Due considerazioni sul risultato del referendum costituzionale

Il “leader minimo” è stato sonoramente sconfitto. La cosa era, prima che nell'aria, nei numeri rappresentati dalle forze politiche che hanno dato vita al confronto. Anche senza la personalizzazione che Renzi aveva dato al referendum sulla modifica di alcuni aspetti della costituzione, “o vinco o me ne vado”, la chiamata alle urne ha assunto inevitabilmente una valenza politica per o contro lo stesso Renzi, il suo governo e la sua progettualità per le riforme fatte e da fare. La sconfitta era nei numeri perché nel fronte del NO albergavano i suoi numerosi nemici: la Lega di Salvini, i Fratelli d'Italia della Meloni, gli avanzi di Forza Italia del riapparso Berlusconi, Centristi di vario genere e il Movimento 5 stelle che, stando ai soliti ben informati analisti, sarebbe il primo partito in Italia. In più sul fronte del No si sono aggiunti la minoranza del PD, le varie formazioni di “sinistra radicale” e persino la CGIL di Camusso-Landini (oltre che l'ANPI, l'ARCI, le frattaglie della sinistra detta assai impropriamente “radicale”, dentro e fuori il parlamento, sindacatini “alternativi” e centri sociali inclusi). Se la matematica non è una opinione, i numeri non davano scampo a Renzi e così è stato. Il rottamatore è stato rottamato, il riformista è stato riformato.

Meno scontati sono stati altri episodi che si sono espressi con e sul referendum. Il primo è che, nonostante alcuni dei poteri forti avessero fatto campagna elettorale per il SI, come la Confindustria, i Centri finanziari, la Confcommercio, che speravano di continuare a godere della sponda politica renziana, il No ha vinto. Che significa ciò? Significa che la faida che si è consumata era tutta all'interno dei centri di potere borghese e ha visto sul fronte opposto schierarsi altri poteri forti come le Regioni, soprattutto quelle meridionali, il mondo economico legato alle industrie di Stato e tutti quei segmenti borghesi legati economicamente e politicamente al collaudato modo di fare affari alla “vecchia maniera”.

Il secondo riguarda, come corollario, quanto appena detto, ma sul fronte dello schieramento trasversale del mondo politico. Destra, “sinistra” e centro come fattori interscambiabili li

ritroviamo , anche se con percentuali diverse, all'interno dei due fronti. Renzi con Alfano (ex delfino di Berlusconi in Forza Italia) e Lupi ( terminale politico di Comunione e Liberazione), ovvero PD e Nuovo Centro Destra. Dall'altra parte una variegata consorteria di personaggi a diverso titolo conservatori e reazionari che vanno da D'Alema a Salvini, dai 5 Stelle ai dichiarati fascisti di Fratelli d'Italia.

Il terzo dato si riferisce all'inaspettata affluenza alle urne, che ha fatto tirare il fiato alla borghesia italiana indipendentemente dalle divisioni interne. Un referendum anche se presenta dei rischi è pur sempre un'ottima gabbia all'interno della quale convogliare rabbia e tensioni sociali. Ma se è vero che l'affluenza è andata al di là delle aspettative, è anche vero che rimane un “esercito” di non votanti pari a oltre il 30% ed è più che probabile che alla prossima tornata elettorale le percentuali statistiche ritorneranno sui livelli abituali, cioè bassi, come si addice ad una società in crisi economica e di identità politica. Il non voto certamente non risolve nulla, ma è un segnale di sfiducia nei confronti della politica, dell'incapacità del sistema a trovare soluzioni che non siano le solite batoste sul mondo del lavoro.

Al quarto punto, oltre alla faida borghese che ha riempito di sé tutta la fase referendaria, c'è da mettere in evidenza che la vittoria del NO è da addebitare anche ad un voto di protesta nei confronti del potere rappresentato da Renzi, dal PD, dalle sue strumentali riforme (jobs act innanzitutto) e dalle “mancette” acchiappa voti, anche se non hanno funzionato. La crisi ha creato più miseria, più disoccupazione, più incertezza per tutti ma soprattutto per i giovani il cui tasso di disoccupazione al 36% rimane un indice insopportabile e che, non a caso, secondo i soliti ben informati analisti, o non hanno votato o, se lo hanno fatto, all'80% hanno votato NO.

Noi diciamo che un NO andava detto più che mai ma non soltanto al governo Renzi, non soltanto alle forze politiche dell'opposizione, ma al sistema che ha prodotto la crisi, la pauperizzazione di milioni di famiglie di proletari, di lavoratori, di giovani che, invece di essere la forza migliore da utilizzare, invece di essere una risorsa per la società diventano, nel capitalismo in crisi, un fardello insopportabile, un esercito di riserva per il capitale, uno strumento di facile sfruttamento in una sorta di lavoro “usa e getta”.

Il NO andava detto e praticato non nelle urne referendaria ma nelle fabbriche, nei posti di lavoro, tra i proletari sfruttati, tra i giovani senza lavoro che non avranno mai una pensione e ai quali il demagogo Renzi ha promesso 80 euro al mese proprio prima della tornata referendaria, come a suo tempo gli stessi 80 euro al mese li ha dati ai redditi più bassi che, con tanto di “sovvenzione finanziaria straordinaria” (l'equivalente di nemmeno un pacchetto di sigarette al giorno) doveva soddisfare le sue ambizioni elettorali, creandosi una base di consensi che altrimenti non avrebbe avuto all'interno di segmenti del mondo del lavoro. Ma anche questo non è servito. Il che non significa che l'astensionismo e il voto NO al governo siano l'inizio di una ripresa della lotta di classe, è solo l'indice di una malcontento sommerso che per emergere ha bisogno di un riferimento politico di classe, una forza partitica che abbia la forza e le capacità di rappresentare un'alternativa alle crisi, al capitalismo che le crea, alle faide interne della borghesia, al tentativo, sempre borghese, di camuffarle come problemi nazionali, ovvero di tutti, proletari compresi. Anzi, più il proletariato viene agganciato all'interno di queste faide, di cui il referendum costituzionale ne è una delle espressioni, più è tanto di guadagnato per l'intero sistema, per le varie fazioni borghesi che se lo contendono, per la possibile rottura della pace sociale che tanto temono. Tentare di risolvere i problemi della crisi, dell'alternanza al potere senza che l'avversario di classe irrompa nel campo di battaglia autonomamente ma al seguito di questa o quella fazione del capitale, per il sistema nel suo complesso è già una vittoria. Giù Renzi e su qualsiasi altra fazione di amministratori della “cosa loro”, il capitalismo resta con il suo solito fardello di sfruttamento e di oppressione indipendentemente che la Costituzione cambi o resti la stessa.

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Martedì, December 6, 2016