Ancora sulla Titan e sulle lotte del “lavoro”

Situazione alla Titan

Gli operai della Titan (Azienda che produce ruote e freni per macchine agricole) dello stabilimento di Crespellano (BO) da giorni presidiano la fabbrica impedendo l'uscita di merci e macchinari, per difendere i loro posti di lavoro e la conseguente possibilità di sopravvivere. Gli operai stanno lottando contro i loro padroni, che vogliono mandare a casa 190 lavoratori per poter chiudere la fabbrica e delocalizzare la produzione la dove salari bassissimi consento altissimi profitti, come in Cina e in Turchia. Da una parte gli operai e la loro necessità di avere un salario per vivere, dall'altra i padroni che quel salario devono abbassare per aumentare i loro profitti. L'antagonismo di classe, che divide operai e padroni, si evidenzia con sempre maggior chiarezza.

Delocalizzazione e licenziamenti

"L'occupazione" della fabbrica arriva dopo un mese di agitazione, fatta di innumerevoli scioperi e blocchi della produzione, da parte degli operai. Stato di agitazione iniziato come risposta operaia alla richiesta dell'azienda di 13 settimane di cassaintegrazione non trattabili. L'azienda ha poi rilanciato pesantemente la sua offensiva, dichiarando la prossima chiusura della fabbrica di Crespellano, con la conseguente apertura del procedimento di mobilità per i 190 lavoratori che vi lavorano. Il tutto con la scusa del calo dei volumi produttivi ma con la reale motivazione di voler delocalizzare la produzione la dove il lavoro costa meno. Questo è il ringraziamento dei padroni a quegli operai che, piegati dalla necessità di dover tutelare i loro posti di lavoro, dopo il terremoto del 2012 che aveva danneggiato la fabbrica di Finale Emilia, si erano fatti spremere ancor di più per non perdere le commesse già concordate. Quella stessa fabbrica che, rimessa in piedi anche con soldi pubblici, ha visto il largo utilizzo della cassaintegrazione prima e dei contratti di solidarietà poi. Non a caso l'unica concessione che i padroni sembrano disposti a fare è quella di lasciare solo i 52 operai del reparto freni a Crespellano, spostando parte della produzione di Crespellano a Finale (62 operai), la fabbrica dove i salari sono più bassi, finchè ci saranno; Del resto se oggi vogliono delocalizzare la produzione di Crespellano presto, per le stesse logiche di profitto, arriveranno a voler delocalizzare la produzione di Finale, dove sono stati già dichiarati 60 esuberi. Il giochetto è questo: ricattarci minacciando di delocalizzare la produzione, per farci accettare salari sempre più bassi, per poi magari delocalizzare licenziandoci una volta spremuti a dovere.

Altre ipotesi alla delocalizzazione

il comportamento della direzione aziendale è contraddittorio: da una parte ha mandato la lettera di licenziamento a tutti i lavoratori (impiegati compresi) di Anzola-Crespellano (una parte dovrebbe essere riassunta lì e a Finale Emilia, secondo le promesse dell'azienda), dall'altra ha impiantato da poco una nuova pressa gigantesca; ma se vogliono chiudere, che se ne fanno? Una possibile soluzione, si fa per dire, potrebbe essere quella che i padroni tengano aperto il sito, ma dopo aver rotto le ossa ai lavoratori ossia dopo aver imposto condizioni di lavoro generali "turche" (cioè, grosso modo, come in Turchia, dove c'è un altro stabilimento) e aver incassato incentivi di ogni genere dalle istituzioni. Infatti, le istituzioni-partiti locali si affannano a portare solidarietà ai lavoratori. Il tutto può essere, naturalmente, dipende da tante cose, non ultima dalla capacità di lotta dei lavoratori stessi.

In ogni angolo del globo, l'attacco ai salari e alle condizioni di vita del proletariato, è il comun denominatore dell'operato dei capitalisti e dei loro governi, per supplire alla crisi dei loro profitti. Per tale ragione la situazione alla Titan non è una novità per noi operai, ma solo l'ennesima conferma.

Offensiva padronale e resistenza operaia

Titan di Bologna, Ast di Terni, Canados di Roma, TRW di Livorno,, sono solo alcune delle realtà di fabbrica su cui si rovescia la crisi capitalistica e il cui costo è da far pagare interamente ai lavoratori, investendo anche altre categorie e settori del mondo del lavoro. L'elemento centrale di tutte queste situazioni è che i padroni hanno colto subito l'aria che tira: si muovono con determinazione rispetto ai propri obiettivi reali e con l'avvedutezza di chi punta a sfondare il fronte operaio prima, e a logorare poi l'eventuale resistenza in una lunga battaglia di posizione in cui le armi maggiori sono a propria disposizione. I tavoli di incontro o di mediazione istituzionale rispecchiano questo stato di cose avvallando in pieno le ragioni padronali, senza nessuna contropartita reale, e di fatto appaiono come scatole vuote tutt'al più tese a ratificare la situazione di fatto e a scambiare molto di meno che il solito piatto di lenticchie. Insomma indietro non si torna, per il resto arrangiatevi.

E' chiaro che in questo contesto la lotta operaia non può che essere lotta di difesa e resistenza davanti ai piani padronali, per la difesa dei livelli occupazionali, delle condizioni di lavoro, dei livelli salariali, dell'agibilità ad organizzarsi in fabbrica. Una lotta che come la Titan dimostra porta con sè la coscienza della risposta immediata da dare e nel contempo stesso ne fa emergere tutti i problemi legati al carattere della lotta stessa, della situazione generale in cui la lotta operaia viene a calarsi, nella situazione data dagli attuali rapporti di forza, nell' arretramento complessivo di classe.

Le “cronache operaie” della lotta alla Titan ci consegnano nella loro specificità questa realtà contradditoria. Sicuramente di fronte al “tutti a casa, qui si sbaracca”, messo in campo dal fronte padronale, la prima risposta è stata quella dell'organizzare una risposta in maniera compatta e unitaria. Di fronte ad un simile aut-aut la risposta non può che porsi che in questa maniera vista la posta in gioco, nella coscienza che non ci sarà una seconda occasione. Il secondo elemento è che la compatezza operaia non ha potuto che esprimersi e verificarsi nella organizzazione delle forme di lotta messe in piedi. Forme di lotta che hanno avuto il loro baricentro nell'incidere direttamente sulla produzione, “nel far male al padrone, lì dove più lo sente”, cosa che non solo ha comportato il blocco o il rallentamento del lavoro direttamente sulle linee di produzione, ma anche il controllo e il blocco dei rifornimenti e della produzione in entrata ed in uscita, esprimendo una coscienza esatta del tessuto produttivo della multinazionale Titan rispetto alle lavorazioni delle altre filiali sul territorio. Elemento questo che ha presupposto un controllo ed un presidio continuo della fabbrica. Un ulteriore passaggio è stato quello di allargare il fronte di lotta o comunque di costruire sostegno intorno alla propria, cercando collegamenti con altre realtà operaie e di classe. Di più, sull'esempio degli operai livornesi, gli operai della Titan hanno individuato direttamente la loro controparte nell'insieme del fronte padronale, ovvero in quella confindustria che nello specifico del territorio bolognese detta i tempi e le modalità dell'attacco alla condizione operaia e dei processi di ristrutturazione industriale, dosandoli e centellinandoli fabbrica per fabbrica, unità produttiva per unità produttiva, mai tutto insieme come un attacco frontale a tutto campo cosciente delle possibili ripercussioni di una risposta operaia complessiva.

Tutti questi elementi che la lotta operaia ha fatto propri, ancor prima che dalla coscienza sono stati imposti dalla situazione che l'attacco padronale ha determinato. Sicuramente la forza dei problemi non ha potuto che far superare tentennamenti e portare alla necessità di organizzarsi recuperando forme di lotta che si contrapponessero all'iniziativa padronale: determinazione, unità, intellegenza e forza d'organizzazione sono sicuramente gli elementi distintivi che hanno permesso fin qui la tenuta operaia. Ovviamente ciò non muta il carattere della lotta, di resistenza e difensiva, nè il terreno su cui si svolge, quello della singola fabbrica e prettamente vertenziale, caratteri che indirizzano gli stessi obiettivi e prospettiva dell'azione operaia di fronte all'azione padronale. Ma sicuramente pongono d'avanti una serie di problemi che la stessa lotta operaia si trova ad affrontare e che vanno sciolti pena che la lotta finisca per essere il limite della lotta stessa.

Nodi da sciogliere

La resistenza operaia della Titan, così come di qualsiasi altro settore e sito produttivo e lavorativo, pur confrontandosi con i problemi immediati della specifica situazione fa i conti con il contesto complessivo che grava su di essa, come un macigno. Come dicevamo non solo pesa un rapporto di forza estremamente sfavorevole al proletariato che si è dato nel corso del tempo, ma nel momento attuale come dicevamo i padroni hanno fiutato l'aria e si preparano a"non fare prigionieri". La sostanziale risposta negativa alla pressione operaia da parte del management Titan rispecchia sostanzialmente il senso di questo passaggio: non vi è nulla su cui trattare, le nostre logiche dettano la vostra condizione !! Come si vede in ballo non solo vi è la condizione materiale lavorativa ma prima ancora viene messa in discussione la stessa possibilità-capacità di organizzarsi e di far pesare i propri interessi di fronte agli interessi del fronte padronale. Oggi la mediazione fra" le parti sociali" non scompare ma diviene ne più e nè meno che l'ambito formale di ricomposizione dei conflitti e dei problemi intorno sostanzialmente all' accettazione di quanto il padronato pone sul piatto. Sicuramente alla Titan siamo in passaggio intermedio che condensa in sè tutti i problemi di prospettiva e le domande sul da farsi. La situazione di apparente equilibrio fra l'offensiva padronale e la risposta operaia non è destinata a durare. Organizzarsi contro l'attacco è stato il primo passaggio rispetto cui si è condensata la forza dei lavoratori. Il collante organizzativo immediato è stato lo stringersi intorno ai propri rappresentanti della RSU, con il ruolo della FIOM nella gestione della lotta stessa. Ciò ha indirizzato l'azione operaia, pur efficacemente articolatesi sul piano concreto, a canalizzarla dentro una azione di pressione verso quegli stessi ambiti, organismi e spazi istituzionali che hanno sempre di fatto negato, e negano tutt'ora qualsiasi peso reale alle ragioni della lotta operaia , riducendo i problemi alla minimizzazione dei costi sociali, ma non scalfendo di fatto nessuno degli interessi padronali. Su questo terreno significa portare l'iniziativa operaia, nonostante l'intelligenza tattica dimostrata e la generosità spesa, all'interno di un "cul de sac", vittima della forza altrui e delle proprie debolezze. Perchè se l'azione operaia rimane legata al terreno imposto dai padroni, al piano di mera pressione , anche "dura", non può che alla lunga retrocedere. Lo stesso recupero di forme di lotta da sempre patrimonio del movimento operaio, che pure gli operai hanno saputo riprendere rompendo l'aria stagnate che opprimeva la situazione di fabbrica, alla lunga risulterebbero armi spuntate se non avessero la capacità di costruire quei passaggi che ne permettano la possibile espressione anche al dilà della lotta contingente. Ovvero la lotta operaia, così come il proletariato intero, saprà fare un salto in avanti solo se saprà affrontare i possenti ostacoli che gli si pongono innanzi e di cui la propria condizione specifica ne è solo una rappresentazione parziale. Un problema questo che si pone "nella" lotta ma anche "al di là" della lotta dei suoi esiti immediati. E ciò perchè nella lotta operaia, o meglio in ogni lotta si pone sempre la questione di un bivio che la natura della stessa offensiva della classe avversa pone di fronte : o attestarsi su un terreno di difesa estrema delle proprie condizioni immediate, o prendere atto che la propria situazione si lega indissolubilmente a quella della propria classe, ai suoi interessi generali nel rapporto conflittuale con la classe avversa. Quindi a nostro avviso, organizzarsi oggi anche solo sul terreno della difesa immediata significa organizzare una resistenza che non solo serva a rallentare il processo di spoliazione della forza-lavoro ma che sia anche il veicolo per ricominciare a dibattere, oltre il terreno immediato, dei problemi politici e organizzativi e di ricostruzione di una identità di classe e delle sue prospettive intese come interesse generale ed autonomo da quello borghese. Il superamento delle contraddizioni di un terreno immediato di lotta, imposto dalla iniziativa padronale, non solo deve essere affrontato nell'opposizione più conseguente alla politica dei sacrifici e del macello che questa presuppone, ma deve gioco forza relazionarsi e misurarsi con la questione centrale e generale di un processo di accumulazione di forza e organizzazione conseguente che sappia incidere sul piano dei rapporti di forza, dato fondamentale che oggi molto coscientemente padronato e borghesia fanno pesare in ogni interstizio nei rapporti con il proletariato. Il processo pratico di lotta , il problema immediato di come reggere lo scontro in fabbrica legandosi al più generale interesse di classe si deve porre come tassello di costruzione di una prospettiva rivoluzionaria di classe, superando anche i limiti che una dimensione di lotta per quanto legittima porta con sè. Poichè è solo inquesta dimensione generale dei problemi che la "questione operaia" si fa "questione di classe" .

A questo proposito, così scrivevamo recentemente in un volantino per gli operai portuali della Canados di Roma:

In un modo o nell'altro, questa lotta è destinata ad esaurirsi, si potrà vincere, difficile, si potrà perdere, più probabile, ma se la lotta non avrà sedimentato un minimo di coscienza di classe, ovvero la coscienza dell'inconciliabilità dei nostri interessi con quelli dei padroni, e la conseguente necessità di organizzarsi per sbarazzarci di questa società se. In sostanza, se non avrà rafforzato il rapporto tra la classe e il suo strumento politico, il partito rivoluzionario, che di tale prospettiva si fa portatore, la lotta non sarà servita a nient'altro che ad alimentare lo svilimento e la rassegnazione tra le nostre fila. Avremo perso una buona occasione per crescere e rafforzarci.

Se la situazione particolare della Canados si colloca all'interno di un contesto più generale di crisi, non possiamo fare a meno di tenere conto di tale aspetto. Tenerne conto significa avere una visione più complessiva degli eventi e, di conseguenza, riuscire a stabilire una linea di azione strategica che sappia inserire i vari momenti di lotta particolari in un contesto più generale. Ma perché ciò sia possibile, i lavoratori hanno bisogno di un tramite non tra i loro i interessi e quelli del nemico di classe, ruolo svolto dal sindacato, ma tra i nostri interessi immediati e particolari e i nostri interessi storici come classe: questo è il compito dell'avanguardia politico-organizzata del proletariato, il Partito Rivoluzionario. Questo organismo permanente e politico, è composto dagli elementi più consapevoli e combattivi del proletariato, è l'unico ad avere una visione storica dei rapporti tra le classi, della loro evoluzione, del loro stato attuale, è perciò l'unico strumento di cui la classe possa dotarsi per superare le sue divisioni ed i suoi limiti, politici ed organizzativi. Il Partito, essendo il portatore del bagaglio politico e organizzativo della classe e delle sue finalità storiche (la soppressione del lavoro salariato e il superamento della società divisa in classi), è l'unico che possa dare una direzione unitaria e generale alle varie lotte particolari, è l'unico che sappia darle una prospettiva politica internazionale ed internazionalista, convogliando ogni singola vertenza all'interno del piano più generale di opposizione al capitale, oggi, e di rivoluzione sociale, domani.

Qualsiasi lotta, anche la più dura, può terminare solo in due modi: o rafforzando il domino del capitale o rafforzando il movimento reale che di questo domino si vuole sbarazzare. Rafforzare questo movimento significa dare fiato e gambe al Partito della rivoluzione. Significa costruire e rafforzare i legami tra l'avanguardia del proletariato e il resto della classe. Per fare questo è indispensabile, là dove possibile, costruire Gruppi Comunisti Internazionalisti di Fabbrica e di Territorio. I GIFT non sono altro che il tramite di cui si dota Partito, per veicolare la prospettiva del rivolgimento sociale tra le varie ramificazioni lavorative e territoriali della classe; non organismi sindacali, dunque, ma politici.

EJ
Mercoledì, November 5, 2014