Che fine ha fatto il “pensiero” di Karl Marx?

Con lo scoppio della crisi che sta tormentando il capitalismo e le schiere dei suoi “riformatori”, dopo che si era perso il conto degli annunci ufficiali della morte di Karl Marx e delle altrettanto ufficiali sepolture del suo “pensiero” e delle sue opere, ecco di nuovo (ma non è la prima volta) una serie di riscoperte e rivalutazioni a dir poco sconcertanti.

Fermo restando che sia pure dopo qualche approvazione (ma che bravo, questo Marx, nell’analizzare il meccanismo dell’economia capitalistica!), si ristabilisce il canone ufficiale delle idee dominanti e i “pensieri del filosofo di Treviri” vengono ricacciati nell’angolo più buio. E rimarcando quanto siano risultate errate tutte le sue previsioni sulle conseguenze sociali e politiche che il capitalismo avrebbe dovuto seminare fino al suo inevitabile crollo. Il coro si fa allora unanime: dov’è la classe antagonista che avrebbe dovuto sviluppare un’altra economia? Dov’è la transizione dal capitalismo al comunismo? Si rinfaccia poi a Marx l’assenza di quel soggetto rivoluzionario che da lui fu identificato nel proletariato, e si volta pagina.

Abbiamo letto un saggio di G. Cesarale (Marx sugli scaffali di Barnes & Nobles - Micromega, giugno 2011) che evidenzia come il “fenomeno” abbia interessato soprattutto Stati Uniti e Inghilterra, cioè proprio là dove, in verità, il “pensiero” teorico e politico di Marx non ha avuto gran successo né fra gli intellettuali della “sinistra” più o meno ufficiale (e questo sarebbe il meno…) né fra il movimento operaio di quegli stessi paesi.

Ora sembra che persino a “livello istituzionale” si avverta un “cambiamento culturale”, al punto che in Inghilterra, all’esame conclusivo della scuola secondaria superiore (e test d’ingresso per l’università), nel programma dei testi in filosofia da conoscere è compresa anche la parte della Ideologia tedesca di Marx riguardante Feuerbach. Antitesi fra concezione materialistica e concezione idealistica.

È sempre il Marx filosofo ad attirare l’attenzione; il concetto filosofico di “alienazione” è certamente intrigante, in particolare per il fatto – Cesarale lo mette subito in risalto – che, per quanto riguarda invece il settore delle “ricerche economiche” di Marx, sia il metodo che i risultati non sarebbero da ritenersi “scientifici”. A parere del suddetto Cesarale,

il corso degli eventi [avrebbe] sistematicamente confutati assunti e dimostrazioni contenuti nel corpo delle acquisizioni teoriche marxiane.

Ma ecco le inoppugnabili prove che (per esempio nel Marx di P. Singer, un grande successo editoriale negli ultimi 30 anni) vengono portate a conoscenza del pubblico anglosassone:

La storia del Novecento ha dimostrato che non è vero che il capitalismo conduca immancabilmente alla compressione dei salari reali, alla caduta tendenziale del saggio di profitto e alla crescita dell’esercito industriale di riserva e della disoccupazione.

Non si sa bene in quale remoto luogo l’autore trascorra la propria vita giungendo a constatazioni così vicine ai sogni degli apologeti del capitale. (A proposito di caduta tendenziale del saggio di profitto, anche il professore di economia politica, R. Bellofiore, è del parere che si tratti di “una lettura obsoleta”…)

Ma nessuna novità in questo: la “confutazione delle grandi previsioni marxiste” sarebbe una constatazione addirittura “empirica” anche per chi, poi, si professa un estimatore di alcune enunciazioni fatte da Marx e che, nelle loro figurazioni ritenute “filosofiche”, sono accettate persino, come abbiamo visto, nelle università di sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Qui ci riferiamo al Ben tornato Marx di D. Fusaro editore Bompiani, che si appella alle entrate in scena delle “dure repliche della storia”, le quali metterebbero al tappeto proprio il punto di forza della teoria marxista sullo sviluppo del capitalismo: la tendenziale caduta del saggio medio di profitto. L’autore, studioso del pensiero di Marx, pur collocandosi un gradino più in alto di molti suoi colleghi, liquida con estrema superficialità questo fatale… handicap del modo di produzione capitalistico, il quale avrebbe continuato a sviluppare le forze produttive (come se Marx fosse sostenitore del contrario!) e superato le crisi di sovrapproduzione rafforzandosi.

C’è di che strabiliare! Le crisi, dunque, si sarebbero rivelate fenomeni di rinnovamento e irrobustimento del sistema, a dimostrazione della sua immortalità. Risultato: le previsioni di Marx sono state invalidate con la conseguente completa “paralisi delle coscienze rivoluzionarie”. E si ritorna a far filosofia…

Torniamo al Singer che, imperturbabile e dopo aver smascherato (?) le pretese di una “battaglia anticapitalista” da condursi sulle fondamenta di una determinazione scientifica, ci presenta la sua opinione: poiché va riconosciuto che la crescita delle forze produttive finisce con lo sfuggire al controllo dei produttori diretti e diventa uno strumento della loro oppressione (una tesi, questa, contenuta nel Capitale di Marx e adattabile alle varie dissertazioni filosofiche), occorrerebbe però prendere atto del diffondersi della “alienazione”. Dunque (così la pensa anche tutta la letteratura anglosassone con pretese… scientifiche) “i presupposti del progetto marxiano” altro non sarebbero se non “implicitamente di tipo morale”. Si baserebbero, in conclusione, soltanto su “desideri e speranze per nuove regole di condotta degli individui nel capitalismo”, capaci di vincere sull’egoismo e sulla competizione reciproca. Almeno in parte questo sarebbe il messaggio lasciatoci da Marx...

Ma non è finita qui, poiché il Singer ci riserva altri suoi personali approfondimenti riguardanti la critica di Marx alla “libertà dei liberali” e alle scelte individuali, quelle fatte indipendentemente dal parere degli altri, e che porterebbero “a risultati socialmente irrazionali”, secondo il pensiero di Marx. Singer non condivide la soluzione che – secondo lui – sarebbe stata elaborata da Marx, “ovvero la pianificazione centralizzata di tutte le operazioni fondamentali della vita associata”… Ed estrae dalla manica il suo asso: anche ammesso ma non concesso che ciò possa accadere, ci sarà sempre “chi vorrà godere dei benefici della cooperazione sociale senza però condividerne i costi”. Il mondo è dei furbi, quindi teniamoci questa bella società, al massimo introducendo qualche opportuna regola comportamentale che possa scalfire la globalizzazione degli egoismi!

Un altro intellettuale, J. Wolff (Why Read Marx Today? - Oxford University Press, 2002) non capisce bene che cosa, secondo i pensieri dell’insoddisfatto Marx, dovrebbe sostituire il capitalismo. Insomma, quale società avrebbe voluto Marx? Accettabile sarebbe, sì, il concetto marxiano di “alienazione” dei lavoratori entro la società capitalistica (sempre in termini più che altro filosofici), tuttavia – si chiedono i suoi “correttori” anglosassoni – quali precise caratteristiche dovrebbe avere una diversa società? Wolff non trova l’interruttore per far luce sul proprio dilemma e rimane perplesso per quanto concerne la concezione della storia di Marx e, ancora una volta, non trova sufficienti delucidazioni riguardanti la eventuale transizione al socialismo. E poi, chi ha detto che la dittatura del proletariato e il socialismo debbano per forza far seguito alla crisi profonda del capitalismo? (Chiaro, per noi, che in questi termini di assolutismo e di meccanico determinismo oggettivo, non si trova traccia in Marx…)

In effetti, nessuno di questi intellettuali, intrappolati nella fitta rete del pensiero borghese, riesce a superare il ristretto orizzonte di un “riformato” assetto sociale nel quale rimarrebbe permanente una divisione in classi (comunque le si definiscano, sempre sfruttatori e sfruttati!) e una conseguente, se non da molti persino ritenuta necessaria, differenziazione “economica” secondo i meriti e le qualità di ciascuno, misurati dal capitale secondo i profitti ottenuti dal loro sfruttamento.

Abituati alla elaborazione di concezioni ideologiche di comodo, è molto difficile – anche per il migliore fra questi “interpreti” di Marx – accettare un pensiero critico nel quale non trova posto (nonostante i tentativi di “scoprirlo” in esso e di denunciarlo al pubblico ben pensante) quel fideismo, quel messianismo e finalismo al quale anche Marx si sarebbe aggrappato (?) di fronte allo stato di cose presente nel suo tempo e guardando ad un futuro con la certezza (idealistica…) di un suo avverarsi ineluttabile. Questo secondo il “debole pensiero” dominante.

In verità, e al contrario, con l’analisi critica radicale sviluppata da Marx noi guardiamo alla “possibilità” materiale di un rivoluzionario superamento dell’attuale organizzazione sociale, dominata dal capitale, in cui vive l’umanità. Un superamento tanto più concretizzabile quanto più insopportabili e disumane si confermano le condizioni di esistenza (quasi al limite estremo della sopravvivenza) degli esseri viventi e non solo della specie umana, oltre che della stessa natura. Ma questo, inutile dirlo, non basterebbe senza l’entrata in scena di una adeguata prassi rivoluzionaria e volontà politica adeguatamente organizzata.

Va però tenuto conto del fatto che con le valutazioni sopra riportate ci troviamo sulla soglia d’ingresso ad una scuola anglosassone, quella del cosiddetto “marxismo analitico”, impegnata in riflessioni filosofiche (è un chiodo fisso!) sulla “coerenza e sensatezza del discorso marxiano”. In particolare vivisezionando – e qui la suddetta scuola si trova nel suo miglior elemento! – “l’antropologia di Marx (essenza umana, alienazione e lavoro) e l’esame da lui svolto del ruolo della moralità nella società e nella storia”. Pane per i denti di un Allen W. Wood (autore di Karl Marx, Routledge – 1981 e 2004) e di un Gerald A. Cohen che nel suo Karl Marx’s Theory of History (Princeton University Press – 1978) ha sostenuto che la concezione di Marx è quella “tecnologica” della storia, capace con questo di spiegare la natura delle relazioni economiche e sociali fra le classi. A sua volta, Wood vi inserisce anche l’importanza della cooperazione sociale e altri approfondimenti sulla alienazione e lo stato di infelicità degli uomini.

E per la serie degli emeriti professori (quest’altro appartenente alla London School of Economics e già attivo nelle file del Labour Party) eccone uno che giunge alla scoperta di “una acuta tensione esistente entro l’impianto analitico del Capitale”. Si tratta di Meghnad Desay (Marx’s Revenge. The Resurgence of Capitalism and the Death of Statist Socialism – 2002) secondo il quale saremmo al cospetto di un Marx che, mentre vede favorevolmente lo sviluppo delle potenzialità proprie al modo di produzione capitalistico, sottovaluterebbe però “le capacità autoproduttive del capitalismo”. Ne sarebbero una prova gli schemi di riproduzione del II° Libro del Capitale: il professore trova qui la dimostrazione che un aumento dei consumi finali della classe operaia “provvede a stabilizzare il capitalismo, a orientarlo verso un sentiero di crescita più equilibrato”… Già, ammesso ma non concesso dallo stesso Marx, ecco che per il nostro illustre professore il capitalismo sarebbe capace di “perfezionare la sua opera di potenziamento delle forze produttive”. Conclusione: il capitalismo non avrebbe affatto le ore contate; anzi, con la globalizzazione si espande e diffonde “i benefici della modernizzazione” in ogni regione… E c’è dell’altro: nel “filo rosso del ragionamento di Desay” vi sarebbe persino “una linea di continuità” col pensiero economico e politico neoliberista, come quello di Hayek. Sia Marx che Hayek – pensate un po’! – “diffidano delle possibilità di totalizzazione conoscitiva di una istituzione esteriore all’ordinario svolgersi dei traffici economici”. Sembrerebbe quindi che nel seno stesso del capitalismo si svilupperà spontaneamente e senza alcuna forzatura e violenza un nuovo processo sociale autorganizzato. Il tutto entro la sfera economica (del capitalismo) debitamente valorizzata.

Si ristrutturano le statue di Marx

Rimaniamo fra i tentativi volti ad una parziale assimilazione del “pensiero” di Marx, entro certi risvolti ideologici borghesi. Fino al punto di concedergli, in alcuni suoi aspetti sottoposti a debite manipolazioni, persino una superiorità da misurarsi però sempre con una sua evidente (anzi, più di una e più che lampante, secondo la “pubblica opinione”…) fragilità dimostrata poi sul terreno pratico anche dai discepoli (guardate un Lenin, ci sussurrano, e figuriamoci uno Stalin!) e riconducibile a certe sue derive tanto metodologiche quanto sostanziali, con elaborazioni teoriche sfioranti addirittura assurde pretese scientifiche. Qui tutti sono concordi nello screditarle a pieni voti perché miseramente fallite e confutate in campo politico ed economico dalla borghese intellettualità.

È soprattutto nei riguardi della critica dell’economia politica svolta da Marx, che viene sottolineata la “datazione” delle analisi condotte dallo stesso “red doctor”. Analisi critiche le quali – secondo i maggiori e minori esponenti della intellighenzia borghese, compresi quelli schierati a… “sinistra” – sarebbero limitate ad una negatività che fu “storicamente determinata” e come tale avrebbe avuto, ieri, una “strumentazione concettuale”, oggi superata. Siamo nell’era dell’informatica e quindi “sono cambiate le cose”: così recitava un L. Barca anni fa, mentre un C. Napoleoni (siamo al 1990) sentenziava: “C’è una infinità di previsioni economico-sociali fatte dal marxismo che sono state praticamente invalidate dai fatti”. E quasi tutti rimproverano nel “discorso” di Marx la presenza di parti incompiute, contraddizioni, qualche incoerenza, eccetera.

Va detto che gli spazi che oggi si sarebbero aperti (o meglio, che sono stati aperti con ogni genere di forzature idealistiche) a proposito di ricerche attorno alla “identità politica e teorica del marxismo”, sono affollatissimi (lo sono stati nel passato e lo sono maggiormente nel presente) da parte di esponenti della intellettualità più o meno vicina ai pensieri, sia pure… riformati, della classe dominante. E persino Engels, secondo molti, sarebbe stato fra i primi deformatori dell’originale pensiero del suo fraterno compagno. Da lui sarebbe cominciata una operazione di trasformazione, sempre da parte di esponenti della intellettualità borghese ma non solo, delle ricerche di Marx – si dice – in una “dottrinaria nuova concezione del mondo”; per di più sorvolando (ma questo lo si deve soprattutto ai successivi interpreti di Marx) su quella che comunemente dai più viene considerata “una elaborazione contraddittoria”, specie per ciò che concerne il lato economico del pensiero di Marx. Dopo di Engels sarebbe stata la volta di Kautsky e via via la lista si allungò.

Certamente, le deformazioni che si sono succedute nel tempo (ad opera anche della stessa borghesia) hanno fatto del marxismo una paccottiglia che in particolare, da Stalin in poi, fu presentata come un dogmatismo di tipo religioso. Tuttavia, quando la critica ai deformatori di Marx – dai quali noi ci tenemmo in disparte e mai con essi ci confondemmo – pretenderebbe di coinvolgere in prima persona e come iniziatore di un insieme di mistificazioni il compagno Engels, per poi “scoprire” nelle stesso Marx una serie di contraddizioni e incoerenze che andrebbero a comporre una teoria incompleta e ricca di erronee conclusioni nonché di “zone grigie”, beh, sia chiaro, prendere le distanze è d’obbligo!

Così è per un K. Lowith (Critica dell’esistenza storica) che concluderà i suoi giudizi critici sottolineando il fallimento della concezione materialistica della storia a causa delle sue insuperabili contraddizioni… E fra gli esempi di tali “procedimenti critici” non manca quello di un Althusser alla caccia dei “limiti” di Marx. Fino a rendere il pensiero di Marx quale “responsabile”, sia pure “indiretto”, dei modi diversi in cui dalla teoria si passò alla pratica durante il secolo scorso, con i conseguenti Gulag, purghe staliniane e quant’altro.

Anziché a demonizzatori del “pensiero” di Marx, ci troviamo al cospetto di chi finge di assimilarlo, concedendogli in alcuni sue apparenze persino una superiorità commensurabile alla debolezza dei pensieri di quanti si dibattono nella palude dei loro personali punti di vista, condizionati sempre da una esigenza di conservazione del capitalismo sia pure con qualche riverniciatura di facciata.

Spazio, dunque, a riconoscimenti di Marx in ambito filosofico – soprattutto – ma sempre guardandosi bene dal dare qualche concretezza ad una sinergia di pensiero e azione in direzione (per l’appunto concreta e non più filosofica) anticapitalista. Questo non sia mai. La raccomandazione è perciò sottintesa: si critichi pure teoricamente (da parte degli “esperti” accademici addetti ai lavori) la società esistente ma attenti a non esagerare e a non illudersi o illudere altri sulla possibilità di un’organizzazione politica attorno ad una piattaforma programmatica, la quale abbia la pretesa di fare della critica e della teoria la base di un agire rivoluzionario. Diventa quindi della massima importanza il seminare dubbi (fino anche al cartesiano “dubbio iperbolico”…) come, per esempio, sul Marx materialista: lo fu veramente oppure, come insinua un altro filosofo, E. Balibar, quello di Marx sarebbe stato piuttosto “un materialismo senza materia”?

Metaforicamente il riferimento sarebbe quello ad una materialità dipendente dalla prassi trasformatrice.

In proposito, anche G. Preve era del parere che in fondo quello di Marx non fosse proprio un vero materialismo. Nel pensiero del “filosofo di Treviri” l’idealismo avrebbe occupato un posto di rilievo, approdando ad un materialismo nel quale non vi sarebbe stato un riferimento alla materia così come viene solitamente intesa bensì soltanto facendone un uso metaforico. Diventerebbero perciò pensieri idealistici le affermazioni di Marx:

Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza.

L’ideologia tedesca

L’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini.

Il Capitale, I° Libro

Dalla terra al cielo, dunque e non viceversa; e sulla terra si parte dalle concrete condizioni di esistenza degli “uomini realmente operanti”. Ed è...

sulla base del processo reale della loro vita (che) si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali.

Marx-Engels, L’ideologia tedesca

Produzione materiale, relazioni materiali, rapporti di produzione e di scambio, e non contese ideali, sono la base dalla quale si originano morale, religione, metafisica e ogni altra forma ideologica ed elaborazione teorica.

Ma, sempre… metaforicamente, si insinua che il riferimento sarebbe quello di una materialità, sì, ma con allusione alla sola prassi trasformatrice. Allora Marx fu un idealista? Lo scriveva ai suoi tempi un Gentile: “La materia del materialismo storico, lungi dall’essere esterna e opposta alla Idea di Hegel, vi è dentro compresa, anzi è una cosa medesima con essa”. (La filosofia di Marx). E davanti ad un Gentile, così come ad un Croce, ogni intellettuale che si rispetti non può che levarsi il cappello.

In seguito, e a proposito di una certa interpretazione della attività trasformatrice, un accenno va anche a quel marxismo delle forze produttive che apriva le porte a un materialismo storico il quale si poneva una prospettiva progressista nella stessa sostanza tecnologica del capitalismo. E qui a prendere il sopravvento sarà una concezione produttivistica che contaminerà il movimento operaio “guidato” dai partiti dello stalinismo imperante e dai sindacati, ossequiente cinghia di trasmissione degli interessi della conservazione capitalistica.

Abbiamo sopra accennato ad Engels: su di lui, ed anche su Lenin, è sempre stato di moda infierire accusandoli più o meno apertamente di aver dato un notevole contributo nel far assumere al marxismo le caratteristiche di una teoria quasi religiosa, sanzionante una inevitabile evoluzione dal capitalismo al socialismo. Ed è questo, ancora oggi, il pezzo forte di chi tenta di salire sulle spalle di Marx per far rotolare ai piedi dello stesso quella che si pretende essere “l’idea marxista della transizione dal capitalismo al socialismo come legge assoluta”. Una legge da considerarsi (ma chi l’ha mai detto?) al pari di una qualunque altra legge naturale.

Al punto che, ancora Engels e Lenin, avrebbero – secondo alcune interpretazioni – sostituito a delle “totalità espressive” fortemente metafisiche e teologiche, una nuova “totalità espressiva assolutizzata” in forma ideologica. Leggiamo queste considerazioni in alcune pagine di Minimi mercatalia di D. Fusaro, Bompiani 2012.

Il problema sarebbe allora quello di una “natura largamente idealistica della riflessione di Marx” e nella quale entrerebbero a far parte “due grandi matrici: la filosofia della prassi di Fiche e la scienza filosofica dell’intero di Hegel”. E siamo così di muovo sospesi a mezz’aria fra le nuvole dei pensieri filosofici… a volte illuminati dai riflettori dei mass media ad uso e consumo del pubblico più intellettualmente dotato.

Prima di proseguire, diciamo pure che anche per noi vi sono alcune affermazioni di Engels, le quali – se vengono schematizzate e quindi irrigidite – finiscono con l’essere del tutto stravolte, aprendo il terreno a prospettive in cui si verrebbe a collocare una direttiva materialistico-evoluzionistica. Qui le leggi oggettive della storia finirebbero col prevalere su tutto e su tutti. Basti il riferimento al Diamat, la dottrina del “materialismo dialettico” imposta da Stalin.

Purtroppo ancora oggi il proletariato continua ideologicamente a subire l’addomesticamento entro un quadro di riferimento proprio ad una concezione del mondo, reale e storico, nella quale si travisano le basi materiali dalle quali derivano le idee. Basterebbero quindi delle denunce verbali delle ingiustizie sociali presenti perché si possa migliorare una situazione che si va evidenziano come “preoccupante” nel mantenere l’assetto attuale della società divisa in classi.

Questa espressione ideale dei rapporti di produzione dominanti costituisce l’insieme di idee della classe al potere, le quali “sono in ogni epoca le idee dominanti”. (Marx). Nessuna meraviglia se le contraddizioni che via via esplodono nell’attuale modo di produzione non siano ufficialmente viste che come momenti di transitorietà, semmai con richieste di interventi correttivi e regolatori. Esse vengono, appunto, legittimate ideologicamente (apologia del libero mercato e dell’ordine sociale borghese), senza riuscire a superare quel presente stato di cose che sta trascinando l’intera umanità verso un totale imbarbarimento.

Dunque, ancora una volta, idee che non fanno altro che rispecchiare, conservare e giustificare un reale che subisce mistificazioni e capovolgimenti di ogni genere. Un accenno particolare va ancora allo stalinismo che sotto le mentite spoglie di una propaganda e di una applicazione diretta e fedele del pensiero teorico, e politico, di Marx (sottoponendolo a contaminazioni e derive ideologiche a dir poco raccapriccianti), ha diffuso il capitalismo di Stato spacciandolo per socialismo reale e imposto la più spietata dittatura borghese presentandola come la dittatura del proletariato.

Ed è cosi che si alimenta la convinzione della presenza di una “natura largamente idealistica nella riflessione di Marx”, positivamente contrapposta ad ogni volgarizzazione materialistica e nella quale entrerebbero a far parte “due grandi matrici: la filosofia della prassi di Fiche e la scienza filosofica dell’intero di Hegel”.

Le dichiarazioni del giovane Marx non convincerebbero allora più di tanto il pensiero della intellighenzia borghese:

abbandonare il terreno della filosofia e di ogni speculazione contemplativa e ideologica... [muovendo] da presupposti effettivi, constatabili in maniera meramente empirica... [per costruire] esaminando il reale... una scienza empirica della storia.

Marx, L’Ideologia tedesca

Gira e rigira, per quasi tutti gli interpreti di Marx sarebbe evidente il suo precipitare di nuovo fra le braccia della filosofia hegeliana (vedi il metodo dialettico…): diventa conseguente l’addebito di assolutizzazioni idealistiche all’interno di un ricostruito processo storico dove le classi figurerebbero come attori metafisici. E così, al pari dell’Idea hegeliana che (si dice…) non si opporrebbe affatto alla realtà, anche Marx cederebbe a sguardi olistici e coltiverebbe l’illusione di una realizzazione del fine universale della storia, ormai a portata di mano…

Sono quindi sempre evidenti le tentazioni di screditare la teoria rivoluzionaria di Marx declassandola (o… innanzandola) a livello di una prospettiva idealistica. E così, a proposito di prassi, è difficile per l’intellighenzia filosofica borghese resistere alla tentazione di risalire a Fitche per dar valore ad un idealismo soggettivo che si presentava come una filosofia dell’azione, dove in germe vi sarebbe già stata l’idea della unità di teoria e prassi. (Sono le opinioni di Gentile, Garaudy, Severino e, più o meno, di Gramsci.)

Chiaramente va distinta una prassi rivoluzionaria da una conservatrice. Quella che oggi risulta dominante è una prassi esclusivamente rivolta alla produzione di ricchezza sociale di cui si appropria privatamente la classe che gestisce il dominio del capitale sul lavoro salariato. Una prassi, quindi, della forma storica capitalistica.

Nonostante Marx avesse già dichiarato, nelle Tesi su Feuerbach, come il materialismo meccanico e dogmatico abbia il suo limite nel concepire l’oggetto in modo statico ed inerte, come “una realtà data a prescindere dal soggetto e da esso recepita passivamente nell’intuizione” ignorando “la attività sensibile, la prassi”, nonostante tutto ciò si continua a confondere le carte in tavola. Oltre alla prassi sociale umana, alla molteplice attività degli individui socialmente organizzati, è vero che Marx ha riconosciuto anche l’ideologia come una “forza materiale”; sovrastrutturale, sempre, ma non per questo trascurabile.

Rimane tuttavia di fondamentale importanza l’attività che si estrinseca in rapporti sociali i quali – ed è qui l’originalità di Marx – acquisiscono una loro oggettività. Così come le categorie dell’economia borghese, scrive Marx nel Capitale, I° libro:

sono forme socialmente valide, quindi oggettive, per i rapporti di produzione di questa maniera di produzione sociale, determinata storicamente, della produzione di merci.

È chiaro che l’attività soggettiva non si riduce ad un momento semplicemente naturalistico proprio di una “materia in sé”. Ed è soprattutto costituita dalla storia delle società umane (e della natura in esse incorporate) la “materia” sulla quale si concentra l’indagine di Marx, penetrando nelle profondità di quello spazio storico-sociale che è una vivente totalità ricca di movimento, tensioni e contraddizioni; una totalità dinamica e processuale.

Ed altrettanto chiaramente va detto che proprio perché materialista, Marx pone al centro della sua teoria critico-rivoluzionaria la prassi sociale degli uomini. Quale sia poi il suo concetto di oggettività, Marx lo ha spiegato, seppur in sintesi, nelle Tesi si Feuerbach.

Ma per i suoi interpreti borghesi, ecco che Marx, tra Hegel e Fitche, finirebbe col trovarsi nel mezzo di una contraddizione senza soluzione, ovvero fra la materialità della produzione che spinge a superare la realtà capitalistica, da una parte, e quella più idealistica della prassi umana, dall’altra. Ad unire entrambe, secondo Marx, vi sarebbe un ritmo dialettico; ma – secondo altri “pensatori” – il problema rimarrebbe irrisolto senza un “ristabilimento del sapere filosofico”: è questo il finale di Fusaro che affida le speranze di un cambiamento nella capacità da parte dell’individuo di procedere alla “modulazione di una strategia di reazione”. Si tratta, è vero, di un individuo ridotto ad “atomo egoistico” ma pur sempre “cellula di resistenza alla manipolazione, al nichilismo, all’oblio dell’essere sociale”… Ebbene, indovinate a questo punto chi vien fatto entrare in scena, risvegliandoci da un soporifero incanto filosofico? Nientemeno che un Heidegger con le parole di L’essere e il nulla: “Il singolo Esserci è disperso nel Si e deve, prima di tutto, trovare se stesso”… (1)

Pur ammettendo la realtà di un “cosmo socio-politico che si presenta con i tratti opachi dell’immutabilità”, generando barbarie, anche Fusaro non trova di meglio che sostenere (“variando la formula di Heidegger con registro ficthiano”): “solo un Io ci può salvare”.

Un sentiero ben distante dalla strada maestra sulla quale siamo incamminati, in compagnia di Marx.

Un “vetero marxista”

(1) Anche nel caso di un breve accenno a Heidegger, è sempre bene munirsi di un tubetto di pastiglie contro il mal di testa. Per il sommo filosofo in questione, l’“essere” non sarebbe mai se stesso poiché risulterebbe “svuotato del suo essere”, con una propria identità perduta. Gli “altri” sarebbero presenti in modo dominante su di noi, per cui non saremmo più padroni di un nostro “io”. Esisterebbe soltanto un anonimo, impersonale e neutro SI. Che significa? Significa – è sempre Heidegger che riverbera su di noi il suo pensiero – che “SI” fa tutto ciò che fanno gli altri… Il SI decide per tutti… e così esisterebbe ciò che è umano pur avendo l’umano perduto se stesso. Si vive ma non in modo autentico… E questo sarebbe in definitiva l’essere dell’uomo nel mondo, un uomo che “si“ è perso in una banale quotidianità: “si” va a teatro, “si” fa un discorso, “si” è un pensatore… Siamo quindi dispersi nel SI… Ma Heidegger era (o credeva di essere) in buona compagnia: Heil Hitler!

Martedì, November 20, 2012

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.