Il libero tempo di sfruttare

In soccorso alla nazione, anno 2011/13, tra le strategie adottate per il rilancio dell'economia, il governo Monti prevedeva per il commercio un ulteriore passo in avanti di liberalizzazione degli orari di vendita senza più vincoli.

L'intento dichiarato era il rilancio delle attività commerciali, quelle di bottega come dei supermercati, sulla base della semplicistica equazione del più lavoro = più guadagno, partendo dal presupposto che il calo delle vendite, endemico dei momenti di crisi, potesse essere compensato dall'estensione degli orari di apertura. Tuttavia non si tratta di mancanza di tempo, la crisi è di ben altra natura.

I reali obiettivi di tale provvedimento, come tutti quelli di un qualunque governo borghese in soccorso del capitale, si sono chiariti in breve tempo e la sostanza era, ed è tuttora, quella di favorire la grande distribuzione, il grande capitale operante in generale.

Passata l'euforia iniziale, i piccoli commercianti si ritrovano a fare i conti, non con un aumento statistico della clientela dovuto alla maggior offerta, bensì con uno «spostamento» della stessa verso i colossi della distribuzione e della vendita al dettaglio. Il meccanismo adottato, in un contesto di crisi e di contrazione del mercato con un meno 7,3%, ha amplificato la spinta centrifuga della concorrenza, con l'espulsione delle piccole aziende che non hanno retto l'urto e il conseguente riassorbimento delle quote di mercato liberatesi dai gruppi maggiori.

Il settore somma perdite per 57mila addetti nelle piccole attività, frenate in parte dall'aumento del part-time, dalla diminuzione degli straordinari, dalla cassa integrazione e da una complessiva diminuzione delle ore di lavoro; il tutto ha significato un aumento del disagio e dello stress dovuti a turni continuamente variabili e incerti fino all'ultimo.

I lavoratori autonomi hanno così potuto constatare cosa sono le strategie di buon funzionamento del capitale e incentivazione degli investimenti: dal 2007 al 2012 sono diminuite di 152mila le unità di lavoro indipendente; di 18mila è invece stato l'incremento dei dipendenti, con i soliti contratti capestro, sempre per il settore commerci; evidente la dinamica di proletarizzazione se non diretta sotto-proletarizzazione della middle-class.

Di incrementare l'attività, quindi, neanche l'ombra. Spostamento e concentrazione sono invece le parole d'ordine dell'attuale ciclo di accumulazione capitalistico. Passerà? Si può escludere, in quanto il prossimo gradino riformatore metterà in campo un'azione ancor più drastica in favore delle grandi aziende. Le contraddizioni strutturali, interne al sistema capitalistico, hanno ridotto i margini di contrattazione e vedono le strategie di rilancio dell'economia e dell'occupazione, dipendente e non, lasciare sul terreno un numero sempre crescente di lavoratori e di autonomi e partite Iva ad ingrossare le fila del proletariato.

Le proposte e le ricette di «sistema», ora alla ricerca di soluzioni alla crisi, non possono avere altro indirizzo che la centralizzazione: provenienti da governi tecnici, di destra o sinistra sono tutte al servizio del grande capitale.

La prassi sindacale del settore, ci riferiamo in particolare alla Filcams CGIL, è la concertazione, la proposta di un accordo contrattuale «nuovo» in sostituzione di quello passato, che tenga però conto delle necessità delle aziende. È l'esecuzione sul campo degli interessi dei gruppi dominanti e delle leggi del capitale; il tutto è accompagnato da una puntuale "critica", ovviamente di facciata, per dissimulare l'accordo ed in seguito seppellirlo – cioè seppellirne le “voci” che, molto ma molto timidamente, dovrebbero “tutelare” i lavoratori – una volta esaurito il suo scopo e mascherati i suoi reali obiettivi. Quali sono? L'appropriazione, senza crescita, di quote di mercato da parte dei «grossi» a scapito dei piccoli (le botteghe, i negozi sotto casa), passando per un peggioramento delle condizioni di vita e lavoro del proletariato. Grazie, "compagni"!

GK
Lunedì, May 19, 2014