Ingegneria finanziaria e trucchi monetaristi

La Fed alle prese con “scenari” di crisi e prospettive sempre più nere

Le manipolazioni e le falsificazioni sono all’ordine del giorno nel bel mondo del capitalismo e della società borghese. Mentre nel settore produttivo di merci si attende un intervento della divina provvidenza, nell’attesa ci si aggrappa ai tentativi di tenere in piedi almeno un mercato monetario da “ultima spiaggia”, dove si affollano imbonitori provenienti da fiere paesane ed un codazzo di aspiranti maghetti in macroeconomia. Tutti coinvolti nella gestione fantasmagorica di raggiri e frodi che stanno però mostrando la corda…, coinvolgendo nel collasso una folla di croupier e giocatori d’azzardo attorno ai tavoli verdi del globale casinò finanziario allestito su montagne di debiti e derivati.

Visti i fallimenti accumulatisi nei tentativi di dar fiato ad una “ripresa” economica che non avanza neppure a passo di lumaca, ecco gli “scienziati” del capitale alla ricerca di una “pianificazione”– in ambito finanziario – della crisi, riproponendo inefficaci oltre che scadute medicine. Si blatera attorno a nuove forme di carry trade (speculazioni sulle valute), asset collateralizzati (debiti garantiti da altri beni materiali o finanziari) e serie di algoritmi: il tutto non fa altro che terremotate il casinò dall’economia reale.

Estrapoliamo alcuni dati (poco evidenziati dai mass-media perché… “negativi”) fra quelli ostentati in quanto invece ritenuti “positivi”. Così troviamo il Giappone, il quale fino a poco tempo fa veniva indicato come esempio per un superamento della crisi, ripiombato in “recessione” dopo le manovre della Banca nazionale la quale ha acquistato un quadrilione di debito pubblico appena emesso, gonfiando l’ennesima bolla speculativa nella quale stanno affogando gli “investitori” del Sol Levante. Passiamo in Cina, dove il Governo ha appena pompato almeno 300 mld di dollari per acquistare azioni “sgradite” in un mercato dove – sempre secondo il Governo “social-capitalista” – tutto aveva ripreso (virtualmente) a funzionare al meglio. A completare il gioco di ombre cinesi a rischio default, vi sono poi le riserve valutarie cinesi in diminuzione per decine e decine di miliardi di dollari.

E dopo i crolli azionari dell’agosto 2015, ecco di nuovo quelli di inizio 2016 con i listini della Borsa cinese a -7% (Shanghai) e -8,5 (Shenzen): panico diffuso, sospensione delle quotazioni e un’altra svalutazione dello yuan (-0,51%) in confronto al dollaro. Provvedimenti di stampo amministrativo, con ripercussioni immediate nei mercati d’Occidente e nel complesso con centinaia di miliardi di capitalizzazione in fumo. Lo “Stato del popolo” (che gioca in Borsa…) acquista titoli con i “fondi pubblici” e Pechino fa la voce grossa contro i “ribassisti” che speculano disturbando le operazioni di soccorso alle aziende di Stato, "buco nero" dell'economia cinese e dove si annidano inefficienze, debiti enormi, corruzione.

Con le fughe di capitali (incentivati a spostarsi sul dollaro) si accentuano i pericoli di una “guerra delle valute”, annunciando un 2016 tempestoso. Lo yuan è stato riconosciuto come moneta globale del Fmi ed è così entrato nel libero mercato dei movimenti di capitale e delle conseguenti “crisi emorragiche” subite dalle finanze di alcuni Paesi, minacciate da un dollaro preoccupato di mantenere la propria egemonia. Per questo la Fed ha inondato di liquidità il mondo intero per uscire dalla crisi che incombe sugli Usa, stampando 4.000 mld di dollari per acquistare bond statali.

Dunque, nel quadro globale i nervi sono tesi e le turbolenze in aumento; la volatilità accentua i segnali di follia sui mercati finanziari dove la bolla dei junk-bond, i titoli spazzatura, si sta rigonfiando. A monte, l’economia reale non si riprende, la produzione è stagnante per mancanza di compratori di merci e di conseguenza i capitali fuggono dagli investimenti industriali che non assicurano un profitto che anxi, tendenzialmente, si accartoccia su se stesso. La quantità dei capitali inattivi aumenta in giro per il mondo alla ricerca – come surrogati - di “impieghi speculativi” e truffe finanziarie.

Tutte le Banche centrali maneggiamo – grazie al pompaggio dei vari QE statali – migliaia di mld di dollari in asset coinvolgenti istituti finanziari e grandi società. Intanto i prezzi al consumo di merci e materie prime non aumentano (brutto segno per il capitalismo!), al contrario dei prezzi delle azioni, con però improvvisi crolli nelle Borse mondiali (in caduta libera), mentre le famose obbligazioni spazzatura registrano guadagni sotto il 5% nel 2014. Il capitale-denaro “investito” là dove erano offerte promesse di facili profitti, si è presto bruciato.

I “rischi” aumentano e le “espansioni” svaniscono. Tant’è che qualcuno comincia persino a chiedersi: come aumentare i consumi (vendite di merci) se non aumentano i salari? Già, ma allora i costi di produzione salirebbero e quindi,con la feroce concorrenza internazionale, come la mettiamo? Quanto agli acquisti di beni di lusso da parte della ricca borghesia che se la spassa allegramente, essi non bastano a rilanciare la “crescita”. Si possono invitare di nuovo i lavoratori a indebitarsi, ma il gioco ha mo…

E’ in questo clima che si guarda alle mosse della Fed, motivate – si dice – da ottimistici dati macroeconomici. In realtà si tenta ora di drenare liquidità per evitare che la sua eccessiva diffusione (la stessa Fed ha iniettato 2.500 miliardi di dollari in 7 anni!), sommerga mezzo mondo in una palude di carta straccia, senza alcuna reale copertura. Un “modesto” aumento del costo del denaro (solo 0,25%, poiché “Vogliamo muoverci in modo prudente, in maniera graduale”…) dovrebbe (?) aiutare i tassi di interesse dei fondi di riserva delle Banche (fedederal funds). Sullo sfondo, però, si devono tenere sotto controllo importazioni ed esportazioni dopo le svalutazione di euro e yuan; lo stesso per il rientro eccessivo di capitali dall’estero. Insomma, i problemi si aggravano, in un quadro economico-finanziario che vede più del 40% del Pil mondiale (raddoppiatosi negli ultimi 20 anni) provenire da economie fino a ieri arretrate. Oggi, un loro “rallentamento” si rifletterebbe con gravi conseguenze sugli stessi Paesi “avanzati” (esportazioni-importazioni merceologiche e finanziarie). Solo negli Usa le attività di portafoglio e di “investimenti” si aggirano a 4500 mld di dollari diretti nei Paesi emergenti, e la Fed si trova con un conto da 10 trilioni di dollari per i debitori in valuta Usa!

Le istituzioni monetarie annaspano fra improvvisate e contrastanti decisioni politiche, del tutto inefficaci per invertire il corso della crisi. I modelli previsionali fanno cilecca da un giorno all’altro; l’inflazione che non aumenta è un chiodo fisso che si sta arrugginendo fra le meningi borghesi, poiché il dio capitale vorrebbe che i “consumi” di merci aumentassero dando una spinta al rialzo dei prezzi: a pagare – naturalmente – i soliti! Nei circuiti finanziari si respira a fatica, tentando di “spingere” in su i corsi azionari mentre in Usa prende vigore solo la ripresa dei “debiti gemelli” (deficit pubblico e di conto corrente della bilancia dei pagamenti).

E’ da mesi che la Fed saggiava le “opinioni” dei mercati finanziari per tentare di invertire la politica monetaria, basata su un tasso d’interesse pressoché “negativo”. Una politica che fece esplodere la crisi dei subprime nel settore immobiliare; quando poi nel 2004 (guerre in MedioOriente) la Fed rilanciò l’aumento del prime rate (interesse primario), esplosero i prestiti ipotecari, le insolvenze aumentarono, la “crescita” economica si trasformò ufficialmente in decrescita, i salari e l’occupazione diminuirono. Si tentò di mantenere il tasso di interesse fisso sopra il 5%, ma la crisi mordeva in vari settori industriali e il maging director della Goldman Sachs, O. Neil, nel 2006 dichiarava: “Per essere competitivi bisogna lavorare più a lungo e guadagnare di meno”. Il suo stipendio annuale ammontava a decine di milioni di dollari.

Ben diversa la realtà nella quale sono immersi i proletari americani: il potere d’acquisto dei lavoratori e del ceto medio è stagnante (per alcuni strati va diminuendo). Il rapporto tra occupazione e popolazione è sceso di altri cinque punti percentuali, ovvero di 12.5 milioni di “potenziali” lavoratori; in più, i posti di lavoro con un salario a tempo pieno per i capifamiglia, sono di circa due milioni in meno dall’inizio del 2000.

Torniamo alla gestione borghese degli affari del capitale negli ultimi anni. Con tentativi di accordi bilaterali e regionali sul commercio e cercando investimenti “favorevoli” (solo gli Usa possono mostrare i muscoli!), si è tentato di mantenere i tassi di interesse ai più bassi livelli nel tentativo di attutire i colpi della recessione dopo il crollo della Lehman Brothers. Addirittura si sarebbe trattato di misure per favorire la “crescita”! Se ora si tenta di rialzare i tassi, è per il pericolo – dopo le forti immissioni di liquidità – della formazione di nuove “bolle” speculative. C’è persino chi azzarda l’ipotesi che la Fed cerchi anche spazi per successive manovre (sempre monetarie) in caso di mancata ripresa; spazi per poter tornare eventualmente ad abbassare di nuovo il tasso!

C’è però anche il rischio, per gli Usa, di una minore competitività delle loro merci mentre si avranno rientri di capitali dall’estero e un apprezzamento eccessivo del dollaro nei confronti di altre valute. Di fatto, lo stato di salute dell’economia globale è tale che il cosiddetto lift-off-americano (decollo dei tassi a breve) non è certamente visto di buon occhio. Per i paesi emergenti, indebitati in dollari, un rincaro della valuta americana avrebbe conseguenze drammatiche e la Fed sta infatti analizzando una serie di variabili non solo internazionali ma anche nazionali: condizioni del mercato finanziario e di quello del lavoro, attese inflazionistiche e ipotetica crescita economica. Di certo, più i tassi aumentano e più salgono quelli sui mutui e sui prestiti, oltre ai costi di finanziamento del deficit americano. Le stime per il 2016 sono “ottimisticamente” basate su una crescita del 2,4%, con il timore però che l’inflazione arrivi soltanto all’1,6% e non come vorrebbe il capitalismo ad almeno il 2,5%.

E mentre gli scambi commerciali sono rallentati e non danno segnali di ripresa, si resta in attesa di quale liquido maleodorante uscirà dagli alambicchi che gli stregoni (in perenne fase di… apprendistato al servizio del capitale) surriscaldano con le vampate sprigionate dalle loro sofferenti fantasticherie. La fede nel “sistema” e nei suoi dogmi vacilla fra le nebbie di una metafisica finanziaria la quale moltiplica i problemi, aggravando la stabilità del sistema ed anzi avviandolo verso un caos vero e proprio. Il tutto vanamente sorretto da menzogne di ogni genere, manipolazioni e trucchi illusionistici. Come quelli, ancora una volta, a cui ricorre la Fed per giustificare i suoi maneggi monetari, inventandosi ottimistiche condizioni di ripresa economica (commercio e occupazione) negli Usa.

Ed è proprio il Financial Times a informarci di un aumento degli americani poveri negli ultimi sette anni: cinque volte più della classe media, con 23 milioni di americani che si trovano sotto la soglia di povertà (18.850 dollari per una famiglia di tre persone). Si aggiunga che col trucco di considerare occupato chi “lavora” anche solo per un’ora alla settimana, si ottiene e si sbandiera davanti alla “pubblica opinione” una diminuzione della disoccupazione.

Insomma, diventano spaventosi gli aumenti del debito internazionale nel solo settore non finanziario: quasi 10 trilioni di dollari a metà 2015, un terzo a carico delle economie “emergenti”. Senza calcolare quelli del settore corporate e di molte imprese cinesi, privatamente “socializzate”! A complicare economicamente e politicamente la situazione, vi è il calo dei prezzi delle materie prime (l’Arabia Saudita vende il petrolio a poco più di 30 dollari il barile!). Conseguenze drammatiche specie per i Paesi che estraggono e vendono il greggio, mentre per le economie sviluppate le logiche di mercato del capitalismo impongono che se la produzione di merci aumenta, paradossalmente il prezzo delle materie energetiche, come il petrolio, dovrebbe aumentare…. perché più richiesto!

Fra i Paesi che maggiormente dipendono dal petrolio mediorientale,vi sono Cina e Giappone. I litigi fra Iran e Arabia Saudita stanno uscendo dalle stanze dell’Opec per trasferirsi all’aperto e illuminare uno scenario ben più esplosivo. Oltre ai riflessi negativi gia avutisi su Russia e Venezuela col calo dei prezzi del greggio, si aggiungono ora quelli riguardanti il normale fabbisogno energetico delle borghesie asiatiche le quali inoltre non vedono certamente di buon occhio la Quinta Flotta americana quale unica garante – si fa per dire! – della non interruzione degli importanti rifornimenti di petrolio provenienti dal Golfo Persico e dal Mare Arabico.

In conclusione, e ritornando alle manovre della Fed, una cosa è certa: facendo risalire i tassi si corre il rischio di complicare la situazione e di coinvolgere nel caos monetario tutta la rete bancaria internazionale, specie chi detiene crediti con paesi emergenti. Oltre a chi ha dollarizzato (centinaia di miliardi) la propria economia, subendo variazioni del cambio e dei tassi sul dollaro dopo aver emesso bond in quella valuta (Turchia o Brasile) e con le corporation piene di debiti! Quella che gli scienziati del capitale spacciano per una “normalizzazione monetaria”, si dimostra come un’altra bomba ad orologeria in quella polveriera che sta diventando una non molto lontana resa dei conti. Sia per le potenze che direttamente gestiscono il capitale e sia per quelle, minori, che lo subiscono e comunque lo adorano…

DC
Lunedì, January 11, 2016