I nodi politici dello stalinismo: prima parte

In occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre, abbiamo deciso di pubblicare sul nostro sito web i capitoli centrali del libro “La controrivoluzione - I nodi irrisolti dello stalinismo alla base della Perestrojka”. Iniziamo proponendo l’Introduzione redatta per questi due capitoli ed i primi paragrafi del capitolo uno. Vi invitiamo a seguire la sezione del nostro sito web dedicata al Centenario della Rivoluzione Russa. Buona lettura!

I nodi politici ed economici dello stalinismo: introduzione

Tanti e troppi sarebbero i problemi inerenti allo stalinismo meritevoli di trattazione e di approfondimento. Ci limiteremo solo ai più importanti da un punto di vista tattico e politico iniziando dal Fronte Unico. È a partire da questo specifico problema, infatti, che il processo di degenerazione della dittatura del proletariato in Russia prende l’avvio; processo da tempo sviscerato dalla Sinistra Italiana ma che riconsideriamo alla luce di vecchie e nuove mistificazioni che sono andate via via ad ammorbare l’aria del campo proletario e rivoluzionario a livello internazionale.

È proprio sulle analisi della Sinistra Italiana, certamente la tendenza più conseguente da un punto di vista marxista (e perciò la più “fastidiosa”), che si sono appuntate le critiche dei vecchi e dei nuovi opportunisti, tese a dimostrare gli “errori” per giustificare nostalgici recuperi di quelle che furono le pagine più nefaste della storia del movimento operaio.

Ridiamo qui spazio, dunque, ai travagliatissimi problemi del dopo rivoluzione, nel tentativo di dare una cornice analitica alla vecchia “questione Stalin”. Essa è tanto controversa quanto è l’incapacità (o la non volontà) di dare chiare risposte al processo contraddittorio ma coerente e lucidamente omogeneo ai presupposti che dettero corpo e sostanza al capitalismo di stato in Russia. Quel paese che, dopo essere stato l’artefice della prima vittoriosa rivoluzione proletaria, fu inesorabilmente proiettato all’assunzione del ruolo che oggi nessuno (a parte i fessi e gli interessati) fa più fatica a considerare, tout court, come imperialista.

Ma procediamo con ordine e veniamo al problema di fondo.

I nodi politici: prima parte

Il fronte unico

Il secondo congresso della III Internazionale comunista si svolse nella prospettiva di rappresentare non solo nelle forme ma soprattutto nei contenuti il cardine politico della lotta di classe su scala internazionale. Le sue indicazioni tattiche, momento di sintesi tra le necessità dell’unico paese in cui vittoriosa si era manifestata la rivoluzione proletaria e la lotta di classe del proletariato internazionale, non potevano essere che improntate a tre direttrici fondamentali.

Questi tre punti, ben lungi dall’essere un espediente tattico momentaneo, dettato da condizioni contingenti, quindi transitorie, avrebbero dovuto essere l’asse politicamente portante di tutta l’azione a venire sia per l’IC che per tutte le formazioni politiche che sarebbero sorte.

Il primo punto riguardava la necessità della rottura rivoluzionaria senza la quale ogni aspirazione di classe si sarebbe miseramente infranta contro le capacità di recupero della borghesia internazionale.

Il secondo centrava il problema più attuale nella fase storica del dominio imperialistico: non poteva esistere una soluzione intermedia tra lo stato borghese e la dittatura del proletariato, a meno di non ricadere nelle esperienze negative della II Internazionale (la cocente sconfitta della rivoluzione ungherese ne era l’ennesima testimonianza).

Il terzo, ma certamente non ultimo per importanza, la definitiva condanna della socialdemocrazia non solo come forza perduta agli interessi della rivoluzione ma anche e soprattutto come momento politico attraverso il quale lo schieramento capitalistico internazionale giocava le carte del proprio processo di conservazione.

Alla fine dei lavori fu redatto un punto programmatico delle posizioni politiche ritenute indispensabili ai fini dell’appartenenza all’Internazionale stessa tra cui:

Della dittatura del proletariato non si deve parlare semplicemente come di una banale formula imparata a memoria, ma essa deve essere così propagandata che ogni semplice operaio, operaia, soldato, contadino, ne comprenda la necessità dai fatti della vita quotidiana, sistematicamente osservati e giorno per giorno sfruttati dalla nostra stampa (dal punto 1)

Qualunque partito desideri far parte della III Internazionale, è obbligato a smascherare, non soltanto l’aperto social patriottismo, ma anche l’insincerità e la ipocrisia del social-pacifismo; deve sistematicamente mostrare agli operai che, senza il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo, nessun tribunale arbitrale internazionale, nessun accordo intorno alla limitazione degli armamenti di guerra, nessun “democratico” rinnovamento della Società delle Nazioni sarà in grado di impedire nuove guerre imperialistiche (dal punto 6)

I partiti che desiderano appartenere alla III Internazionale comunista sono obbligati a riconoscere la completa rottura con il riformismo e con la politica del “centro” e a propagandare questa rottura nella più ampia cerchia politica comunista. L’Internazionale comunista chiede incondizionatamente e ultimativamente l’effettuazione di questa rottura nel più breve tempo possibile (dal punto 1)

Sebbene iniziasse a diventare preoccupante l’isolamento della prima repubblica dei soviet, al punto da inserire giustamente nella quattordicesima risoluzione:

i partiti comunisti devono svolgere una chiara propaganda per impedire il trasporto di munizioni di guerra ai nemici delle repubbliche sovietiche, oltre a ciò debbono, con ogni mezzo, legalmente o illegalmente, fare propaganda ecc. tra le truppe mandate a strangolare le repubbliche operaie (1).

Era più che evidente che i complessi travagli di ordine economico prima e politico poi che appesantivano i primi anni di vita della Russia sovietica potevano trovare soluzione non al proprio interno, ma, anche se tra mille difficoltà e contraddizioni, nella prospettiva di una soluzione rivoluzionaria per lo meno in qualche paese europeo.

In altri termini o la rivoluzione internazionale sarebbe giunta a salvare l’esperienza bolscevica o quest’ultima sarebbe crollata sotto il peso e dell’accerchiamento imperialistico internazionale e delle proprie contraddizioni.

Di questa lucida quanto realistica prospettiva fa fede, oltre a un cumulo di analisi pre e post-operazione, il telegramma che Bucharin, a nome del CC del partito bolscevico, inviò nell’ottobre del diciannove alla direzione del Partito Socialista Italiano in occasione del congresso di Bologna:

La nostra Repubblica Socialista è una fortezza assediata. Invano da due anni aspettiamo il valido aiuto dei proletari d’Europa…

E Trotsky di rimando:

Se i popoli d’Europa non si sollevano schiacciando l’imperialismo noi saremo schiacciati, ciò è fuori di dubbio. O la rivoluzione russa susciterà il turbine della lotta in Occidente, oppure i capitalisti in tutti i paesi soffocheranno la nostra lotta (2).

Noi dicevamo e diciamo che in definitiva tutto dipende dal fatto che la rivoluzione vinca o non vinca. In definitiva la rivoluzione internazionale, e soltanto essa, è la nostra salvezza (3).

Questi accorati appelli, oltre ad essere un grido di allarme, erano il frutto di un’analisi corretta delle prospettive rivoluzionarie sia in Russia che fuori. Di possibilità parziali o totali di socialismo in un solo paese, di fasi intermedie rispetto alla dittatura del proletariato, di governi operai più o meno contadini, nemmeno una parola. Si dovrà ancora attendere un anno di isolamento e di avvenimenti internazionali sfavorevoli allo sviluppo della lotta di classe sullo scenario europeo per assistere ai primi episodi di revisionismo tattico.

Solo con il terzo congresso si palesano a livello politico i contraccolpi di una situazione avversa.

Lunedì, September 11, 2017