Le elezioni USA: una sorpresa, sì, ma con tante conferme

L'arrogante Trump ha battuto l'antipatica Clinton. Il populismo di destra estrema ha battuto la destra tecnocratica camuffata da sinistra progressista. Il parlare alla pancia e alla paura dell'elettorato americano ha avuto la meglio sulla colta rappresentante dell'establishment. Il populismo ha trionfato nel caposaldo del capitalismo mondiale come e meglio di altri successi dell’estrema destra in Europa occidentale (in Francia, Scandinavia, Austria e, in parte, in Germania), nell'Europa orientale, come in Ungheria e Polonia, per non parlare della Russia di Putin, della Turchia di Erdogan e di Duterte nelle Filippine. Una menzione potrebbe essere fatta anche per la Lega in Italia.

Tutto nella norma allora? Sì ma solo in parte, se non si prendono in considerazione alcuni aspetti specifici che hanno caratterizzato l'esperienza elettorale americana. Innanzitutto la crisi. Come per i pronostici delle elezioni che davano facilmente vincente la Clinton, gli analisti hanno sbagliato, anzi fraudolentemente mentito sulla presunta ripresa americana. Nonostante le migliaia di miliardi di dollari esborsi dallo Stato a favore delle banche e quelli meno strombazzati a sostegno dei pilastri dell'industria, l'economia americana è rimasta al palo. La produzione dell'industria pesante, tra cui quella dell'acciaio, è tuttora latitante. Il commercio estero è da decenni un buco nero che assorbe le merci straniere, cinesi in particolare. L'industria manifatturiera non sta meglio. Il boom del fracking oil si è sgonfiato trascinando con sé ingenti investimenti e penalizzando sul nascere la solita speculazione che come un avvoltoio si era buttata sul presunto dolce boccone, che poi si è mostrato avvelenato. L'incremento del Pil è dovuto essenzialmente alla supremazia del dollaro, a manovre finanziarie e di contabilità statale. L'aumento dell'occupazione c'è, ma in termini minimi, e se si guarda a come sono confezionati numeri è la solita “bufala” statistica, dove appare come occupato chi lavora una settimana a semestre. Più che di aumento dell'occupazione, si dovrebbe parlare di aumento della sottoccupazione; come nel resto del mondo, per altro. La realtà è che negli Usa la disoccupazione è almeno il doppio di quella dichiarata. I salari sono ai minimi storici e i ritmi di produzione, come la giornata lavorativa, sono aumentati per intensità e durata. La distribuzione della ricchezza ha raggiunto abissi di diseguaglianza come mai in precedenza. Su di una popolazione di 320 milioni di abitanti quasi 50 vivono sotto la soglia di povertà. La mortalità infantile è aumentata e l'accesso alla tanto sbandierata sanità per tutti è rimasto un miraggio. Consistenti segmenti della piccola e media borghesia si sono trovati in questi ultimi anni sul lastrico alla pari di un esercito di proletari che il posto di lavoro non ce l'hanno più, o è precario e sempre a remunerazione irrisoria. Quando Trump ha affrontato l'argomento, ha messo l'accento sulla inconsistenza dell'amministrazione precedente dando la responsabilità al partito democratico di quello che è successo ai lavoratori della grande industria. Il che gli ha consentito di accaparrarsi il voto di una buona parte di questi lavoratori del Midwest. In più settori significativi della stessa classe operaia bianca in crisi di posti di lavoro e, soprattutto di prospettive, un tempo “fiore all'occhiello” per i profitti delle imprese dell’industria manifatturiera in Virginia, North Carolina, nella “cintura della ruggine” del Mid West, sono stati una facile preda per Trump, come per i mortificati minatori, meglio dire ex-minatori, del West Virginia, rimasti senza lavoro per la politica “verde” di un altro Clinton, il vecchio presidente, che ha favorito l'eliminazione di certi combustibili fossili (carbone) a favore della lobby petrolifera. Il che ha consentito a Trump di attrarre una componente significativa del mondo del lavoro, costituita dalla piccola borghesia in via di proletarizzazione, da una parte della classe operaia bianca che, scontenta dell'amministrazione democratica precedente – così come del vecchio apparato politico in generale -, senza alternative e priva di qualsiasi riferimento classista anticapitalista, è caduta nella rete del populismo trumpiano. Rete che ha raccolto anche molti giovani a corto di speranze e “ricchi” di aspettative disilluse. Accanto, ovviamente, la solita destra legata al razzismo (pare che in North Carolina il Ku Klux Klan abbia impedito a molti neri di votare), al diritto di possedere armi, alla giustizia “fai da te” e contro l'immigrazione che andrebbe a contaminare la razza bianca “in via d'estinzione” e a “rubare” i già scarsi posti di lavoro. In conclusione, Trump si è presentato come paladino del “vecchio spirito americano”, l'uomo venuto dal cielo (non di milioni di stelle, ma di milioni di dollari) che rifarà l'America più grande e più potente di prima. Darà lavoro a tutti, farà una politica per i poveri, preserverà l'identità dei bianchi americani e porrà un argine all'immigrazione e poi, più armi per tutti. Questo per la politica interna, per quella estera le parole d'ordine sono state isolazionismo, protezionismo e “facciamoci i fatti nostri”. La terza parola d'ordine, naturalmente, presuppone e sorregge le prime due, ne è l'asse portante.

Mentre i salotti buoni di mezzo mondo piangono per il misero naufragio di Hillary, la crisi continua a scompaginare gli assetti politici dati (vedi Brexit), producendo un "governo politico del mondo" sempre più instabile, perché fondato su di una struttura economica che non la smette di vacillare. E' una facile previsione che le tensioni continueranno a crescere insieme con la povertà e l'ineguaglianza sociale.

Le elezioni americane dimostrano una volta di più che “Socialismo o barbarie” è una sintesi più attuale che mai di questo tempo, anche se è la seconda alternativa, per ora, ad avanzare.

La tragedia della nostra epoca è lo smarrimento del proletariato, intossicato dai fumi velenosi delle forme più aggressive e reazionarie dell'ideologia borghese, vittima pressoché inerte degli attacchi economico-sociali che la borghesia sta scatenando da decenni ai suoi danni. E' l'assenza di nuclei comunisti che possano aggregare il forte malcontento di classe, eppure saremmo dei folli se smettessimo di lavorare in quella direzione.

FD
Venerdì, November 11, 2016