Ancora sul “Comitato d’Intesa” del 1956

Ritorniamo con queste note a far luce sul tentativo (dalle conclusioni negative, certo non inaspettate, ma positive per aver smascherato l’opportunismo e il manovrismo che animava gruppi e personaggi dell’epoca) intrapreso da Battaglia comunista nel 1956 e mirante a promuovere una chiarificazione politica fra alcuni gruppi che si presentavano in scena allora, per quanto riguardava il ristretto campo delle minoranza comuniste anti-Pci.
Si trattava di verificare l’esistenza di punti di convergenza per una eventuale intesa centrata su una precisa finalità, quella di un tentativo di raccogliere dei presupposti per la ricostruzione del partito di classe. Per noi era fondamentale il netto rifiuto alla benché minima concessione di tipo revisionistico e opportunistico. Sapevamo in partenza quali fossero i contrasti che gli altri gruppi nascondevano pur con una accettazione formale della nostra piattaforma iniziale. Essi andavano portati alla luce nel confronto con i valori teorico-politici del marxismo e per una riaffermazione dei capisaldi della sua teoria e della sua prassi politica. Questa chiarificazione andava portata alla luce del sole, per evitare d aumentare la già notevole confusione presente fra i proletari. Era questo lo scopo principale della nostra iniziativa che mostrò subito il “riserbo” dei vari gruppi riguardo una sostanziale chiarificazione delle questioni poste sul tappeto, All’esterno, i bordighisti si infuriarono contro ciò che presentarono come la "grande ammucchiata e unico affasciamento". Lo stesso sarà per altri incontri da noi organizzati, all’interno di iniziative intraprese per costringere altri ad un confronto, soprattutto con formazioni che si presentavano richiamandosi alla Sinistra Comunista, tanto a livello nazionale che internazionale. Vedi la nostra promozione di tre conferenze internazionali, col seguito della fondazione, con l'inglese Communist Workers Organisation, del Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario.
Confronti, dunque, senza il pregiudizio (sbandierato da parte di chi si trincerava dietro l’esibizione di una aristocratica altezzosità…) di cadere nella trappola di fronti unici con cani e porci. Un solo imperativo: rafforzare il Partito e dare al proletariato internazionale un punto di riferimento classista e rivoluzionario. Quindi il rifiuto, netto e deciso, ad ogni idealistica speculazione, ad un tatticismo che tutto si concederebbe pur di “ingrossare le fila” anche a costo di abbandonare i principi che invece vanno tenuti saldamente in pugno. Il confronto politico non ci ha mai spaventato.

Tocca questa volta agli anarchici ritornare su quel cosiddetto “quadrifoglio” – termine col quale i bordighisti di allora intesero liquidare il tentativo di Battaglia comunista (nel 1956) col quale si cercò non certo di “riunire formazioni della sinistra ’eretica’, antistalinista, invisa al PCI”, (come scrivono questi anarchici). Addirittura – sempre secondo gli anarchici – di “dare vita ad un partito nuovo, comunista libertario, operaio e rivoluzionario in grado di attrarre a sé i delusi dal Partito Comunista di marca stalinista”. E questi sono esattamente i medesimi “pensieri” di chi ci accusava, i bordighisti, di aspirare alla "grande ammucchiata e unico affasciamento".

Quindi, molto chiaramente, nessuna “forzatura” da parte nostra per la “costruzione del soggetto unitario”; quanto al “prevalere di logiche identitarie” che mostrarono “le diverse impostazioni teoriche e soprattutto l’incapacità dei vari leader di abbandonare il proprio ’ponte di comando’” (ancora scrivono gli anarchici), le conclusioni stesse dimostrarono ampiamente quali fossero le “intenzioni e le finalità” di alcuni, comprese le “strade” da loro poi imboccate e percorse. Mostrando a tutti quali costruzioni ideologiche e politiche in realtà animassero certi personaggi e gruppi. Esattamente ciò che la nostra proposta – di mettere ciascuno le “carte in tavola” – intendeva, quasi come una cartina di tornasole, o una prova del nove, per far emergere allo scoperto quale fosse la sostanza ideologica e l’indirizzo politico che si mistificava dietro il termine “antistalinismo”.

Quanto agli “sfottò” riservateci – per lo più allora provenienti da Bordiga e successivamente dai suoi epigoni –, si trattava di “derisioni” dal contenuto degno di chi, alle finestre del proprio appartamento, guardava con supponenza l’agitarsi di chi – materialisticamente e dialetticamente – riteneva e ritiene (come ci hanno insegnato Marx e Lenin) che siano gli uomini a far la storia…Non certo “aspettando e attendendo”…

Da allora, abbiamo più volte chiarito e documentato il nostro obiettivo in quel periodo. Gli operai di Budapest erano insorti con le armi alla mano contro i carri armati del capitalismo di Stato russo e ungherese e contro il loro sfruttamento imperialista. Altri, con alla testa Bordiga, erano in quegli anni – nero su bianco - ancora alle prese con un “pensiero” che pretendeva di valutare la Russia, nonostante tutto, al centro di un reale movimento operaio internazionale; una Russia che non poteva quindi essere messa sullo stesso piano degli altri centri del dominio imperialista, come l'America. E non credendo all'esistenza del capitalismo di Stato in Russia, non potevano che prendere la strada opposta: quella di insozzare l'eroico sacrificio dei combattenti rivoluzionari ungheresi, i soli, dopo Lenin, che si erano mossi sulla linea della Rivoluzione d'Ottobre. E sono ricorsi alla solita e banale giustificazione, propria degli opportunisti, che alla iniziativa degli operai, stretti nei consigli, si era aggiunta, con scopi assai diversi, quella della socialdemocrazia e dei reazionari di destra; come se fenomeni del genere non siano costantemente presenti e quindi inevitabili in ogni profondo travolgimento rivoluzionario che, in quanto tale, non può sottrarsi alla legge della irrazionalità e mettere in moto forze le più varie e contraddittorie.

Quando si presentano situazioni come quella che avevamo preso in esame, e se si vuole che il proletariato non si presenti alla lotta ancora disarmato del suo strumento più valido – il partito rivoluzionario in quanto essenziale e indispensabile per assicurare una saldatura unitaria al moto difforme e contraddittorio delle masse in movimento e una guida sicura – è ovvio che il problema del partito venga posto al centro dei compiti e delle preoccupazioni. Il partito si costruisce e si potenzia non isolandosi, non chiudendosi a doppia mandata nel proprio guscio, ma accettando la discussione chiarificatrice e l'adesione di chi accetta di lavorare al tuo fianco riconoscendo la validità di una piattaforma già passata al vaglio della Rivoluzione d'Ottobre. Non è quindi problema di uomini o di gruppi e dei loro sempre possibili dissensi; quel che conta è che ognuno riconosca criticamente come lo svolgimento del conflitto di classe, quando esplodono le contraddizioni fondamentali, avvenga come era previsto in sede di dottrina, tradotta questa in termini di piattaforma ideologico-politica a cui si aderisce accettandola con la più ferrea disciplina rivoluzionaria. In tal caso, o il partito rivoluzionario si fa centro di convergenza delle forze spinte avanti dal moto di classe e le incanala e le piega alle esigenze superiori del fine rivoluzionario, o esso rimane tagliato fuori dalla dinamica degli avvenimenti che gli passano sotto il naso senza che se ne accorga, per isolarsi dietro una nube di astrazioni metafisiche e di nullismo politico, venendo così meno al suo compiti storico.

Questa, su Prometeo, 1969, era ancora la nostra risposta.

Aggiungiamo che - per una invarianza, sì, ma della verità delle parole e dei fatti - soltanto dopo il XX° Congresso del Pcus, Bordiga proclamò la "definitiva liquidazione dello stalinismo in sede ideologica e poi politica" (da Programma comunista"). Solo allora ci informavano che

si chiudeva veramente il periodo rivoluzionario della Russia moderna (...) In altre parole, lo Stato russo non è più uno Stato in divenire, bensì uno Stato arrivato.

Programma comunista, n. 15 - 1957

Dunque, solo dal 1957…Il che spiega come gli accadimenti del 1956 comportassero, per i bordighisti, qualche problema.

Un’ultima precisazione, sempre riguardo alle “favole” diffuse sui comportamenti del Partito comunista internazionalista, Battaglia comunista. La costituzione di un Comitato della Sinistra Comunista avvenne nel 1956 sulla base di una piattaforma elaborata dal nostro Partito. Quella piattaforma doveva essere il punto iniziale di una convergenza senza la quale veniva a cadere la possibilità di intesa per un lavoro comune di ricostruzione del partito di classe. La piattaforma non ammetteva concessioni revisionistiche ed opportunistiche di alcun tipo; per questo gli altri gruppi furono presto costretti a mostrare i limiti della loro accettazione formale, evidenziando chiaramente i contrasti esistenti per una puntualizzazione dei valori teorico-politici del marxismo e per una riaffermazione dei capisaldi della sua teoria e della sua prassi politica. Questa chiarificazione portata alla luce del sole – proprio per evitare un possibile pateracchio politico fra anarchici libertari, trotskisti e gruppi usciti dal Pci (al seguito di Seniga), la quale avrebbe seminato altra confusione tra i proletari – era uno degli scopi della nostra iniziativa. La si poteva definire come una “cartina di tornasole”; una prova del nove indicativa affinché si valutasse a fondo quale fosse in realtà una coincidenza veramente rivoluzionaria (seppure a livello critico) fra parole e fatti.

Non si trattava in alcun modo di “amalgamare” correnti ideologiche inconciliabili., bensì di costringere a smascherare – se questo era nella realtà – il ruolo filo-stalinista dei trotskisti di Maitan e l'infantilismo degli anarchici libertari (fra i quali militava Cervetto), e quindi di aiutare qualche compagno confuso e incerto a risalire verso le posizioni di principio del marxismo. Era necessario spingere questi gruppi sul terreno di un bilancio delle esperienze e delle sconfitte subite, tentando di costringerli a puntualizzare le direttrici tattiche e le finalità strategiche di una organizzazione politica di classe. A questo bilancio quei gruppi si sottrassero, rafforzando in definitiva e non indebolendo affatto la validità di quanto invece era stato da noi analizzato e criticamente elaborato, teoricamente e politicamente.

Si trattava dunque, da parte nostra, di un “politicantismo riformista, personale ed elettoralesco” - come usano rispondere certi puri e incontaminati predicatori della "meta grande e lontana" - o semplicemente un po' di quel "senso politico" di cui Lenin fu maestro nel forgiare il partito bolscevico, e che in parte non mancò al vero Bordiga della Sinistra italiana nella costruzione del partito di Livorno (vedi convegno di Imola)?

Nessuno di noi fu così politicamente ingenuo da non predisporre tutte le dovute barriere immunitarie; comprese le distinzioni fra le rispettive “prospettive intellettuali” dei singoli personaggi o, meglio e soprattutto, delle correnti ideologiche che essi rappresentavano e di cui eravamo ben consapevoli. Nessuno di noi si è mai sognato di "sostituire tesi, articoli, parti essenziali del corpus marxista", come fummo accusati dai “bordighisti”, per strappare qualche consenso. Che poi, per tirar acqua al proprio mulino, si cerchi di spacciare il tutto per tentativi dei “battaglini di lanciare nuovi capitoli della teoria, rammendare, rattoppare, puntellare, agglomerare, rettificare, aggiornare, manovrare", eccetera, bèh, ignorare o peggio deformare le reali posizioni dei compagni in disaccordo è stata, purtroppo, una caratteristica dominante del “bordighismo” post 1951. Gli esempi sarebbero infiniti.

Giovedì, February 21, 2019