Occupazione: c'era il trucco, c'era l'inganno

Dicembre bollente, marzo gelato.

No, non è un consuntivo meteorologico degli ultimi mesi, anche se nell'epoca degli sconvolgimenti climatici prodotti da un capitalismo sempre più distruttivo potrebbe sembrarlo. Ci riferiamo invece ai dati sull'occupazione usciti a metà marzo, certificanti quello che in tanti sapevano, cioè che l'aumento “inarrestabile” dell'occupazione da un anno in qua non era dovuto alle virtù magiche del circo renziano, il cui ottimismo avrebbe dato una spinta pressoché risolutiva al carro impantanato dell'economia italiana, ma a fattori ben più materiali. In ogni caso, la ripresa occupazione – in gran parte presunta – conferma quelle che sono le caratteristiche fondamentali del mercato del lavoro degli ultimi decenni, le quali, a loro volta, sono espressione dello stato di salute (precaria) del capitalismo mondiale.

Ma diamo un occhio alle “previsioni del tempo” fornite dall'Inps e dall'Istat, per avere qualche dato sulla “temperatura” occupazionale, per renderci conto della gelata alle soglie della primavera (non metaforica).

Ebbene, i dati dicono che a gennaio le assunzioni a tempo indeterminato calano del 23% rispetto all'anno precedente (120.000 unità lavorative) e del 18% (94.000) rispetto a gennaio 2014 (1); complessivamente, in quel mese sono state registrate più cessazioni del rapporto di lavoro che nuove attivazioni (assunzioni), disegnando dunque un saldo negativo. Non è finita qui:

Rallentano bruscamente anche le trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato (41.22 a gennaio) ­71% e ­5% nel confronto rispettivamente con dicembre e gennaio 2015 (2).

Si può notare che il calo rispetto all'ultimo mese dell'anno passato è praticamente un crollo, dato che allora le “attivazioni” di nuovi (?) posti di lavoro erano state 186.000. la spiegazione è, come si diceva, piuttosto semplice, cioè il temuto o previsto taglio netto degli incentivi alle assunzioni deciso dal governo, quantificabili in dodici miliardi di euro per tre anni. Infatti, dal 2016 “l'aiutino” alle imprese passa da 8.060 euro l'anno per ogni “nuova” assunzione, a 3.250, il che basta e avanza, crediamo, a spiegare il crollo di cui si sta parlando. Accanto a questa brusca frenata del lavoro che nella propaganda dovrebbe essere “buono”, continuano imperterrite – queste sì – la loro avanzata altre tipologie di occupazione, per così dire, che confermano appunto le tendenze di fondo della nostra epoca, tra cui l'invecchiamento della forza lavoro, oltre alla precarietà e all'insicurezza declinate in ogni possibile forma. Come si è detto altre volte, le riforme delle pensioni ­ con la ciliegina ultima, in ordine di tempo, della Fornero ­ hanno decretato la condanna ai lavori forzati a vita di milioni di lavoratori, costretti a rimanere sul posto di lavoro fino all'esaurimento delle energie psico­fisiche, una condanna che le, per ora ventilate, correzioni non rendono meno dura, visto che è prevedibile un taglio più o meno sostanzioso dell'importo pensionistico, qualora le modifiche prevedessero una “fine pena” anticipata.

L'altro elemento è il boom dei voucher, cresciuti, a gennaio 2016, del 36% su gennaio 2015,

ma già rappresentano un record i numeri del 2015: 115 milioni di buoni staccati nell'intero anno, a fronte dei 36 milioni del 2013 (3).

I voucher erano stati pensati – così si dice – per il lavoro stagionale in agricoltura, ma, com'era logico aspettarsi, vista la loro aderenza alle esigenze padronali di poter usufruire di manodopera just in time, usa e getta, Renzi and company li hanno generalizzati, così oggi imperversano in ogni settore e le “lacrime” di Poletti sul loro uso “a volte” improprio, offendono persino gli innocenti coccodrilli. L'esplosione dei voucher è accompagnata dalla marcia, altrettanto inarrestabile, del part-­time (per lo più imposto, naturalmente)

in aumento sia per il lavoro “permanente” sia per quello a termine, con tassi di crescita annuali rispettivamente del 2,8 e 5,4 per cento (4).

Volendo, si potrebbe notare inoltre che la grande maggioranza delle assunzioni (il 74%) prevede una qualifica da operaio e che buona parte di questi impieghi “aggiuntivi” a tempo indeterminato (il 30%) è concentrata nei servizi a bassa qualificazione e, va da sé, a basso salario.

Ma nemmeno per le qualifiche più alte, tecnic-o­scientifiche, le cose vanno granché meglio, poiché anche in queste categorie altamente qualificate imperversano la precarietà, il tempo determinato, una “progressione” di stipendio a passo di gambero o, quando va bene, pressoché nulla. Si tratta di aspetti che questa fascia del mercato del lavoro, in genere dotata di laurea, condivide con tanti altri settori (ma potremmo dire tutti o quasi) del lavoro salariato­-dipendente, solo che in quest'ultimo caso è quanto mai evidente la bolsa retorica del personale politico borghese e degli ideologi in genere della borghesia.

Infatti, possedere un titolo di studio ai livelli più elevati non mette affatto al riparo i giovani – come moltissimi di loro sanno – dalla sorte che questa fase storica del capitalismo riserva alla forza lavoro, se mai accresce il senso di frustrazione e - ­ si spera, prima o poi – la rabbia nei confronti della società. Da anni, anzi decenni, il sistema capitalistico risponde alla crisi che lo corrode in maniera coerente con la propria natura, attaccando le condizioni complessive di esistenza della classe operaia (intesa in senso lato), per stabilire o ristabilire livelli di estorsione del plusvalore (di sfruttamento, cioè) che consentano di conseguire un tasso di profitto adeguato all'odierna composizione organica del capitale e quindi di rilanciare veramente il processo di accumulazione su scala mondiale. Insomma, è la crisi, che si trascina da una quarantina d'anni, acutizzatasi nel 2007, a determinare il quadro complessivo in cui sta avvenendo l'arretramento pesantissimo del proletariato ­ e di parte della piccola borghesia ­ sul piano salariale, normativo, occupazionale: prenderne atto, è il primo passo da compiere, per non farsi accecare da illusioni e fraintendimenti sul quadro in cui si svolge lo scontro tra capitale e lavoro, quindi sui percorsi di una possibile, oltre che auspicabile, risposta proletaria.

CB

(1) R. Ceccarelli, il manifesto, 17 marzo 2016

(2)M. Fana, il manifesto, cit.

(3) A. Sciotto, il manifesto, cit.

(4) M. Fana, il manifesto, 11 marzo 2016.

Giovedì, March 24, 2016