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Home ›Gli operai USA dicono no a Marchionne
Un soffio d'aria buona - Gli operai statunitensi della FCA hanno detto NO a Marchionne (e al sindacato)
Ogni tanto, qualche spiraglio di luce, che fa particolarmente piacere, specie in quest'epoca così avara di soddisfazioni.
Ci riferiamo alle votazioni in Fca (Fiat Chrysler Automobile), con le quali gli operai americani hanno bocciato l'ipotesi di accordo, uscita attorno alla metà di settembre, tra il sindacato dell'auto (UAW) e Sergio Marchionne, profeta delle “nuove” relazioni industriali sulle due sponde dell'Atlantico. Il 65% degli operai, ma in alcuni stabilimenti la percentuale ha superato l'80% (A. Sciotto, il manifesto, 2 ottobre '15), ha detto NO a un rinnovo contrattuale che apparentemente presentava miglioramenti retributivi allettanti, ma quel segmento della classe operaia statunitense ha fiutato l'esca avvelenata preparata da padrone e sindacato, lasciandola da parte. Non era per niente scontato che si arrivasse a rifiutare il piatto di lenticchie offerto dalla “controparte”, soprattutto in un'epoca in cui salari/stipendi, come constata chiunque appartenga alla nostra classe, hanno il fiato corto – quando non sono spompati del tutto – nella corsa per arrivare al traguardo di fine mese.
Quali erano i contenuti su cui gli operai sono stati chiamati a pronunciarsi? Facciamo qualche passo indietro, per inquadrare meglio la scena.
È noto che nel 2009 la chrysler si salvò dal tracollo grazie ai prestiti statali e ai fondi pensione, gestiti dal sindacato, trasfusi nell'azienda. Con l'arrivo della Fiat (e successiva fusione), i lavoratori vennero divisi in due categorie: i veterans, quelli presenti prima dello scoppio della crisi, che conservavano il livello salariale in vigore, e i neoassunti, i quali avrebbero percepito una paga inferiore del 40% circa. Tutti insieme, poi, “vecchi” e “nuovi”, avrebbero dovuto rinunciare a benefits vari; inoltre, cosa tutt'altro che secondaria, si sarebbero dovuti astenere da qualsiasi forma di conflitto, cioè di sciopero, fino al 2015 (se la memoria non c'inganna). I sacrifici, per gli operai, non erano cosa da poco, i benefici, per il capitale, anche, tant'è vero che i profitti della Chrysler (e del settore automobilistico in genere, dove vigono contratti simili) hanno avuto – inevitabilmente, verrebbe da dire – una spinta verso l'alto, anche se c'è quanto meno da dubitare che la ripresa conseguente del comparto dell'auto sia strutturale, cioè profonda e duratura (1). La svalorizzazione della forza lavoro e la pace sociale in fabbrica – fondamentale per assicurare un'estorsione di plusvalore senza inciampi – sono elementi essenziali per rianimare saggi di profitto bassi, specialmente in un ramo produttivo in cui l'altissima composizione organica del capitale rende più difficile ottenere aumenti significativi di produttività (sempre di plusvalore si parla) anche a fronte di investimenti molto consistenti. Non per niente, in Fca il 44% della forza lavoro appartiene alla categoria delle “new entry”, contro il 20% circa alla Ford e alla GM (General Motors) (2). Non è un caso, allora, che la Ford e la GM guardassero e guardino alle “relazioni industriali” in Fca come a un punto di riferimento per pilotare verso il basso il costo della propria forza lavoro (A. Sciotto, cit.), al fine di contrastare la concorrenza della più piccola delle “tre big” automobilistiche. Infatti, questa, benché dichiari un profitto inferiore rispetto alle “sorelle” più grandi, si muove con grande aggressività nel mercato americano, grazie anche e non da ultimo a una manodopera meno costosa.
Questo è il quadro in cui il “Sergio” internazionale e la UAW hanno raggiunto un accordo, senza però tenere conto dell'oste operaio. Esso (l'accordo, non l'oste) prevedeva un graduale aumento della paga oraria dei neoassunti, dagli attuali 15 ai 22 dollari orari nel 2017, mentre quella dei veterans sarebbe passata, nello stesso arco di tempo, dai 28,5 ai 30 dollari. In pratica, si sarebbe ridotta la differenza tra le due tipologie salariali, ma non sarebbe scomparsa; insomma, la riduzione della distanza sarebbe stata finanziata dall'aumento irrisorio, se non, nei fatti, dall'immobilità (o peggio: dipende dall'inflazione reale) del salario degli “anziani”. In piccolo, si sarebbe confermato quello che sta avvenendo su scala mondiale: nei paesi “emergenti” i salari (dopo lotte accanite) salgono un po', ristagnano o, anzi, arretrano nei paesi “avanzati”, ma in una tendenza complessiva al ribasso, sia in termini assoluti che relativi (rispetto, per esempio, al reddito nazionale). Ma non è finita qui. Era stata escogitata una specie di cottimo collettivo col duplice scopo di aumentare il rendimento e di soffocare sul nascere propositi bellicosi di parte operaia o, almeno, di ostacolarne la nascita. Per ogni punto di margine operativo (semplificando: l'utile, la redditività) conseguito dall'azienda, i lavoratori avrebbero percepito, all'anno, 800 dollari (attualmente, il margine operativo di Fca è del 7,7%). Se il margine operativo avesse superato l'8%, ai neoassunti sarebbe andato un bonus di 1000 dollari e addirittura di 4000 dollari se il margine suddetto fosse salito oltre il 10%, uguagliando di fatto quello di Ford e GM (rispettivamente l'11,1% e il 10,5%). Tocco finale, il piatto di lenticchie sarebbe stato guarnito con una una tantum di 3000 dollari a testa se il SI avesse vinto. Non per niente, la quota di cottimo più consistente sarebbe andata alla forza lavoro dai salari più bassi e dalle energie meno intaccate (per la minore permanenza in fabbrica), la quale, nei piani di Marchionne, sarebbe stata la più interessata a sgobbare come un mulo per alzare l'asticella del margine operativo, assumendo di conseguenza (sempre secondo il supermanager) un atteggiamento ostile nei confronti di quei compagni di lavoro più insofferenti verso i probabili ritmi da otto volante in fabbrica e, dunque, predisposti a farsi mettere grilli per la testa da eventuali fomentatori di scioperi.. La cosa ha una logica, quella del capitale e dei suoi conniventi sindacali, ma, per il momento, è rimasta un'intenzione. A determinare questo risultato, ha contribuito anche il piano di delocalizzazione in Messico delle produzioni meno redditizie (le auto di gamma medio-bassa) e la riduzione di alcuni benefits per gli operai: evidentemente, fatti due conti, mettendo assieme tutto, i lavoratori non hanno trovato poi così interessante la manciata di dollari buttata sul tavolo dalla dirigenza aziendale e prontamente accettata dal sindacato. A proposito di quest'ultimo, è interessante un dato riportato dall'articolo sindacale da cui abbiamo tratto la maggior parte delle informazioni, secondo il quale «il costo orario di un dipendente Fca è ormai quasi al livello dei 48 dollari degli stabilimenti americani di Toyota e Honda, dove però il sindacato non è presente» (3). Verrebbe facile la battuta che con o senza il sindacato, per la classe lavoratrice cambia poco, ma è appunto una battuta, perché la faccenda è più complessa. E' ovvio che il sogno dei padroni sarebbe quello di poter governare direttamente, a piacimento, la forza lavoro, ma finché esiste il pericolo che questa si ribelli, anche a livelli minimi, alle condizioni poste dal rapporto di lavoro salariato, il capitale ha bisogno di un organismo che faccia da mediatore e controlli la forza lavoro stessa, mantenendo le sue inevitabili manifestazioni di protesta, sul piano economico-normativo, compatibili con quel rapporto. Oggi, per il bassissimo livello di conflittualità sociale espresso dal proletariato, per la docilità con cui quest'ultimo subisce gli attacchi della borghesia (4), si potrebbe pensare che il sindacato sia sempre meno utile al capitale, ma è solo un'impressione. La crisi, con il dilagare della disoccupazione, la precarietà, il lavoro formalmente autonomo hanno significativamente indebolito la classe nel suo complesso, ma il ruolo del sindacato, forse un po' appannato, rimane centrale per la cogestione della forza lavoro, soprattutto se, come speriamo, un domani essa uscisse da una “depressione” che dura da decenni.
Il NO degli operai americani della Fca certamente non è l'uragano della rivoluzione proletaria, ma un refolo d'aria sana sì e chissà, che refolo su refolo…
CB(1) Lo stesso si può dire dei timidi segnali di vita che l'economia “occidentale” sta dando in questi mesi; e lasciamo stare le economie degli “emergenti”.
(2) Questa e altre notizie sono tratte da un articolo di F. Durante, sindacalista CGIL, intitolato “Usa, tutte le promesse dell'accordo Fca-Uaw” consultato su rassegna.it il 24-09-'15.
(3) F. Durante, cit.
(4) Una docilità storicamente ottenuta nei periodi di aperta dittatura fascista: ah, la democrazia borghese...
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