A 100 anni dalla morte di Rosa Luxemburg e dalla rivoluzione spartachista

Sull'esperienza storica del movimento comunista internazionale e i nodi del dibattito fra le avanguardie odierne

Il 30 di gennaio siamo stati fra gli organizzatori, partecipanti e relatori di un'assemblea fra diverse forze rivoluzionarie, di movimento e collettivi sulla figura rivoluzionaria di Rosa Luxemburg e sul tentativo insurrezionale degli spartachisti in Germania. L'incontro si è svolto a 100 anni esatti da quegli eventi e dalla loro tragica conclusione, con la sconfitta degli spartachisti e l'uccisione della stessa Luxemburg e di Karl Liebknet da parte dei Freikorps, su mandato del governo socialdemocratico tedesco di Ebert e Noske.

Non era per noi un semplice esercizio di ricostruzione storica, seppure partigiana, di quegli eventi. Si trattava, da un lato, di un primo punto di incontro e confronto fra diverse forze su cui possibilmente riprendere la dialettica fra tutti coloro che, in un modo o nell'altro, fanno riferimento al terreno rivoluzionario e di classe, per il mutamento in senso comunista di questo sistema.

Dall'altro discutere degli eventi di 100 anni fa non significava semplicemente ripercorrere le tappe di un passato più o meno glorioso, nelle sue vittorie e nelle sue sconfitte, e dell'emergere di grandi figure di rivoluzionari che si erano forgiati nella lotta contro il capitalismo per la costruzione di una società comunista. Ma cercare di far venir fuori intorno alla militanza di Rosa Luxemburg, il nocciolo del suo pensiero rivoluzionario nonché mettere a bilancio, per quanto possibile, gli elementi di prassi e di teoria rivoluzionarie che ne hanno segnato le scelte politiche, sue e dei comunisti tedeschi nella situazione determinata.

Un passaggio, questo che, preliminarmente doveva, nelle intenzioni caratterizzanti l'iniziativa stessa, mettere innanzitutto fuorigioco quelle visioni che lungamente e più o meno opportunisticamente e interessatamente hanno fatto dell'opera di Rosa Luxemburg un prodotto accessibile ad una concezione politica strettamente riformista, svuotandola del suo contenuto rivoluzionario

Una lettura politica dell'opera di Rosa e dei comunisti tedeschi che può essere fatta con molta modestia solo da altri rivoluzionari, perché questo è l'unico piano legittimo e storicamente valido nel collocare l'esperienza tedesca di 100 anni fa, cogliendone gli insegnamenti anche a tanti anni di distanza, nei suoi elementi di validità e nei limiti stessi dell'esperienza. Una lettura marxista che d'oltremodo superi quella collocazione della Luxemburg data nel dibattito fra gli stessi rivoluzionari che ha trovato spesso un posto più polemico che analiticamente definito, spesso funzionale a piegarne la figura complessiva alle proprie teorizzazioni e pratiche politiche odierne.

Come ha detto il nostro compagno J., militante inglese della CWO, membro del raggruppamento internazionalista della TCI e nostro relatore all'assemblea: “Per certi versi gli insegnamenti da trarre dalla sconfitta spartachista, sono forse più importanti di quella vittoriosa bolscevica”. In cui il punto centrale a nostro avviso rimane quello di non aver dato “corpo e anima” alla costruzione di una forza organizzata indipendente dei comunisti, di fronte al cadavere della socialdemocrazia e ai problemi che si ponevano sul terreno di classe con lo scoppio della prima guerra mondiale imperialista.

Un passaggio prioritario che per dirsi idoneo doveva trovare nella sua internità alla classe il suo ruolo di direzione e organizzazione effettiva.

Questa questione era posta all'ordine del giorno dalle condizioni e dai nodi di contraddizione che i comunisti si trovavano ad affrontare complessivamente.

Anche per questo l'analisi del pensiero e dell'azione di Rosa Luxemburg e dei comunisti tedeschi non può essere scissa da quanto più complessivamente andava maturando sul piano dell'esperienza rivoluzionaria nel confronto con la fase imperialista.

Siamo allora in un passaggio epocale di fase, si apre sinteticamente il periodo delle guerre imperialiste mondiali e delle rivoluzioni proletarie. La guerra stessa e la rivoluzione bolscevica segnano un passaggio fondamentale nel determinarsi del rapporto fra rivoluzione e controrivoluzione dentro i singoli paesi e a livello globale. I nodi strategici e politici a cui i comunisti devono rispondere sono sostanzialmente mutati.

Il terreno dello scontro fra le classi pone oggettivamente e soggettivamente la “questione del potere” di fronte alla catastrofe provocata dalla guerra e al venir meno di vecchi equilibri e assetti di potere, con la crisi di stati e vecchi imperi, il movimento di classe fa un balzo in avanti, seppur contraddittoriamente, cercando la propria strada di emancipazione.

Si pongono contemporaneamente problemi di indirizzo, di costruzione politica - volti alla conquista del potere da parte del movimento di classe - nonché della forma organizzativa dei comunisti atta a venirne a capo. Perché, come sempre, non c'è nessun automatismo fra una situazione che presenta i caratteri di una crisi rivoluzionaria e la possibilità di uno sbocco rivoluzionario.

Questi i nodi generali che si pongono nel campo rivoluzionario. D'altro canto, nodi posti, seppur in una situazione diversa, già all'inizio della guerra mondiale, con il passaggio della vecchia “socialdemocrazia” e della II internazionale con armi e bagagli nel fronte borghese e con i voti sui crediti di guerra. Un passaggio, quello, che sul piano concreto sarà affrontato dai rivoluzionari in maniera estremamente contraddittoria, in una dicotomia fra consapevolezza teorica e politica e scelte concrete sul da farsi.

La forza di attrazione della socialdemocrazia verso le masse proletarie, che aveva segnato tutta una fase di sviluppo del movimento operaio, sarà uno degli elementi frenanti e contraddittori delle scelte politiche che i rivoluzionari saranno poi costretti a prendere dal maturare degli eventi. Solo per Lenin e i bolscevichi questo problema non si pone o quantomeno si pone su un piano diverso.

Per i bolscevichi, fin dal loro comparire sulla scena politica, il problema della lotta al revisionismo socialdemocratico (sia nelle “forme politiche” assunte in Russia che a livello internazionale) si era posto non semplicemente in una ottica di “polemica politica”, ma aveva fin da subito investito i problemi della costruzione di una forza organizzzata dei rivoluzionari funzionale a rispondere alle esigenze dello sviluppo del processo rivoluzionario.

La rivoluzione del 1905 e la susseguente controrivoluzione zarista, costituiranno il loro banco di prova, il piano di verifica pratica delle loro impostazione, oltre a essere foriere di ulteriori insegnamenti. Per Lenin, porre l'accento sulla questione del Partito centralizzato non significava assolutamente sottovalutare l'elemento dell'iniziativa di classe che nel 1905 aveva prodotto i Soviet. I bolscevichi erano interni a questo movimento che non solo aveva mostrato il carattere putrefatto dell'autocrazia zarista, ma aveva messo in movimento tutte le classi sociali in unione (parziale) e lotta di interessi fra loro, e posizionato politicamente sullo scacchiere tutte le rappresentanze di queste classi, con i loro specifici interessi.

Il movimento di massa non era quindi un elemento neutro, metastorico, ma al suo interno convivevano diverse prospettive politiche ( da quelle riformiste a quelle rivoluzionarie) figlie oggettivamente della sua composizione sociale e soggettivamente delle forze in esso rappresentate.

Per questo, per i bolscevichi non si trattava semplicemente di spingere in avanti il movimento di massa, le sue rivendicazioni, ma di prenderne l'egemonia e organizzarlo sul terreno, il programma e le parole d'ordine confacenti ad uno sbocco di potere.

Un problema che ritornerà anche se in condizioni diverse, di vera e propria “crisi rivoluzionaria” nel 1917.

In questo senso la battaglia politica che i bolscevichi fanno contro le posizioni arretrate nel movimento rivoluzionario e operaio non è mai fine a se stessa, per dimostrare un aderenza “ideologica” al marxismo rivoluzionario, ma è immediatamente funzionale alla lotta nel movimento stesso per affermare e conquistarne l'egemonia e la direzione politica verso la costruzione materiale e organizzativa di una prospettiva di classe rivoluzionaria.

Per i bolscevichi, anche nei momenti più duri, il problema della “forma organizzativa autonoma ed indipendente” dei rivoluzionari e il legame con i settori più avanzati della classe, non solo costituirà il carattere fondante della loro esperienza pratica che mai metteranno in discussione, ma lo porranno, e si porrà oggettivamente e soggettivamente, come discriminante a tutti i rivoluzionari conseguenti di fronte alla svolta della guerra imperialista, al “tradimento” della socialdemocrazia e alla morte di fatto della II internazionale.

Un passaggio che si ritroverà in pieno nell'affrontare la situazione internazionale, dove i bolscevichi saranno i promotori di una nuova internazionale, chiamata ad affrontare i problemi nuovi che la guerra e l'imperialismo avevano prodotto e, di conseguenza, quelli che la rivoluzione proletaria aveva di fronte su scala mondiale. Ancora una volta, emergeva la capacità di tradurre in scelte strategiche, politiche e operative, sul terreno dell'indicazione politica e della costruzione della prassi conseguente, quello che la realtà oggettiva dello scontro aveva prodotto e imponeva ai rivoluzionari.

La polemica contro i vecchi attrezzi della II internazionale e della socialdemocrazia è solo funzionale a delimitare il campo fra chi sta oramai nella prospettiva rivoluzionaria e chi in quella della controrivoluzione imperialista e borghese.

Per i rivoluzionari d'occidente, come dicevamo, questo processo sarà molto più contraddittorio, sia in virtù della posizione egemone della socialdemocrazia nel movimento operaio e per la sua collocazione negli assetti sociali e di potere della borghesia, sia per i relativi rapporti di classe inseriti in un contesto di nazioni ad alto sviluppo capitalistico, che per gli assetti di dominio volti ad incanalare il movimento di classe all'interno di una relativa stabilizzazione del sistema. In particolare, nei paesi più sviluppati del centro imperialista, pur sotto gli effetti catastrofici della guerra mondiale, si vanno ad affermare quelle vere e proprie “controtendenze” al movimento rivoluzionario, che sinteticamente trovano il loro aspetto principale in una organizzazione statuale, seppur in crisi e in via di ridefinizione, che hanno come primo comandamento quello di salvare innanzitutto e prioritariamente l'assetto economico borghese. Da qui la necessità di stemperare, relativizzare e, dove necessario, annientare il peso del movimento di classe, rovesciando sul piano interno della lotta di classe la discriminante antiproletaria e controrivoluzionaria nell'affrontare il movimento operaio, con tutti i mezzi a disposizione.

Una borghesia quindi che, che pur nella sua crisi, si dimostra anche ben consapevole e addestrata dagli insegnamenti avuti dalla rivoluzione russa. Un aspetto questo che ritroveremo, in modo e in forma diversi, fin ai nostri giorni.

Una situazione in cui la socialdemocrazia troverà la sua collocazione di gestione, lungo una linea di continuità del potere borghese, di questo passaggio traumatico, in cui storicamente assume in pieno le necessità borghesi, fuori e contro gli interessi di classe, pur sfruttando ancora la sua presa “riformista” sul movimento di classe.

Quindi non si tratta solo di passaggi contingenti, ma dell'emergere in toto della configurazione della socialdemocrazia che, seppur in forma diversa, si era posta, con il voto sui crediti di guerra, come forza borghese fra le forze borghesi, chiamata in quel frangente a rispondere alle necessità urgenti del sistema capitalistico e di dominio in crisi.

L' aver relegato la comprensione di questo dato al solo piano di battaglia politica all'interno del movimento socialdemocratico, senza assumerne fin dall'inizio (il voto sui crediti di guerra) le sue necessarie ricadute in termini politico-organizzativi per le forze autenticamente rivoluzionarie, sarà uno dei motivi soggettivi che legherà, al di là della polemica politica, i rivoluzionari più agli effetti della crisi della socialdemocrazia di vecchio stampo, magari su singoli elementi di contraddizione, che allo sviluppo conseguente di una politica indipendente che ne prendesse atto e sviluppasse un'azione su basi politiche proprie.

Sarà la rivoluzione russa che con la sua forza materiale e politica si dimostrerà il fattore di accelerazione di una serie di processi di maturazione politica per il movimento di classe e per i rivoluzionari. Ovvero la rivoluzione russa segna per tutti il livello del confronto che si dà all'interno dei rapporti fra le classi nei singoli paesi, e a livello mondiale fra imperialismo e rivoluzione.

E' un mutamento epocale.

Ma appunto la presa d'atto di questo mutamento, se subito digerito dalla borghesia internazionale e di ogni paese, appare segnare il passo nei rivoluzionari d'occidente, più costretti a prenderne atto dell'evolvere degli eventi che a tirarne le debite conclusioni in termini di traduzione politico-operativa.

Parliamo di “rivoluzionari d'occidente”, non solo quindi in Germania, perché questo tipo di contraddizione si vedrà, seppure in maniera diversa, in quasi tutte le compagini rivoluzionarie alle prese con i vecchi partiti socialdemocratici e socialisti nei paesi sviluppati, in cui il problema di maturazione e di formazione dei Partiti Comunisti si darà molto in là rispetto agli stessi sviluppi del movimento di classe e quindi alle possibilità di incanalarlo su una prospettiva di emancipazione.

Quindi, non solo emerge il nodo del “Partito” come questione dirimente, non in senso astratto e ideologico, che vede contrapposti e in opposizione i termini fra Partito e Classe, ma strettamente connesso e compenetrato alla questione, purtroppo irrisolta, della rivoluzione proletaria nei paesi del centro imperialista.

Dicevamo che la rivoluzione russa non è un fatto meramente da derubricare a questione locale di un paese arretrato, della periferia imperialista. La rivoluzione russa si pone come evento dai riflessi globali nello scontro fra imperialismo e rivoluzione. Per Lenin questo è chiaro, e specularmente, ma in termini opposti, lo è anche per la borghesia internazionale.

L'importanza strategica generale della rottura rivoluzionaria nei paesi del centro imperialista, e in particolare in Germania, è nella politica bolscevica e dell'Internazionale Comunista che muove i suoi primi passi, sempre dialetticamente connessa alla difesa e al consolidamento della rivoluzione russa di fronte all'accerchiamento e all'invasione delle forze della reazione “bianca” e di quelle imperialiste, intesa come primo (e non unico) atto della rivoluzione proletaria mondiale. In funzione del suo sviluppo, naturalmente, e con ciò il proletariato russo assume il carattere di un reparto dell'esercito rivoluzionario mondiale.

Un approccio che, nel ripiegamento generale della fase rivoluzionaria in Europa, rimarrà comunque, pur in una serie di scelte contraddittorie, ben diverso da quello di marca staliniana che andava a subordinare tout court la prospettiva rivoluzionaria internazionale agli interessi dello stato sovietico.

L'incapacità di vedere il movimento generale fra rivoluzione e controrivoluzione a livello complessivo ha spesso portato a vedere l'involuzione della rivoluzione russa più come un prodotto “ideologico” di scelte di fondo dell'impostazione leninista (il Partito in primis), che il maturare concreto di una serie di contraddizioni immanenti alla costruzione rivoluzionaria in un paese sostanzialmente arretrato e isolato, con una sovrastruttura politica di tipo comunista e una struttura economica che si indirizza a sviluppare una forma particolare di “capitalismo di stato”. Il tutto detto in maniera estremamente sintetica.

Qui si pone il terzo nodo che i rivoluzionari di quel periodo pongono ma non risolvono, se non parzialmente: il problema dell'edificazione socialista.

Parzialità come riflesso della stessa esperienza di edificazione nella Russia rivoluzionaria, nei suoi caratteri economici, di classe e di rapporti internazionali contro all'imperialismo. Parzialità, indotta dal carattere contingente di scelte che si danno nel “punto di equilibrio” possibile fra stato di necessità di difesa estrema della rivoluzione e al contempo sviluppo di elementi socialisti in economia e nei rapporti fra le classi, basandosi unicamente sulle proprie forze in attesa di ulteriori scoppi rivoluzionari. Se in Lenin è chiaro che anche nella Russia rivoluzionaria il periodo di transizione dal capitalismo al comunismonon potrà darsi compiutamente che sulla spinta della rivoluzione internazionale, solo il venir meno di questo fattore, porterà alla cesura con l'impostazione leninista, e alla teorizzazione della costruzione del “Socialismo in un solo paese” di staliniana memoria.

Legare, come dicevamo, l'involuzione della rivoluzione russa, che prende corpo nel periodo staliniano, a soli elementi sovrastrutturali, oltre a portare all'equazione semplificatrice Lenin=Stalin, dà all'analisi delle contraddizioni della rivoluzione russa e all'analisi della controrivoluzione staliniana, una altrettanta lettura limitante in cui si prende il toro per la coda invece che per le corna. Per poi approdare alla tesi trotskista dello stato socialista burocratizzato (ponendo l'accento ora su questo aspetto, ora su un altro, a seconda dei filoni di pensiero), ma sostanzialmente legittimando non solo storicamente, nelle vicende sovietiche, ma anche in generale, la possibilità di costruzione del socialismo “in un solo paese”. Ma soprattutto limita la visione strategica sia di allora, in cui esiste un rapporto diretto fra accartocciamento della rivoluzione russa e mancata rottura rivoluzionaria nei paesi del centro imperialista, in primis Germania, che ancor più nei caratteri di sviluppo dell'imperialismo attuale, nelle dinamiche di internazionalizzazione capitalistica e nei processi di crisi odierna.

Alcune di queste letture limitanti, o che appaiono riproporre in sedicesimo la vecchia polemica “Consiliaristi vs Partitisti”, a nostro avviso fanno torto alla stessa concezione generale di Rosa Luxemburg, che pure ha trovato i suoi limiti proprio nella traduzione concreta, pur collocandosi per intero nel campo rivoluzionario. Oggi, in un momento diverso, e per certi versi peggiore sia a livello di capacità di incidere della nostra classe, che della soggettività rivoluzionaria, quei problemi che i rivoluzionari di allora affrontarono si pongono, seppur in un contesto diverso e parzialmente mutati, anche grazie al bilancio dell'esperienza storica, ma con ugual forza ai rivoluzionari contemporanei.

Certamente è oggi acquisita (almeno oggettivamente, perché prodotto dalle cose) il concetto quantomeno generale di “organizzazione indipendente dei rivoluzionari”. Ciò ovviamente, come allora, non risolve il problema della sua caratterizzazione politica e programmatica, ovvero del modo di intendere, concepire il proprio ruolo e la costruzione della stessa prospettiva rivoluzionaria e dell'organizzazione di classe.

Rimane a nostro avviso ancora fonte di grossi equivoci, il rapporto fra sviluppo di un processo rivoluzionario nel proprio paese e sviluppo della rivoluzione mondiale. Questione che è immediatamente attinente alla costruzione delle basi di una nuova internazionale comunista non “dopo” l'emergere di qualche rottura rivoluzionaria, ma fin da subito, ancor più motivata dai processi di internazionalizzazione e relativa integrazione dell'imperialismo. Ovvero, in questo tempo non è più sufficiente “dotarsi” di una organizzazione nazionale, ma è necessario porsi il problema a livello internazionale.

Rimane a nostro avviso, accanto ai problemi urgenti, la necessità di approfondire un bilancio politico sugli eventi rivoluzionari che hanno segnato la prima ondata proletaria di assalto al cielo.

Volutamente abbiamo trasposto su un piano di punti generali quelli che, secondo noi, sono i nodi emersi da questa assemblea. Il suo carattere di classe non ne elimina, a nostro avviso, i limiti e pone dei temi di approfondimento nel confronto politico, oltre la scadenza in sé e su un piano di interesse generale per chi si dice oggi rivoluzionario.

EG
Giovedì, March 14, 2019