Cosiddetti... Radicali elementi di novità

Non so se farà rigirare nella tomba il padre (il quale credo si fosse ritirato a vita privata, per altro insoddisfatto anche delle nostre posizioni…), ma ecco il figlio, Carlo Formenti (sociologo, giornalista, scrittore e frequentatore della vasta area della cosiddetta “sinistra radicale”) il quale ci informa della pubblicazione dell’ultimo di una serie di suoi libri: La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo. Si tratterebbe dei risultati di «due anni di lavoro» (intellettuale), con alle spalle non poche (in parte nel periodo studentesco) frequentazioni di gruppi, da quelli di ispirazione gramsciana a quelli di una tendenziale “autonomia operaia”. Al termine di un così creativo (teorico con risvolti politici) cammino, Formenti sembra ora essere stato fulminato da «radicali elementi di novità» che gli avrebbero fatto compiere una «doppia svolta» nel suo «percorso teorico». Precisamente: «una definitiva presa di distanza sia dalle teorie post operaiste sia dal paradigma operaista originario». (Da notare che si trattava pur sempre di deformanti interpretazioni da parte dei gruppetti sopra nominati…). Non solo, ma la “distanza” riguarderebbe pure quella da nozioni quali il metodo della tendenza, il concetto di composizione di classe (nella sua formulazione "classica"…) e l’interpretazione operaista della categoria marxiana di general intellect. Categoria attorno alla quale si è consumata e si consuma ancora una parte del pensiero “anticapitalista” e degli sforzi cerebrali di non pochi intellettuali delle aree suddette…

Dulcis in fundo, l’abbandono anche della “idea” marxiana culminante nella determinante contraddizione fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione e quindi nel (possibile) superamento del capitalismo. Così dichiara testualmente il Formenti.

Certamente Formenti ha sempre espresso il suo dissenso nei confronti della tesi assegnante un presunto ruolo rivoluzionario “immanente” al general intellect, con la conseguente «contaminazione tra saperi alti e bassi» – come alcuni hanno sostenuto – e con una minoranza di “inferiori” che si sarebbero integrati agli strati “superiori” nella gestione della “governance” dei processi produttivi. Un castello di “blablabla” che si è in seguito polverizzato sotto i colpi di una realtà poco spirituale ma molto materiale. Una medesima fine l’ha fatta una presunta autonomizzazione del lavoro vivo dal capitale: autonomizzazione concretizzatasi, sì, ma in senso contrario.

Qui Formenti riprende la definizione di lavoro produttivo lasciataci da Marx (Capitolo VI inedito del Capitale): tutti coloro che svolgono mansioni lavorative integrate nel processo di cooperazione organizzato dal capitale, sono lavoratori produttivi a prescindere dal compito svolto. Compreso quindi il “lavoro digitale”. E su questo possiamo concordare.

Ma ecco che Formenti avrebbe individuato una delle tante innovazioni attorno alle quali periodicamente il pensiero borghese perde… il filo di un discorso per lui aggrovigliato, alla ricerca di nuovi soggetti politici in grado (forse, chissa!) di condurre una lotta “anticapitalista”, tale almeno da gettare fumo negli occhi della “pubblica opinione”. Un calderone nel quale cuocere a fuoco lento gli strati inferiori del popolo: dagli sfruttati dei Paesi in via di sviluppo ai migranti, dalle comunità che vivono ai margini del sistema a stratificazioni di classi medie sconvolte dalla crisi, agli esclusi ed emarginati di ogni regione e tipo. Un insieme di soggettività sul quale si dovrebbe costituire una egemonia di stampo gramsciano, e ritenuti più facilmente plasmabili (a propria immagine e somiglianza…) di quanto potrebbe esserlo una classe (il proletariato) ben definita con qualche “grillo” rivoluzionario in testa pronto a svegliarsi all’improvviso.

Tutto questo potrebbe (o dovrebbe) avere – per il nuovo pensiero di un “comunista populista” – uno sbocco politico ben preciso: poiché, invece di una globalizzazione (pacifica?) che porti ad una governance "imperiale", siamo in presenza del ritorno di conflitti interimperialistici, ecco che non rimarrebbe altro da “pensare” (è questa l’occupazione principale di ogni intellettuale che si rispetti) se non ad una specifica forma politica (scoperta da premio Nobel!) in grado di unificare la galassia dei soggetti in conflitto. Detto fatto: porte e finestre aperte al populismo, per una lotta anticapitalista che unisca le classi subordinate!

Formenti si aggira nelle soffitte polverose e maleodoranti delle più fruste ideologie piccolo borghesi alla riscoperta di «termini come _“popolo, blocco sociale, egemonia, guerra di posizione”_» ai quali intenderebbe restituire «l’originario significato gramsciano» (compreso quello di intellettuale organico?). Facendo propria (ispirandosi appunto ai “populisti”) una necessaria «innovazione linguistica» e nuove forme organizzative (democrazia diretta e partecipativa…). Avanti, dunque, per una “rappresentanza” degli interessi delle classi inferiori!

Tra un sentiero e l’altro, tra un «evento epocale» e l’altro, il rischio di perdersi in una “selva oscura” si è purtroppo concretizzato con la scoperta – l’ultima fatta dal Formenti – di una lotta di classe tendente oggi a presentarsi (ma meglio sarebbe dire: ci viene presentata) «come conflitto fra flussi globali di segni di valore, informazioni, merci e manager da un lato, territori e comunità locali che si oppongono alla colonizzazione da parte dei flussi dall’altro». Ecco allora che questa risolutiva «variante populista» aspirerebbe al ruolo di nuovo «paradigma teorico», al seguito – come spiega sempre il Formenti – di una avvenuta evoluzione delle forme del dominio capitalistico e delle forme (ma qui semmai si tratterebbe di involuzione…) del «conflitto fra strati superiori e inferiori» della società. Con una realtà che Formenti registra nelle varianti delle «stratificazioni di classe»… Non male per chi ha avuto “ispirazioni” tratte dalla «tradizione del comunismo consigliare»; anche se – come lui stesso conferma – ha poi trovato, col passar del tempo, nel «modello boliviano teorizzato da Linera» proprio quella «direzione politica unitaria» capace di guidare la nuova forma «epocale» che – sempre secondo la visione di Formenti – assumerebbe oggi la “lotta di classe”, ovvero il “populismo”. Con qualche “proposta politica”, specificando altresì che a lui poco interessa se esso (il populismo) “sia di destra o di sinistra, perché esistono anche le rivoluzioni passive” … E poiché Formenti ci tiene a precisare di ritenersi, sì, un “interprete” del presente, ma “alla luce delle categorie gramsciane di blocco sociale, egemonia, farsi partito e farsi stato delle classi subordinate, guerra di posizione, ecc.”, la lotta ha da essere in nome della difesa della democrazia contro il pericolo fascista. In tal caso i comunisti (modello Formenti) dovrebbero entrare armi e bagagli nel «campo populista» col fine di «contendere l’egemonia ai vari Trump, Le Pen e soci». E facendo proprio il «lucido» (ma tale solo lustrandolo con abbondante olio di gomito!) motto del Wall Street Journal: «la lotta politica è fra globalisti e populisti». Quindi, compagni, arruolatevi e… votate.

La novità che avrebbe folgorato Formenti sarebbe dunque il populismo quale “forma che la lotta di classe tende ad assumere nell’era dell’eclissi delle sinistre storiche e dell’impotenza di quelle radicali”. Ma questo non basterebbe – come sopra abbiamo letto – senza una “sua declinazione gramsciana”(Gramsci, “convitato di pietra”) operata dal Formenti per una “valorizzazione del suo (del populismo – ndr) potenziale di rottura antisistemica, la spinta alla creazione di istituzioni di democrazia diretta e partecipativa (vedi i processi costituenti delle rivoluzioni bolivariane, pur con tutti i loro limiti) e la lotta egemonica all’interno di tali processi per orientarli in senso anticapitalista”…

Le conclusioni politiche di un simile discorso sono a di dir poco… preoccupanti, sempre guardando a quelle che saranno le “soluzioni” capitalistiche che ci verranno imposte: «non è possibile opporsi al capitale globale senza lottare per la riconquista della sovranità popolare la quale, a sua volta, comporta la riconquista della sovranità nazionale». Dopo di che, con una «egemonizzazione» condotta da parte del «populismo di sinistra», finalmente potremmo assistere alla nascita di un’idea «postnazionalista» di nazione; la nazione intesa cioè come «lotta anticapitalista = lotta contro l’Europa». Avanti o popolo!

DC
Mercoledì, December 14, 2016