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Home ›Europa in affanno - Un capitale senza futuro
I dati che ufficialmente trapelano disegnano un quadro a tinte fosche non solo della situazione europea e mondiale ma anche dello stato confusionale di quanti circondano preoccupati il capezzale dell’ammalato cronico, il capitalismo.
I sovraccarichi di debito, pubblico e privato, tendono a diffondersi globalmente. Da fonte BusinessWeek, questa sarebbe la situazione di indebitamento generale rispetto al Pil: Giappone 492%, Francia 341%, Spagna 366%, Italia 313%, Usa 289%,Germania 284%, Canada 274%, Sud Corea 366%. In Italia, Standard&Poors hanno declassato anche 7 Banche e 11 Enti (Comuni, Provincie e Regioni) in cattive acque e con “scarsa affidabilità creditizia”.
I vari comitati d’affari nazionali – costretti a sostenere nel pubblico e nel privato la necessaria, seppur minima, “ossigenazione” del capitale – si impegnano nella riduzione diretta o indiretta dei salari; spingendo poi in strada gli “esuberi” che intralciano ,– paradossalmente – gli effetti della strategia capitalista, ovvero il dispiegarsi del circolo vizioso che va dal calo dell’occupazione a quello, conseguente, della domanda di merci. Il capitale arranca nel tentativo di soddisfare le sue “aspettative di profitto”; e si affanna (che altro potrebbe fare?) per migliorare la competitività sul mercati. Lo scriveva un certo Marx: «La libera concorrenza fa valere le leggi immanenti della produzione capitalistica come legge coercitiva esterna nei _confronti del capitalista singolo_».
Rientra in questa “strategia economica” – comune a destra e “sinistra” – la riduzione in quantità e qualità dei cosiddetti “servizi pubblici”; un “pensatore” come Forges Davanzati, su MicoMega, lamenta che così si riduce il “potenziale produttivo dei lavoratori”: capitalisti, trattate bene la forza-lavoro, per poterla “spremere” al meglio! E ancora Marx lo diceva nel Capitale: aprite gli occhi, poiché il capitale se ne infischia delle sofferenze dei lavoratori che lo circondano; «nel suo effettivo movimento non viene influenzato dalla prospettiva di un futuro imputridimento dell’umanità e di uno spopolamento incontenibile. Ciascuno sa che il temporale una volta o l’altra deve scoppiare, ma ciascuno spera che il fulmine cada sulla testa del suo prossimo non prima che egli abbia raccolto e portato al sicuro la pioggia d’oro».
Imperturbabili, mass media e apprendisti stregoni in vesti scientifiche continuano imperterriti a spacciare la loro visione economica e politica (anche se non più a colori ma in grigio polvere…): si esce dalla crisi (passeggera?) stimolando la competitività delle imprese con investimenti innovativi, con “tecniche superiori di produzione per creare lavoro buono”…“buono” nel senso di poter dare maggior profitto. Chiaramente, i lavoratori devono fare la loro parte obbligata di sacrifici!
Intanto, al gabinetto medico della Bce si spolverano ricettari degni del più forcaiolo capitalismo ottocentesco (non che quello moderno sia migliore!), mentre persino il Pil della locomotiva tedesca ansima con investimenti ed esportazioni in calo. Nonostante anche la Germania segua la recente direttiva europea per calcolare nel Pil anche i rilevamenti “illegali” sul mercato della prostituzione, droghe e lavoro nero. E i rendimenti dei Bund decennali tedeschi sono in discesa (sotto l’1%); lo stesso per la Francia, di poco sopra l’1%, costretta a un taglio di 50 miliardi di spesa pubblica nel periodo 2015/’17. Le stime di crescita sono per tutti in calo, mentre la deflazione diventa ”pericolosa” perché segno di stagnazione contrariamente a quel che si sperava, ovvero “favorire la competitività” sui mercati! Una concorrenza internazionale che si fa così feroce – sotto i colpi della crisi globale – che il capitale cinese si vede costretto a ricorrere a quegli aumenti di produttività che solo l’introduzione di avanzate tecnologie di automazione consentirebbero. Il plusvalore relativo (quello assoluto ha pur dei limiti…) diventa una necessità, che però diminuisce a decine di milioni di unità la manodopera fin qui impiegata nelle industrie manifatturiere sottoponendola al massimo sfruttamento fisico.
I processi produttivi sono automatizzati ovunque; si “globalizzano” e avanzano i robot e le catene produttive a controllo digitale. Nei settori industriali e nei servizi.
I governi europei ammettono a denti stretti che il ciclo economico è decisamente negativo; una “stagnazione” (e deflazione) che può durare anni. Il problema non è più l’offerta bensì la domanda di merci: una crisi, a questo punto “più lunga e profonda di quella del 1929”. Gli strumenti per superarla appaiono in partenza ferri vecchi e arrugginiti, mentre il capitale si dispera di fronte al declino dei prezzi delle merci e del corso delle azioni.
In Italia, col Pil che si mantiene attorno allo zero, la nostrana classe dirigente si tinge di nazional-populismo in salsa rosa: si toglie giacca e cravatta e si inventa manovre correttive che durano lo spazio di una settimana. Si dissolvono i miraggi di “coerenti” politiche industriali; le riforme della Pubblica Amministrazione si riducono a continui tagli di dipendenti. Poi – ma possibile che queste “logiche” demenziali siano accettate con totale sottomissione? – si piange sulla scarsa domanda di mercato e s’invocano, ancora, “nuove politiche industriali, trasferimenti tecnologici, innovazioni organizzative e del lavoro, investimenti per l’economia digitale”, ecc. Così si “contrasterebbe” la crisi, nel più assoluto rispetto delle partite doppie, del dare-avere ragionieristico senza del quale il capitalismo muore. Ed è con siffatte turlupinature che si cerca di annebbiare ulteriormente una coscienza di classe che (seppure ancora latitante…) potrebbe vedere, anche inaspettatamente, la luce e ridare la carica al risveglio del proletariato.
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