederali, ma son finite tutte per riproporre lo stesso meccanismo della rappresentanza e delega sindacale.

La prima prospettiva è evidentemente illusoria. I sindacati confederali sono strumenti dello Stato, il cui compito è contenere il malcontento della classe lavoratrice. In particolare, dalla seconda guerra mondiale (ma il fenomeno è iniziato anche prima) i sindacati confederali – in tempi di sviluppo economico – sono stati gli strumenti di cui lo Stato si è servito per far accettare agli operai i tanti sacrifici nel sacro nome della ricostruzione post-bellica e della industrializzazione. Spesso contrattavano gli aumenti salariali prima ancora che iniziassero le lotte con il padronato, che così, pur di mantenere i ritmi di produzione e conquistarsi nuovi mercati, poteva anticipare le richieste dei lavoratori. Oggi, in tempi di crisi, similmente, i sindacati lavorano per far accettare agli operai la politica dei sacrifici e garantirne i profitti che sono a rischio a causa della contrazione dei mercati. La prima prospettiva è quindi evidentemente opportunista, illude la classe lavoratrice di poter lottare entro le logiche concertative prescritte dall'apparato statale e sottoscritte dalle burocrazie sindacali. In realtà ogni volta che settori di classe hanno provato a lottare veramente, questi si sono dovuti necessariamente muovere indipendentemente dalle strutture sindacali confederali e scontrandosi contro di esse.

La seconda prospettiva, invece, di primo impatto potrebbe sembrare allettante. In realtà è ugualmente illusoria. Il sindacato è nato nell’800 come organizzazione dei lavoratori per la contrattazione del prezzo e delle condizioni di vendita della forza-lavoro. Nonostante il proprio porsi come “semplice” organismo di mediazione e di contrattazione, esso ha rappresentato un efficace strumento di lotta rivendicativa. Tutto questo avveniva per le stesse caratteristiche che la contrattazione poteva assumerne in quella fase storica. L’aspetto fondamentale risiede nel fatto che non si era ancora sviluppato il regime monopolistico. Vigendo aree di “libera” concorrenza la contrattazione avveniva rapportandosi ai capitali delle “isolate” realtà produttive. In aggiunta, in questa fase di ascesa, il capitalismo poteva affrontava le crisi cicliche anche ampliando il proprio tessuto economico in aree dove ancora vigevano rapporti economici di tipo feudale, potendo adoperare questa valvola di “sfogo” il capitale riusciva spesso a disporre di margini di contrattazione meno rigidi rimpetto a quanto accade oggi durante le fasi di crisi.

Nell’imperialismo l’economia è dominata dai grossi centri monopolistici. La stessa contrattazione quindi avviene rapportandosi al capitale monopolistico e allo Stato, che interviene nell’economia come fattore si stabilizzazione. Tale contrattazione deve rispondere alle necessità di programmazione del capitale monopolistico, il quale si trova ad affrontare la concorrenza con gli altri colossi internazionali. È in questo contesto che il sindacato “tradizionale” è progressivamente passato dall’essere organismo di lotta a “sindacato istituzione”: strumento adoperato dalla borghesia per la gestione della contrattazione secondo le esigenze di concorrenza internazionale nell’epoca del monopolio.

Tale processo è stato possibile per la stessa natura contrattualistica del sindacato, non semplicemente per i tradimenti dei dirigenti. Nell’epoca del capitalismo monopolistico, ed a maggior ragione in questa fase di crisi, pensare quindi ad un organismo permanente della contrattazione della forza-lavoro che possa assumere le stesse caratteristiche di lotta proprie dei sindacati sviluppati nell’800 rappresenta una prospettiva del tutto illusoria.

Questi sindacati “di base” una volta strutturati, tutelano in primo luogo i propri interessi di struttura sindacale, spesso anche a danno di un processo di maturazione ed estensione delle lotte, quando e se queste si verificano.

Giusto per evitare fraintendimenti, e rispondere alle false accuse che riceviamo da molti di questi comunisti che affrontano il problema dell’intervento (ossia con la prospettiva di costruire un nuovo sindacato “di classe”) facciamo delle dovute precisazioni. Innanzitutto, il fatto che dichiariamo i problemi che si infrappongono ad una ripresa della lotta rivendicativa di classe, su larga scala e soprattutto duratura, non significa che noi non vorremmo tale lotta né che non la riteniamo necessaria ai fini della realizzazione del programma comunista. Anche perché, oltre che essere per noi un ambito di intervento e una palestra di lotta politica, è il momento ideale in cui si costruiscono i legami di classe fra lavoratori, nell’ottica di un processo di ricomposizione di classe. _C_ome il contadino somalo sa che non pioverà d’estate, per quanto volesse la pioggia più di ogni cosa al mondo, noi vogliamo che la classe lotti unita per la difesa dei propri interessi immediati. Vorremmo che la lotta per questi interessi sia duratura, e magari vittoriosa. Tuttavia, la volontà nostra di certo non basta perché questo nostro desiderio si avveri!

Ma, andandosi ad assottigliare sempre più il margine di contrattazione salariale, anche grazie alla progressiva precarizzazione, la classe lavoratrice si trova oggi sempre più intimidita. Questa “timidezza” è il frutto di decenni di impegno da parte di tutti gli apparati del dominio capitalista per fiaccarne lo slancio. Ne citiamo alcuni. Le banche elargendo mutui e piccoli finanziamenti alla classe lavoratrice, con bassi interessi, hanno vincolato larghissimi settori di classe ad accettare condizioni lavorative e salariali peggiorative pur di evitare di perdere il posto e quindi rischiare di non ripagare i debiti accumulati. Ogni volta che lo Stato proponeva nuovi contratti peggiorativi di categoria, o la creazione dei cosiddetti contratti di lavoro “precari”, i sindacati hanno garantito il consenso della stragrande maggioranza della classe lavoratrice. L’ingrossamento delle file dei proletari precari o disoccupati, soprattutto di giovani – lavoratori in cerca di un posto di lavoro “fisso”, di fatto disposti “a tutto” – preme direttamente contro i salari e le condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo indeterminato. I lavoratori a tempo determinato, ricattati, vedono sempre più svanire ogni possibilità di ottenere con la lotta delle conquiste durature. Il bombardamento ideologico perpetuato dalla televisione propone ai lavoratori un modello di vita borghese, per cui ogni lavoratore aspira a raggiungere individualmente uno status quo, anche a scapito dei suoi interessi di classe, accettando straordinari o aumenti di ritmo in cambio di premi, e rigettando ogni principio solidaristico di classe. Infine, il capitalista nell’era della globalizzazione, gode della possibilità di minacciare i propri salariati di spostare le unità produttive in località in cui la forza-lavoro, o le tasse, sono nettamente inferiori. Questi fattori pesano come macigni sulle possibilità di ripresa della lotta, anche solo rivendicativa, di classe e che il rapporto di forze di classe rende impossibile lo sviluppo di una organizzazione permanente di classe per la lotta rivendicativa.

Denunciare l’illusione di costruire un “sindacato di classe” ed evidenziare i limiti della lotta rivendicativa non significa affatto affermare che il proletariato non possa spingersi verso lotte di difesa o sminuire il valore che per i rivoluzionari possono avere queste lotte.

Per il marxismo, sin dalle sue origini, il movimento rivendicativo dei lavoratori… scontrandosi direttamente con l'interesse capitalistico… costituisce la forma elementare, per lo più insopprimibile della lotta di classe. Costituisce dunque la condizione ineludibile di qualunque "trascrescenza politica… Ma la lotta operaia è sempre stata capace di esprimere forme organizzative alternative al sindacato…: dai comitati di lotta espressi dalle assemblee, ai coordinamenti categoriali o nazionali dei comitati stessi. Sono le organizzazioni che la classe si dà per la difesa dei suoi interessi immediati, espresse dalla lotta rivendicativa medesima e a questa ancorate: finita la lotta, si esauriscono anche quelle forme organizzative. L'organismo permanente sindacale… conduce i lavoratori alla ricerca permanente della contrattazione, alla rincorsa delle compatibilità al sindacalismo attuale, insomma, tutto contro i lavoratori (1).

Noi siamo concreti, ma allo stesso tempo coltiviamo una speranza più grande di quella che muove questi comunisti “raggruppati”. Infatti, se è vero che la lotta per la difesa degli interessi immediati è fortemente contenuta dal ridursi dei margini di contrattazione, è altrettanto vero che il ridursi di questi margini permette a noi rivoluzionari di mostrare, in quelle lotte che pur si verificano, quanto gli interessi della classe lavoratrice e quelli dei capitalisti sono assolutamente inconciliabili. Partecipiamo in queste occasioni di lotta non per dare ai lavoratori la falsa speranza di costruire un sindacato di classe, bensì per indirizzare i lavoratori più coscienti verso il radicamento dei Gruppi Internazionalisti di Fabbrica e Territorio. Del resto in questi tempi di crisi, con i margini di contrattazione sono ridotti all'osso, potenzialmente è più facile che la classe lavoratrice possa recepire la necessità di passare dalla mera lotta per il salario alla lotta vera contro lo sfruttamento salariale! Ma questo salto di qualità, avverrà solo e solamente se esiste sin da ora fra la classe una alternativa politica alla politica borghese.

Invitiamo quindi, questi “comunisti che si richiamano alla lotta di classe” a lavorare sin da ora per la costruzione del partito rivoluzionario, e di abbandonare l’illusoria prospettiva della costruzione di “un sindacato di classe”. W la Battaglia Comunista!

Karim

(1) Sindacati equivoci da sciogliere, Mauro jr Stefanini.

Lunedì, June 10, 2013