Cronaca di una giornata di mobilitazione contro il Ddl scuola ed alcune riflessioni

Dopo essere passato il 25 giugno al Senato, il maxi-emendamento di riforma della scuola targato Renzi/confindustria/BCE è approdato il 7 luglio alla Camera.

Nella piazza antistante il Parlamento, fin dalle 17, erano presenti forse 5.000 lavoratori scuola che la riempivano completamente. Oltre la metà provenivano dal nord e sud Italia dimostrando una significativa determinazione a continuare la lotta oltre i 36 gradi del luglio capitolino e nonostante la sonora sconfitta – delusione per molti - ricevuta due settimane prima al Senato.

Piazza gremita tanto di persone quanto di bandiere sindacali, presenti praticamente tutte le sigle in un movimento che è riuscito, attraverso la mobilitazione unitaria dal basso, a costringere i vertici sindacali a confrontarsi tra loro e a stabilire date e modalità di mobilitazione unitarie e in condivisione con la piazza.

Verso le 18 ha preso la parola Fassina – ex PD, uscito proprio in seguito alla fiducia posta al Ddl scuola al Senato – che è stato aspramente contestato dalla piazza; quando invece la parola è passata a Di Battista – Cinquestelle – oltre la metà dei presenti ha accolto il suo intervento incendiario con applausi ed ovazioni.

Ma una certa dose di insoddisfazione si respirava nell'aria, specie da parte di chi era venuto da fuori città, in molti premevano per un corteo verso il quirinale per... implorare Mattarella di non firmare la legge.

La proposta del corteo è stata prospettata alla piazza che, quasi all'unanimità, per alzata di mano, ha deciso di passare dal presidio con gli interventi – spesso ripetitivi, lunghi e poco incisivi – che si succedevano gli uni agli altri, al corteo.

Intense sono state le trattative con le ingenti forze dell'ordine dispiegate con almeno 6-9 camionette stracolme di agenti in tenuta anti-sommossa e quasi un centinaio in borghese tra agenti e Digos, con decine di telecamere pronte a riprendere ogni fase del corteo.

Durante il percorso l'unico spezzone che ha rilanciato contenuti più classisti attraverso slogan ed interventi è stato quello costituito dal “coordinamento 3 ottobre” di Milano e dal gruppo “contro la scuola dei padroni” di Roma. Il resto del corteo si caratterizzava per i soliti slogan democraticistici e un po' corporativi.

Arrivati all'altezza di Piazza del Gesù, dopo numerose trattative, il corteo si è trovato improvvisamente bloccato avanti e dietro dallo schieramento di PS che comunicava che non si poteva andare più avanti e che era ora di sciogliersi.

A quel punto i lavoratori, ormai dimezzati, hanno prima tentato di proseguire verso il quirinale per poi cercare di dare vita ad un confronto di piazza sul che fare il giorno stesso e nei giorni a venire.

È stato a quel punto che i lavoratori si sono resi conto che i pochi sindacalisti presenti avevano chiuso il microfono dell'amplificazione impedendo di fatto ai lavoratori di confrontarsi, se non attraverso i megafoni, comunque non potenti abbastanza per quel contesto.

Solo dopo quasi mezz'ora di insistenze e denunce i sindacalisti hanno rimesso a disposizione il microfono ma, tempo qualche intervento, è arrivata la Digos ad intimare di abbandonare la strada.

Ormai eravamo poche centinaia. Con l'arroganza che da un po' di mesi a questa parte caratterizza l'atteggiamento della PS nei confronti dei manifestanti-scuola, a Roma, hanno iniziato a far pressione e provocazioni, a chiedere i documenti, uno ha addirittura iniziato a fare il saluto romano per provocare i manifestanti. A quel punto, visto il numero schiacciante che vedeva quasi un rapporto 1:1 Digos/manifestanti, abbiamo “deciso” di scioglierci.

Brevi riflessioni

Caratteristica di questo movimento fin da principio (quasi un anno fa) è stato il microfono aperto.

Il microfono aperto prefigura forme assembleari di massa che possono, a volte, diventare decisionali, come quando la piazza ha votato per andare in corteo.

Sebbene oggi gli interventi siano in maggioranza schiacciante allineati ad una visione democraticistica e corporativa, alcune volte iniziano ad emergere accenni più classisti, di critica ai sindacati, ai politicanti, allo Stato, per la solidarietà e l'unità nella lotta tra i lavoratori.

Le assemblee di massa saranno le forme attraverso le quali i lavoratori organizzeranno e coordineranno le loro lotte quando queste diverranno maggiormente radicali. Le assemblee di massa sono la forma di mobilitazione che risulta ogniqualvolta i sindacati vengono superati in cagione della loro prassi legalitaria e concertativa, per questo ogni esperienza, avanzamento, crescita in tal senso deve essere salutata positivamente e favorita.

La piazza, i cortei, la lotta, sono dei lavoratori: sono dei lavoratori i palchi, i microfoni, i camioncini, indipendentemente dal fatto che a metterli a disposizione sia un sindacato o meno. Quando i lavoratori sono sufficientemente forti e coscienti del proprio potenziale arrivano ad appropriarsi di quanto è loro, quando questa condizione non si verifica è il sindacato che cerca di autolegittimarsi proponendo sé stesso, e non i lavoratori, come protagonista della lotta, il palco sarebbe del sindacato perché lo ha prenotato, il microfono perché lo ha comprato... giochini vomitevoli indicativi della miseria a cui è giunto il sindacato nella fase attuale.

Gli stessi sindacalisti hanno provato ad impedire che Fassina fosse contestato, ma è la piazza, sono i lavoratori, ad essere sovrani, liberi di contestare o meno chi vogliono, d'altra parte la legittima contestazione a Fassina – come a Mineo sotto il Senato – è indice solo di una embrionale presa di coscienza della funzione tutta interna alle logiche borghesi che sono chiamati a svolgere i parlamentari, tanto al governo quanto all'opposizione. Di Battista è stato infatti ancora osannato dalla piazza in quanto, dall'inizio, ha sparato parole di fuoco contro il Ddl, glissando però sul fatto che i cinquestelle hanno nel loro programma l'abolizione del valore legale del titolo di studio, oltre che sul fatto che è semplice cercare di cavalcare la rabbia altrui quando si è votati all'eterna opposizione mentre dove si è saliti al governo – locale – il risultato non è stato dissimile dalle precedenti gestioni dei partiti borghesi di destra o sinistra.

Il movimento continua ad essere fondamentalmente corporativo, ma non sono mancati accenni volti a collegare le lotte dei lavoratori scuola con quelle di altri settori.

Importante è in questo caso sottolineare come il movimento della scuola, che a settembre riprenderà in ogni singolo istituto per cercare di impedire l'applicazione pratica della riforma, se riuscisse a mantenere una buona continuità e a scrollarsi di dosso almeno parte del suo corporativismo, potrebbe rappresentare un punto di partenza per la ripresa delle lotte dei lavoratori in un contesto che è ormai di lotta di classe aperta, sebbene condotta principalmente in maniera unidirezionale: dal governo dei padroni contro di noi lavoratrici e lavoratori.

Difendere la scuola pubblica, la sanità, le pensioni, – forme del salario indiretto e differito, quindi già pagate dal lavoro dipendente - il posto di lavoro, il contratto – diventato, oggi, modesto argine all'attacco verso il lavoro salariato -, infatti, è il primo passo di una resistenza reale contro le politiche di attacco del capitale in crisi, è all'interno di queste lotte di resistenza che diviene possibile formare prima, e radicare poi, nel tessuto stesso della classe un'avanguardia politica capace di essere punto di orientamento. Capace di ricollocare il conflitto su di un piano diverso e superiore, ovvero di opposizione aperta al sistema del profitto, denunciando lo stato di cose presenti per avanzare il programma del passaggio dell'intera amministrazione generale nelle esclusive mani dei lavoratori organizzati in assemblee di massa.

Porre questo piano del discorso, radicalizzare le lotte o anche solo essere un minimo più determinati nel compito minimo di oggi (resistere) significa però – ne abbiamo fatta abbondante esperienza nel movimento scuola degli ultimi mesi - entrare in contrasto diretto con lo Stato ed i suoi servi. Da queste esperienze può quindi nascere la coscienza che questo Stato non è lo Stato di tutti noi, ma quello della classe dominante.

Insomma, limiti e potenzialità, ma i primi possono essere superati, le seconde sviluppate, solo a patto che si crei una solida avanguardia internazionalista presente ed operante, come stiamo cercando di fare attraverso l'intervento ovunque siamo presenti, nelle esperienze di lotta concreta che la classe esprime.

Lavoratori internazionalisti scuola
Mercoledì, July 8, 2015