Come certi “sovranisti” sfoltiscono l’albero del marxismo

Questa volta, Formenti assieme all’amico Romano e col libro “Tagliare i rami secchi” (vedi la sua presentazione su Sinistra in rete, sempre pronta a fare di “ogni erba un fascio”, quello di una sedicente sinistra…), se la prende con quelli che ritiene siano tutti rami secchi di un albero marxista carico di una serie di “dogmi” trasformatisi in un “balbettio accademico”. Pure sapendo di essere considerati un piccolo “cespuglio comunista”, addirittura seminato nel lontano Ottocento, siamo tuttavia sconcertati dalla proposta di un ennesimo restauro del marxismo con il ricorso a “nuovi strumenti culturali”.

L’albero al quale Formenti guarda dalla finestra della sua stanza - questo va subito detto - ha ben poco a che fare con Marx: sarebbe il “marxismo perverso” quale è stato “interpretato” (cioè “deformato”) dalle tante volgarizzate applicazioni a cui è stato sottoposto da alcuni suoi presunti discepoli e da correnti politiche come la socialdemocrazia e soprattutto lo stalinismo. Ecco allora che il cosiddetto “corpus teorico marxiano” non solo è stato mummificato ma anche riempito di una maleodorante poltiglia idealistica nella quale galleggiano “tesi datate, incomplete e contraddittorie” che il Formenti ritiene essere invece “concetti” attribuibili a Marx e dallo stesso inventati e sviluppati. Quindi si dovrebbe procedere ad una operazione necessaria per “calare nella realtà” questi concetti invecchiati: si tratterebbe di “archiviarne” alcuni che addirittura “rischiano di conservare l’esistente” anziché modificarlo. Quindi, bando a certi principi diventati “rami secchi della teoria”, “articoli di fede” e “attori di criticità”. Insomma, un marxismo da rivedere perché “riposerebbe” su una antropologia positiva che nutrirebbe la sua caduta in un eccesso di “determinismo e perfettismo”…

Saremmo dunque al cospetto di un marxismo inficiato dalla esaltazione di un “paradigma progressista” assegnato all’industria e alla civiltà capitalista, e i cui contenuti lo stesso Marx – sempre secondo il pensiero di Formenti – avrebbe voluto preservare. Sarebbe nata così una “”” “religione della crescita” e questa impostazione teorica sarebbe fallimentare nel fornire adeguate alternative al capitalismo: troppe le incrostazioni profetico religiose” e la “provvidenzialità escatologica” presenti nelle analisi condotte da Marx. Avanti quindi con il colpevolizzare il marxismo attribuendogli il dogma che esalterebbe lo sviluppo illimitato delle forze produttive quale condizione per la liberazione dell’uomo e l’avvento di un mondo nuovo e non più precario. Un tale fideismo, per l’appunto quasi religioso, pervaderebbe il marxismo e si scontra – è sempre Formenti che “pensa” - con le errate profezie sulla fine spontanea del capitalismo provocata dalla caduta del saggio di profitto”.

Ecco allora finalmente scoperto l’errore di Marx e delle sue teorie: “una visione economicista che disconosce la creatività politico-regolativa con cui il capitalismo si è storicamente attrezzato”. Siamo 3 a 0 per la squadra degli economisti borghesi che da decenni sorreggono la “creatività” del capitale; la medesima che Formenti auspica diventi la caratteristica di una “regolazione” che intende spacciare come… rivoluzionaria. In questa controllata risistemazione andrebbero inserite anche le forze di produzione, quando invece quell’ingenuo di un Marx ne voleva lo sviluppo ritenendolo una condizione per il superamento del capitalismo! Un dogma pericoloso – scrive Formenti – che accusa Marx per aver “ammirato” fattori come scienza e tecnologia (però non più “usati” dal capitale, aggiungeva Marx, guardando alla scienza come ad una forza storicamente in movimento, una forza rivoluzionaria!) i quali andrebbero invece frenati….

Formenti è diventato il tifoso delle “popolazioni” e di certi regimi dei “paesi arretrati” (a loro conferisce lo svolgimento di fantomatiche “rivoluzioni socialiste” in brodo populista…). Attribuisce agli sviluppi tecnologici e scientifici in corso (e non all’uso distorto ai fini del profitto, che ne fa il capitale) “la causa di un arretramento drammatico dei rapporti di forza delle classi subalterne”. A quanto sembra, vorrebbe ampliare lo sfruttamento del vivo lavoro, con posizione che gli consentono di aggirarsi in una diffusione di “idee” che - vedi quelle dallo stesso Formenti elaborate – contribuiscono a deformare il marxismo e a confondere le “coscienze” proletarie. Fra l’altro attribuendo a Marx una visione immanentista/evoluzionista della politica la quale dovrebbe invece diventare - secondo Formenti - centrale e autonoma, frutto di pensieri contingenti e decisioni adeguate per “regolare” la presente economia.

Per questo il Formenti pensiero vuole un proletariato patriottico, nazionalistico: ne fa una questione sociale come fu nell’Ottocento a compimento della rivoluzione borghese, e rivernicia il tutto come una componente strategica della lotta anticapitalista” con la sovranità nazionale da usarsi per “riconquistare spazi democratici di contrattazione con l’avversario” (altro che liquidarlo definitivamente al più presto!). Ci sarebbe in gioco la “dignità” della patria, magari arrivando fino ad un blocco fra nazioni e popoli contro un altro blocco a loro ostile… E qui la “volontà” del popolo potrebbe anche far comodo nel sostenere le rivalità (inter-imperialistiche) fra gli Stati-nazione. Quanto alla ricerca del “soggetto rivoluzionario” che fa l’azione, si fruga fra “soggettività antagoniste diverse dal proletariato”: al posto di quest’ultimo – poiché sembra che “non esista più”… - si dovrebbero “costruire” altri soggetti presenti in quel popolo nel quale, ignorando la divisione in classi, si imporrebbe una soggettività unica e non più vincolata alla contrastante oggettività economico-sociale, storicamente determinata. Prenderebbe il sopravvento l’ipostatizzazione, idealizzata, di un fenomeno fino ad assolutizzare ed inseguire una prassi che, oscurando le determinazioni storiche dei processi in corso, non li chiarisce ed anzi li travisa con una astratta teorizzazione ideologico-politica.

Eccoci al cospetto di una politica che segue le “condizioni storiche concrete date di volta in volta”… E qui suonano trombe e tamburi e riappare nel ruolo di guida del “popo lo” nientemeno che il “blocco sociale” partorito a suo tempo dal fecondo pensiero ideologico di un Gramsci il quale – giù il cappello – “è oggi l’unico teorico marxista realmente attuale”! Parola di Formenti.

Siamo ben consapevoli della immane tragedia in cui è precipitato il proletariato mondiale con la sconfitta subita in Russia un secolo fa. Totale fu il conseguente asservimento delle forze politiche tradizionali del proletariato alla conservazione del potere borghese, anziché battersi per la sua distruzione come l’Ottobre aveva luminosamente indicato. Sconfitte come forze politiche di classe, i lavoratori hanno consentito al capitale non solo la possibilità di superare una crisi come quella del 1929, ma ingabbiati nella seconda guerra imperialista hanno rinsaldato la loro schiavitù, inquadrati nel sostegno ad un nuovo ciclo della accumulazione capitalistica.

Ed eccoci oggi di nuovo nel pieno riesplodere delle insanabili contraddizioni che sconvolgono drammaticamente il capitalismo, costringendolo a stringere le catene di sfruttamento, miseria e oppressione che legano le masse proletarie nel mondo intero. Nessuna futura possibilità di liberazione e di emancipazione? Ma il capitale, a sua volta per sopravvivere, è costretto a mettere in movimento, dialetticamente, quella classe proletaria che non è affatto un astrazione posta al di fuori da ogni realtà, bensì è fondamentalmente inserita e presente nella storia stessa del capitalismo. In questa storia i proletari si muovono, si devono muovere, proprio là dove il capitalismo stesso più si agita a sua volta. Tra molti passi incerti, a volte arretramenti e inevitabili sconfitte, una sola alla fine si presenta la strada da percorrere: quella di una ben chiara e precisa contrapposizione al capitale e alla classe che lo gestisce, con la guida di un partito che aiuti i proletari (non di una nazione ma del mondo intero) a trasformarsi nella forza politica di una unica classe, agendo per quell’obiettivo rivoluzionario – già annunciato da Marx - che solo può portare avanti la storia dell’umanità. Certamente nulla di scontato, di assoluto; soprattutto non si tratta di una questione da considerarsi come “antropologia culturale”, così pure come la nostra dialettica materialista respinge un meccanicismo che – nonostante la crisi fattasi permanente del capitalismo – incatenerebbe il proletariato a questo sistema nell’attesa che si rompa da solo.

Marx, nel racconto che gli intellettuali borghesi e piccolo-borghesi cercano di rifilarci, sarebbe caduto in un finalismo privo di ogni “dimensione regolativa”, cioè senza l’orientamento per una azione basata su un rapporto mezzi-fini. Da ciò deriverebbe una irrazionalità politica la quale metterebbe in crisi il marxismo se – qui viene il bello! – non ci fossero le idee di un Formenti e colleghi ad illuminare le agitazioni populiste. Ma nessun sovranismo a base di “nazionalismo popolare” potrebbe mai risolvere questa nostra drammatica condizione sotto il giogo del capitale; nessun nuovo rapporto con le “istituzioni e i valori” dominanti, dettati dalle stesse basi materiali dalle quali derivano i fondamentali rapporti sociali. Anzi, esattamente il contrario, nonostante le mistificanti ripresentazioni di una teoria marxista che – tagliando i suoi rami ritenuti “secchi” – si ridurrebbe ad un tronco morto senza alcuna futura crescita di rami e foglie…

DC
Sabato, September 14, 2019