IS - La barbarie imperialistica continua

Nulla di nuovo sotto il sole del Medio Oriente se non che il drammatico sconquasso che la nascita dello Stato Islamico ha innescato in Siria e Iraq continua a mettere in fibrillazione i paesi della Coalizione e quelli direttamente interessati agli eventi bellici come la Turchia.

Il governo di Assad, per bocca del ministro della difesa, ha dichiarato che ultimamente sono stati abbattuti due Mig caduti nelle mani dei jihadisti di al Baghdadi mentre sorvolavano lo spazio aereo della Siria in prossimità di Kobane. Di per sé la notizia non avrebbe molta rilevanza, dato che la Siria è paese attaccato dall'Isis, se non per il tentativo del governo di Damasco accreditarsi quale affidabile alleato della Coalizione, pur non facendone parte, in chiave “antiterroristica”, cercando così di allentare la pressione occidentale nei suoi confronti. Nel frattempo il regime di Damasco continua a comprare sul mercato nero il petrolio di cui ha bisogno dai faccendieri dell'IS, petrolio che un tempo era il suo e che oggi, in buona parte, è appannaggio del suo acerrimo avversario.

La Turchia, pur continuando a restare immobile con il suo schieramento di carri armati a non più di un chilometro dalla città di Kobane, assediata dalle milizie jihadiste, ha acconsentito il passaggio sul suo territorio dei curdi iracheni, perché combattano duramente contro il terrorismo del “califfato”. Di contro ha ribadito, per bocca del suo presidente Erdogan, che non concederà le sue basi militari alla Coalizione, per combattere più efficacemente contro la milizie di al Baghdadi. Nel frattempo consente il transito e la vendita del petrolio jihadista sul suo territorio, in una sorta di schizofrenia geostrategica, dove la lotta al terrorismo e ai suoi guasti energetici in tutta l'area, si coniuga con le esigenze economiche e strategiche nazionali dei vari attori di questo ennesimo teatro di barbarie bellica.

La Coalizione è costretta a far partire i suoi caccia dalle basi del Kuwait e del Qatar, allungando i percorsi e i costi dei bombardamenti. In compenso gli obiettivi colpiti sono prevalentemente quelli delle postazioni militari dell'esercito dello Stato Islamico, ma non i “suoi” pozzi petroliferi, che ammontano a circa una sessantina nei territori occupati in Siria e in Iraq. Come è noto, i proventi dello sfruttamento dei pozzi porta nella casse dell'IS una cifra pari a due milioni di dollari al giorno, che rappresentano la sua vera forza finanziaria e militare. Sul terreno finanziario si calcola che i “risparmi” siano di due miliardi di dollari. Su quello militare, oltre a quanto sottratto all'esercito iracheno in rotta, le forniture arrivano dal solito mercato internazionale a cui, come al solito, non fanno certamente schifo i dollari del “Califfo nero”.

L'Iran del nuovo corso muove i primi passi verso un'intesa con gli Usa che, se dovesse produrre dei risultati, comporterebbe un rimescolamento delle alleanze dell'area, in primis tra Riad e Washington, con tutte le conseguenze del caso sugli equilibri energetici sin qui disegnati.

La Russia soprattutto e la Cina non si preoccupano più di tanto delle vicende dello Stato Islamico, mentre sono attente ai comportamenti di Teheran per non compromettere l'asse energetico centroasiatico di cui, secondo i piani di Mosca e di Pechino, l'Iran deve continuare a far parte.

Contraddizioni imperialistiche? Certo, ma con una ferrea logica che è quella dell'interesse nazionalistico all'interno di un quadro geopolitico e geoeconomico che subisce le leggi del profitto, della rendita petrolifera, del controllo delle vie di commercializzazione del petrolio e del gas, dei relativi rapporti di forza tra i grandi e i piccoli attori. Agli inizi di questa vicenda, per motivi diversi e, in alcuni casi addirittura contrapposti, la creazione dell'Isis, gli appoggi concessi e i finanziamenti elargiti erano funzionali all'imperialismo occidentale e a quello medioorientale per annullare alcune presenze scomode, come il governo siriano di al Assad e quello non più affidabile dell'iracheno al Maliki. Poi, quando il mostro evocato ha incominciato a camminare sulle sue gambe, creando più disastri che vantaggi, rispetto alle aspettative degli apprendisti stregoni, l'alleato è diventato il nemico da abbattere, ma con una serie di distinguo le cui specificità risiedono nell'interesse che ognuno degli attori persegue individualmente. Tutti dunque contro il terrorismo dello Stato Islamico, ma attenzione ai pozzi petroliferi che non devono, perlomeno al momento, essere distrutti. Tutti contro al Baghdadi, ma senza favorire la concorrenza. Tutti assieme, ma non appassionatamente, per lasciare margini alle necessità individuali.

Lo Stato Islamico cadrà, nuovi equilibri energetici saranno raggiunti a seconda dei vari pesi specifici delle centrali imperialistiche. Tutti vorranno guadagnarci qualcosa. Chi perderà tutto, come al solito, saranno i disperati, i diseredati, i lavoratori che stanno subendo il peso dell'ennesima barbarie della guerra imperialista, che in tempo di pace sono lasciati nella miseria e nello sfruttamento e che, in tempo di guerra, vengono reclutati come “carne da macello” al seguito degli egoismi delle rispettive borghesie nazionali che, a loro volta, fungono da supporto ad uno degli imperialismi internazionali. Chiamati a combattere contro un “terrorismo” che altri, per i loro interessi, hanno colpevolmente inventato, o per difendere presunte democrazie “progressiste” che sono ad uso e consumo delle borghesie che le amministrano, o per correre in difesa di popoli oppressi da quegli stessi stati borghesi e imperialisti di cui i loro governi fanno parte e che partecipano alla Coalizione. Quando, invece, gli oppressi dal capitalismo, dalle barbarie dell'imperialismo dovrebbero invece iniziare a creare la loro “coalizione” di classe contro tutte le bandiere dello sfruttamento e dell'oppressione del capitale, dei suoi perversi interessi indipendentemente da come vengano contrabbandati

FD
Mercoledì, October 29, 2014