USA: il re della democrazia è pericolosamente nudo

Negli Stati Uniti gli esponenti della sinistra più o meno radicale furoreggiano dei pericoli per la democrazia statunitense, rappresentati dal trumpismo e dal suprematismo bianco, mentre dall’altro lato della “barricata” della politica statunitense, i repubblicani hanno denunciato brogli ai danni di Trump nelle ultime elezioni presidenziali. Di fronte a questo urlare di “democrazia rubata”, si direbbe che neanche i partiti storici della “democrazia” statunitense credano poi nell’assetto costituzionale americano, lodato dai politologici come un modello per la divisione dei poteri sancita dalla Costituzione.

É da anni che gli “addetti” ai lavori in quel di Washington hanno lanciato l’allarme sulla polarizzazione estremistica della politica statunitense, confermatasi ai loro occhi con la deriva del partito repubblicano sotto la presidenza Trump, con il movimento Black Lives Matter (1) e le proteste contro la brutalità razzista della polizia nel 2020, per finire con il farsesco assalto al campidoglio tentato dai sostenitori di Trump il 6 gennaio del 2021 quando il Congresso discuteva in seduta congiunta l’approvazione dei risultati del voto, certificati dal collegio elettorale. I cantori della democrazia allora chiamarono all’oltraggio e al requiem per la “democrazia” statunitense.

È una storia vecchia. Già i padri fondatori degli Stati Uniti si premurarono di evitare un eccesso di democrazia nel sistema costituzionale introducendo il collegio elettorale a cui spetta l’elezione del Presidente della Repubblica; in spregio ai principi della “pura” democrazia, negli USA non è l’elettorato ad eleggere il Presidente, tanto che nelle elezioni presidenziali del 2016 Trump venne eletto malgrado la sconfitta del voto popolare (2). I rivoluzionari borghesi americani (3) giustificarono questa limitazione della “volontà popolare” chiaramente: James Madison (4), descrisse nel The Federalist la sua paura che un’elezione diretta del Presidente avrebbe permesso a “fazioni”, di impadronirsi del consenso della maggioranza, di minare l’interesse generale della nazione, ovvero l’interesse generale della giovane borghesia che andava protetto da passioni “popolari”.

Stando alla storiografia recente, il collegio elettorale venne istituito anche per preservare il potere delle borghesie degli Stati meno popolosi del Sud della Confederazione, la cui accumulazione originaria capitalistica era alimentata dallo sfruttamento schiavistico dei neri (5) nelle piantagioni: eccola la democrazia americana nel suo antidemocratico splendore! La stessa democrazia che nella sua Costituzione, dopo la Convenzione di Filadelfia, aveva scelto di considerare la popolazione di schiavi neri come equivalente ai tre quinti della popolazione libera di uno stato per il calcolo dei seggi elettorali da assegnare presso la Camera.

Si potrebbe rispondere che si trattava di storture poi corrette con la vittoria dell’Unione nella guerra civile americana e l’abolizione della schiavitù, con la conseguente abolizione del compromesso dei 3/5 (6) ma, malgrado le “proteste” democratiche, i neri rimasero di fatto cittadini di seconda classe almeno fino agli anni ‘60 e per stessa ammissione dei “democratici” i gruppi etnici diversi dai “bianchi”, ed in particolare quelli della classe lavoratrice (7), continuano ancora oggi ad essere vittime di razzismo “istituzionale”. Politici del partito democratico e della sinistra stanno criticando le manovre dei repubblicani in diversi stati (8), manovre volte ad impedire l’esercizio del diritto di voto da parte degli afroamericani e altri loro potenziali elettori tramite la soppressione del voto e la ristrutturazione dei distretti elettorali (9): per i democratici e i loro tirapiedi queste mosse sono un attacco alla democrazia, quando in realtà le restrizioni alla “volontà popolare” (10) fanno parte della tradizione USA.

È sorprendente constatare come in realtà il partito democratico sia invece stato molto accomodante nei confronti dei repubblicani per quanto riguarda la composizione dei comitati del Senato (11), l’amministrazione Biden ha manifestato una piena continuità in questo con il trumpismo.

Al di là delle condanne di rito dell’assalto al campidoglio, i democratici collaborano con i repubblicani e il controllo repubblicano offre al partito democratico e a Biden una comoda scusa per schivare le promesse elettorali.

Eventi di una “gravità inaudita” non hanno cambiato nulla. Quali sono le motivazioni di questa pantomima? Come abbiamo scritto in un articolo dopo i risultati delle presidenziali del 2020, la retorica politica si infiamma proprio quando i programmi dei candidati a dirigere il capitale sono in realtà identici. La continuità con Trump è evidente in materia di protezione dell’interesse nazionale e di competizione con la Cina per la supremazia dei rispettivi imperialismi.

A proposito della Cina il segretario di stato Anthony Blinken ha criticato i toni e i metodi dell’amministrazione Trump ma non il contenuto e gli obiettivi della sua politica estera. La nuova politica estera razionalizza in modo “multilaterale” il sempre più brutale puntellamento della supremazia imperialistica Usa, tornando ad abbracciare gli alleati europei e Nato per proteggersi da Cina e Russia e riaccendendo la guerra per procura contro la Russia. Infatti, in Ucraina gli Stati Uniti e la Nato hanno promesso di sostenere il governo ucraino contro l’imperialismo russo, che a sua volta ha intensificato l’attività militare al confine con la Crimea e l’Ucraina dell’Est e la situazione va scaldandosi. In questo tetro scenario denso di pericoli bellici Biden elargisce le briciole alla classe lavoratrice e alle mezze classi per mantenere la pace sociale e comprarsi i suoi elettori. D’altro canto, nel 2020, proprio lui aveva promesso ai suoi finanziatori di non alterare il tenore di vita della popolazione.

La crisi che si prolunga ormai da 50 anni, provocata dalla caduta tendenziale del saggio di profitto, riduce i margini di manovra, smascherando ormai il marcio democratico nei paesi a capitalismo maturo come gli Usa. Le somiglianze tra le politiche economiche e la politica estera dei due partiti, così come gli aspetti che le hanno distinte negli ultimi decenni, si spiegano con il bisogno di alimentare l’accumulazione capitalistica frustrata dalla crisi, non nella cattiveria o irrazionalità dei politici.

Negli anni ‘70, gli Usa risposero al crescente disavanzo commerciale e alla perdita di competitività sul mercato mondiale aggredendo le condizioni salariali e di vita dei lavoratori “autoctoni” e delocalizzando la produzione nei paesi “emergenti”, alla ricerca di forza lavoro a basso costo con più alti saggi di profitto; intanto conservarono la supremazia del dollaro, puntando sulla speculazione finanziaria per attrarre capitali e sulla potenza militare per assicurare la supremazia del dollaro nella commercializzazione del petrolio e di altre materie prime strategiche allo sviluppo economico.

Il “neoliberismo” è stato condiviso per decenni dai rappresentanti politici della borghesia americana ma la crisi economico-finanziaria del 2008 ha incrinato il consenso lasciando emergere divergenze interne sulla gestione della crisi (12). Tali differenze, apparentemente scaturite da un’opposizione ideologica irriducibile, si rivelano essere il frutto di interessi materiali e non delle “ricette” dei due partiti. Entrambi i partiti (13), infatti, rappresentano coalizioni variegate di interessi borghesi, intersecati tra loro (14). Tuttavia, i repubblicani ritengono che gli sgravi fiscali possano “stimolare” l’economia, riportando nelle tasche dei padroni una quota maggiore di plusvalore estorto alla classe lavoratrice; i democratici, d’altro canto, sono angosciati dall’ascesa tecnologica cinese e propugnano una tassazione più alta per fronteggiarne la competizione con l’intervento statale. Del resto, se da una parte i repubblicani e la destra intrattengono stretti rapporti con la borghesia petrolifera, affamata di sgravi fiscali a causa di un mercato instabile; dall’altra, i democratici e la sinistra borghese sono più legati ai settori ad alta composizione organica del capitale – ne sono un esempio le energie rinnovabili bisognose di un intervento statale sostenuto da un’alta tassazione. In questo scenario, la borghesia petrolifera è giocoforza interessata a sorvegliare le rotte petrolifere e a mettere in sicurezza gli approvvigionamenti, con ripercussioni dirette sulla politica estera avventuristica del governo Trump in Medio Oriente e sul “negazionismo” del cambiamento climatico della destra.

Il negazionismo climatico, il razzismo, il sessismo e lo sciovinismo sfrenato della destra, esprimono il livore che parte della borghesia rovescia sui capri espiatori del suo declino additati alla classe lavoratrice come il nemico da sconfiggere. Specularmente i democratici e altri “progressisti” della sinistra vendono alla classe lavoratrice l’illusione di una società composta da molteplici identità oppresse, in cui la schiavitù salariata sarebbe una delle tante da risolvere per il comune beneficio della “nazione”. La stessa che, utilizzando la retorica democratica, trascinerà al massacro imperialista una classe lavoratrice ingabbiata nei recinti del “bene comune”.

In questo articolo abbiamo argomentato come il sistema democratico, anche nella patria della democrazia liberale, faccia acqua da tutte le parti e come, sotto la spinta della crisi, i partiti non sono che interpreti di differenti interessi economici di differenti settori della classe dominante. Soltanto con la democrazia rivoluzionaria dei consigli e con il partito, il proletariato emanciperà sé stesso e l’umanità dall’inferno capitalista.

(1) Nato già sotto la Presidenza Obama, a conferma che il razzismo e la brutalità della polizia non fossero di certo spariti con un presidente nero.

(2) Allora Trump e compagnia non denunciarono attentati alla democrazia.

(3) Non per nulla i politici americani di tutti gli schieramenti li definiscono ora come padri fondatori ripudiando o occultando le origini rivoluzionarie della borghesia americana.

(4) Madison partecipò alla stesura della Costituzione americana del 1787 e promosse la sua ratifica con gli articoli del The *Federalist* scritti con Alexander Hamilton e John Jay.

(5) Alcuni rapiti nel continente africano, altri figli a loro volta di schiavi.

(6) Per cui gli schiavi venivano contati come i 3/5 della popolazione libera di uno stato e venivano così aggiunti al resto della popolazione per scopi elettorali avvantaggiando in modo tale gli stati schiavisti del Sud.

(7) Certe anime belle li descriverebbero come gli appartenenti agli strati sociali disagiati la cui discriminazione razziale o etnica si mescola con la loro oppressione di classe…

(8) Tra cui spicca la Georgia.

(9) Le assemblee legislative di ogni singolo stato approvano le mappe per la redazione dei confini dei distretti elettorali per la Camera dei rappresentanti degli USA. Ogni 10 anni negli Stati Uniti vengono pubblicati i risultati del Censimento federale e i confini dei distretti elettorali per la Camera dei rappresentanti e le assemblee legislative statali devono essere aggiornati in seguito.

(10) I democratici sostennero strenuamente il regime segregazionista di Jim Crow negli stati del Sud degli Usa fino agli anni ‘60 del secolo scorso. Allora il partito democratico sposava un’altra strategia elettorale.

(11) I democratici hanno assegnato la metà dei comitati del Senato ai repubblicani.

(12) Sebbene ci sia completo accordo sugli obiettivi di massima e sugli attacchi al proletariato, necessari per il funzionamento del capitalismo che si basa sull’estrazione di plusvalore.

(13) E i loro tirapiedi politici.

(14) Soprattutto perché il capitale paga profumatamente tutti i partiti borghesi per tutelare i propri interessi.

Giovedì, May 13, 2021