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Il “Piano Marchionne” ed il “Jobs Act” mostrano l’asservimento del lavoro alla logica del profitto. Quale alternativa costruire?
Lo scorso 13 gennaio Sergio Marchionne ha annunciato la fine della Cigs per lo stabilimento Sata di Melfi, con il rientro di tutti gli operai, l’assunzione progressiva di altri 1.500 lavoratori ed un investimento di circa un miliardo di euro. Per adesso i neoassunti sono stati circa 300, tutti inseriti con contratti “interinali”. Nei prossimi mesi dovrebbero seguire altre assunzioni, sempre interinali o facendo ricorso al Jobs Act, quando il “contratto a tutele crescenti” entrerà a regime. A questi operai si aggiungeranno inoltre i 350 lavoratori trasferiti dagli stabilimenti di Cassino e Pomigliano, serviranno tutti a colmare le momentanee esigenze produttive legate alla realizzazione della Jeep Renegade e della Fiat 500X.
L’annuncio, messo in risalto da tutti i telegiornali, si è trasformato in una sorta di spot pubblicitario, e non solo per la FIAT. Marchionne infatti ha subito messo in evidenza la sintonia tra il proprio Piano industriale ed il Jobs Act. Pubblicità spicciola per Fiat e governo, fumo negli occhi per la classe degli sfruttati. Il messaggio che l’ideologia dominante ha cercato di trasmettere attraverso il megafono televisivo è stato il seguente: vero, il Piano Marchionne ha comportato sacrifici per gli operai ma alla fine i risultati si vedono e la Fiat torna anche ad assumere. Ed ancora: magari anche il Jobs Act comporterà ulteriori sacrifici ma… ne varrà la pena, tra un po’ l’economia ripartirà e i miglioramenti ci saranno, anche per voi lavoratori.
Ma… spot e profitti padronali a parte, quali sono stati i reali risultati ottenuti dal Piano Marchionne? Sono passati quasi cinque anni da quando la Fiat (oggi “Fca”) iniziò da Pomigliano l’ennesima riorganizzazione della produzione. «Le condizioni minime per poter essere competitivi in Europa sono il massimo utilizzo degli impianti e la flessibilità, indispensabile per rispondere tempestivamente alle esigenze del mercato (ovvero del profitto ndr). Il tutto accompagnato da un rigoroso contenimento dei costi di struttura e del lavoro» (Marchionne, aprile 2010). Per gli operai “flessibilità” e “contenimento dei costi” ha significato in questi anni: passaggio dai 15 ai 18 turni, sabato lavorativo obbligatorio, aumento delle ore di straordinario obbligatorie, riduzione delle pause, taglio dei tempi morti, incremento dei ritmi produttivi. Ed ancora: negli ultimi cinque anni sono stati tagliati circa 5.300 posti di lavoro (fonti: Ansa e CGIL), in tutti gli impianti si alternano produzione e periodi di cassa integrazione; è stato persino chiuso lo stabilimento di Termini Imerese.
Sono tanti, ancora oggi, i lavoratori sottoccupati, ovvero periodicamente esclusi dal ciclo produttivo, grazie al ricorso alla Cigs; l’azienda ha da poco annunciato un’altra settimana di stop della produzione per lo stabilimento di Pomigliano. Ma gli stessi operai coinvolti con maggiore frequenza nella ciclo produttivo certamente non se la passano tanto bene, visto il clima intimidatorio e i ritmi infernali ai quali vengono sottoposti. Restando a Melfi, per esempio, grazie ad un recente accordo tra azienda e i sindacati firmatari, è stata persino sospesa la pausa mensa.
Nel documento “Caso Toyota e Qualità Totale” redatto nel 1989 dalla Fiat si leggeva: “L’asservimento del fattore lavoro alle necessità critiche del sistema azienda Fiat è inevitabile”. La cosa potrebbe sorprendere ma in questo caso siamo costretti, in un certo senso, a dare ragione alla FIAT; inoltre il discorso andrebbe esteso anche alle altre aziende ed agli altri lavoratori. Aggiungiamo però che tutto ciò può risultare drammaticamente vero fino a quando resterà nel mondo in piedi un sistema economico e sociale come quello attuale. Tornando alle nuove assunzioni, Marchionne ha esplicitamente dichiarato:
Stiamo assumendo perché ne abbiamo bisogno.
ANSA
Sarà così possibile saturare totalmente le potenzialità produttive dell'impianto […] Una volta stabilizzati i volumi produttivi in ragione dell'andamento della domanda e dei risultati negli oltre 100 mercati dove le vetture saranno vendute, alle persone inizialmente inserite con contratto interinale potrà essere proposto il nuovo contratto a tutele crescenti.
In questi passaggi viene chiaramente fuori il carattere che assume il lavoro nel capitalismo. I lavoratori sono stati assunti perché i padroni Fiat ne hanno in quel momento “bisogno”, ovvero gli operai risultano utili in questo periodo perché garantiscono ai padroni le fette di profitto a loro necessarie. Non solo, i padroni ne hanno “bisogno” oggi – ovvero in una fase di crisi economica strutturale - proprio alle condizioni definite dal Piano Marchionne e dal Jobs Act, perché è a queste condizioni che vengono attualmente garantiti ai padroni margini di profitto adeguati, ovvero tali da poter rendere “competitive” le auto sul mercato e a remunerare adeguatamente il capitale investito. Le condizioni di questi neoassunti, e quindi le loro vite, sono drammaticamente legate a tale logica, così come è inoltre già successo e continua a succedere per i “vecchi” operai Fiat. Se il mercato non tira, cessato il “bisogno”, possono tutti ritornare a casa o in cassa integrazione, o al limite accettare ritmi ancora più infernali e paghe ancora più misere, questo è il ricatto del capitale.
Risulta chiaro che il “bisogno” del quale parla Marchionne (quello dei padroni) è completamente differente dal bisogno dei “suoi” operai (dei lavoratori). In una società come quella attuale non può esistere infatti il bisogno che accomuna tutti, proprio perché i mezzi di produzione vengono gestiti in modo privato dalla classe padronale e la produzione risulta subordinata alla necessità di remunerazione del capitale. Per far assumerne al lavoro un finalità completamente sociale bisogna spezzare definitivamente il legame tra produzione e profitto.
Questo è il punto centrale. Non basta, e non costituisce una soluzione, chiedere allo stato di “nazionalizzare” le aziende come viene proposto da alcune organizzazioni della sinistra radicale. Le istituzioni attuali vanno superate e la società va rivoluzionata dalle fondamenta. La produzione e la distribuzione di beni e servizi deve avere come unico scopo il soddisfacimento dei bisogni degli individui. Il lavoro necessario per produrre i beni e i servizi utili al soddisfacimento dei bisogni umani deve essere suddiviso tra tutti, escludendo ovviamente bimbi, anziani e disabili. Solo così il lavoro non sarà più semplicemente un elemosina concessa dai padroni ma una vera necessità sociale, ed un dovere di tutti verso se stessi e verso gli altri.
L’umanità tutta ha bisogno di questo cambiamento ma un processo così radicale e complesso potrà avvenire solo se la classe che oggi viene sfruttata, il proletariato, riuscirà ad assumere il potere politico e decisionale nelle proprie mani, superando le istituzioni borghesi ed escludendo dai propri organismi di potere gli industriali, i banchieri, i padroni ed i loro servi politici. Solo così la classe lavoratrice potrà sottrarre ai padroni i mezzi di produzione, porli sotto il proprio controllo e metterli a disposizione di una produzione finalizzata semplicemente al soddisfacimento dei bisogni di tutti.
NZBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #02
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