Sfruttando e reprimendo, il capitalismo uccide

Riflessioni di un compagno sulla drammatica vicenda di Giulio Regeni

Nonostante siano passati alcuni giorni dal ritrovamento del cadavere del giovane ricercatore Giulio Regeni, crediamo giusto esprimere il nostro punto di vista sulla tragedia di Giulio, ma lo faremo legandola ad un'altra, quella della morte di un marittimo russo poco più giovane di Giulio, che non ha avuto visibilità mediatica a causa della sua nazionalità, vista l'abitudine nazionalista dei medi di focalizzare l'attenzione non sulla tragedia in sé, ma sulla presenza o meno di italiani in esse.

Ci ritroviamo a scrive su queste tragedie non tanto per entrare nelle pieghe cronachistiche della stampa borghese, ma per evidenziare e chiarire lo stretto legame che vi è tra queste due morti: repressione e sfruttamento, entrambe ad opera del capitalismo.

Cominciamo da Giulio, ventottenne ricercatore italiano in Egitto presso la facoltà americana di economia. Era un ragazzo politicamente impegnato, tanto da occuparsi dei movimenti dei lavoratori egiziani e fare da corrisponde per il giornale che, senza polemica ma con estremo realismo, di comunista ha solo il nome, il manifesto. Era un ragazzo che, sebbene non possiamo dire dei nostri (non aveva come prospettiva politica il comunismo attuabile attraverso rivoluzione e dittatura proletaria), lottava in prima linea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari egiziani, contro un governo altamente reazionario. Era un socialdemocratico in buona fede, non c'è dubbio. Ma la realtà di oggi, fatta di crisi economica e politica, tanto più in paesi come quelli del Magreb ad alta instabilità politica, non concede più spazi neanche alla politica socialdemocratica e riformista, ovvero una politica tesa si a migliorare la vita operaia ma all'interno del quadro borghese capitalistico, senza metterne in discussione le fondamenta. Questo ha portato alla repressione violenta e sanguinaria (non solo assassinato ma per giunta torturato in mille modi prima di essere ucciso) di un ragazzo come Giulio, che ha pagato con la propria vita il desiderio di costruire un modo diverso. Ha pagato la fine di qualsiasi spazio di mediazione, la fine di qualsiasi spazio per il riformismo di incidere su un capitalismo che cadendo a rotoli ci conduce giorno dopo giorno sempre più verso il baratro della barbarie. Questo non significa reclamare più democrazia o rimpiangerla, anzi. Questo significa il suo contrario: la democrazia prepara il terreno per la barbarie, poiché sono le democrazie occidentali che hanno condotto il Magreb e altre larghe zone a questa situazione di guerra civile e instabilità sociale politica ed economica. La democrazia non è l'anticamera del socialismo, ma anzi l'anticamera della reazione più violenta e barbara come fascismo o integralismo religioso, di cui la democrazia si è servita e continuerà a servirsi.

Ma non perdiamo troppo tempo sul tema della democrazia, che merita ben altri spazi, a cui abbiamo dedicato altri articoli presenti su questo sito e sulle nostre pubblicazioni.

Giulio ha pagato sulla propria pelle la repressione di un sistema in crisi totale. Non è più possibile organizzarsi e fare politica critica o di opposizione, neanche all'interno delle compatibilità del sistema, questo l'eloquente messaggio politico di questa tragedia.

Il capitalismo è talmente in crisi da non concederci neanche la possibilità di criticarlo. La critica, sebbene interna alle dinamiche dell'ordinamento sociale e politico borghese, deve essere repressa con ogni mezzo, anche l'omicidio. Il capitalismo deve difendere la sua integrità politica con qualsiasi mezzo, a qualsiasi costo, anche sacrificando la vita umana.

Quanto fin qui detto ci collega al giovane russo, poco più giovane di Giulio. Un marittimo ventiquattrenne, imbarcato su un mercantile russo.

Il mercantile aveva scaricato olio di colza per un'azienda operante nella zona industriale di Vasto. Il giovane deceduto stava pulendo le cisterne della stiva con i suoi due colleghi. Improvvisamente l'acqua a contatto con il solvente avrebbe diffuso vapori intossicanti. Il giovane marittimo è andato subito in arresto cardiaco e per lui non c'è stato nulla da fare. Morto per carenza di dispositivi di sicurezza, su cui ovviamente è meglio risparmiare (tanto un operaio nuovo lo trovo senz'altro, ma i soldi che spendo per le attrezzature chi me li ridà?). Sui nostri media la notizia è passata in sordina visto che ormai siamo abituati a sentire di giovani ed anziani morire svolgendo il proprio lavoro, solo per poter portare a casa la pagnotta. Però questa, come quella di Giulio, non è una tragedie frutto di fatalità, ma è una tragedia preventivata, anzi messa a bilancio: il profitto sopra ogni cosa, persino la vita umana che per esso è assai sacrificabile; il profitto ed il sistema che lo incarna (il capitalismo) nel perseguire la massima valorizzazione non possono avere ostacoli. Gli ostacoli vanno eliminanti.

Ed ecco che ci ritroviamo a parlare della morte di chi aveva ancora una intera vita davanti. I ragazzi di cui parliamo sono stati assassinati dal capitalismo, chi lottando per un mondo diverso e chi sfruttato per sopravvivere. Ma entrambi sono morti sull'altare del profitto e per la sua difesa intransigente che non prevede umanità, ma che anzi la sta distruggendo.

JB
Domenica, February 28, 2016