Gli “aiuti” disperati del capitale a sè stesso

Si parla di “aiuti” a imprese e famiglie (alcune di queste, proletarie, sono ormai prossime alla disperazione mentre numerose “bande malavitose” di ogni tipo si dividono “democraticamente” pacchi di miliardi), ma si tace su modi, tempi e contropartite necessari per poi far ritornare il denaro alla base di partenza, quando vi sarà la resa dei conti, al momento lasciata in sospeso. Altro che a “fondo perso”, “mutui agevolati”, ecc.: alla fine vanno rispettate le logiche dominanti nell’attuale sistema economico. Con mutui, debiti, cartelle esattoriali e di pagamento che battono cassa. Si spera nella resurrezione di un’araba fenice di cui si è persa la minima traccia delle ceneri. Si innalzano le montagne di debito privato e pubblico, con tentativi – da parte delle banche centrali – di monetizzare in parte questi debiti.

Intanto la disoccupazione dilaga. Già si parla di fallimenti aziendali, e di milioni di persone nel mondo colpite dalla povertà, con diseguaglianze sociali sempre più marcate. La contesa fra gli Stati si farà sempre più feroce, mentre ciascuno di loro cerca di attuare qualche intervento il quale comunque non farà che peggiorare i deficit pubblici, ormai insostenibili, a fronte di un Pil in continua diminuzione. Il peso del debito, in definitiva sulle spalle di noi proletari, innanzi tutto sta diventando sempre più gravoso: per l’Italia siamo già alle prese con il peso di un debito pubblico pari al 20% del Pil. Questo quando - a livello mondiale - il FMI sta calcolando che nel 2020 il Pil è sceso in media di circa il 5%: molto peggio che nel 2008 con la crisi dei subprime.

Si sono ormai superati i limiti di una futura sostenibilità dei debiti (e di una loro parziale monetizzazione), mentre l’intellighenzia borghese si aggrappa ad ipotesi di una ripresa della crescita del Pil nominale come unica possibilità per dar luogo a un gettito fiscale che compensi il deficit accumulato. Da rimarcare che è proprio lo stesso FMI che mesi fa “suggeriva” che soltanto con un aumento della progressività fiscale (soprattutto sui più ricchi…) si potrà cercare di tamponare le falle che si aprono ovunque spaventosamente.

Con una eventuale crescita della domanda aggregata (e dell’inflazione), anche questa fra le brame del capitale, si alimenta l’illusoria speranza di veder ripartire il motore produttivo dell'economia: e quindi – in termini di “lauti profitti” - l’espansione di una nuova fase dell’accumulazione capitalistica. E mentre cercano di consolare l’opinione pubblica lanciando proclami inneggianti a spinte decisive che porteranno ad una rigenerazione dell’economia e della società dopo la pandemia, è chiarissimo il fatto che sarà impossibile restituire quei debiti che oggi si accumulano. Soprattutto di fronte alla previsione – fatta da “loro”, non da noi! – di una “contrazione della produzione di circa 11 trilioni di dollari entro il prossimo anno”, cosa che potrebbe far crollare del tutto i mercati finanziari! Se poi guardiamo alla robotizzazione che avanza, la produzione di merci aumenterebbe, sì, ma con una “domanda” che non è in grado di assorbirla se non in parte. Una questione – per il capitale – di portafogli! E se qualcuno pensa di risolvere in parte il problema distribuendo denaro (che comunque non sarà mai gratis!), salterebbero poi quelle che figurano come basi del valore di scambio, un pilastro del capitalismo. Cogliamo l’occasione per rimarcare come nel comunismo il denaro sarà invece cancellato e chi lavora (poche ore settimanali, ma per tutti!) avrà una carta elettronica individuale con la quale potrà ritirare quanto distribuito come prodotto (necessario) e non più come merce.

Il capitalismo, anche se… socializzato (vedi “le peculiarità cinesi”, cioè la statalizzazione…), sopravvive solo trasformando il lavoro in una merce del tutto particolare che si compera con un salario appena sufficiente a mantenere in vita l’operaio. Ma al capitale occorre impiegare forza-lavoro in una attività produttiva che – sfruttando il vivo lavoro – possa fargli ritornare una maggiore quantità del denaro inizialmente investito. Assurdo sarebbe uno scambio di uguali quantità di denaro, immaginando una sua auto-moltiplicazione! In anticipo, chiariamo subito che la merce particolare che dà vita al capitale è il lavoro: il capitale gli assegna un salario il quale non “retribuirà” quello che sarà il suo sfruttamento produttivo ma semplicemente manterrà in vita l’operaio finché sarà utile al capitale. Cioè strappandogli un plus di lavoro non pagato, unico modo per valorizzare il capitale investito…

Mentre nel ciclo M-D-M si ha una circolazione semplice delle merci, nel ciclo della circolazione del denaro, D-M-D, le fasi si invertono. Il denaro viene qui mediato da un lavoro “produttivo” che aumenterà il suo valore, diventando D’. In M-D-M il denaro non circola come capitale e i due estremi (M) hanno la medesima grandezza di valore. Nel ciclo D-M-D’ compare il plusvalore e col valore di scambio muta la grandezza della somma iniziale di denaro, incrementata dall’uso-sfruttamento di una merce particolare (la forza-lavoro) che al capitale fornisce il plusvalore.

Ritornando al tema degli “aiuti”, il denaro che i mercati finanziari prestano va poi restituito pagando un interesse, pur basso che sia. Si noti che l’Italia ha già un debito di oltre il 130% del Pil ed anche se la BCE acquista titoli pubblici sul mercato secondario, siamo sempre ad un punto morto, quello cioè della monetizzazione dei debiti pubblici. Il valore della moneta si indebolisce rendendo ancor più fragili le pubbliche finanze; meno acquisti di merci, minore domanda sul mercato e quindi il rischio di spirali deflazionistiche che finiscono con l’aumentare il valore reale dei debiti…

Per il capitalismo, il vero problema (epidemico) che lo sta portando alla tomba è quello della affannosa ricerca di mercati dove vendere una massa di merci che dovrebbe produrre e vendere per combattere la caduta del saggio medio di profitto. Ma gli acquirenti scarseggiano. Nel Manifesto, Marx scriveva che

la società si trova spinta improvvisamente ad un stato di barbarie momentaneo, (…) l'industria ed il commercio sembrano annientati. (…) Le forze produttive disponibili sono diventate troppo potenti per questo regime che a questo punto diventa per loro un ostacolo. (…) Il sistema borghese è diventato troppo stretto per contenere le ricchezze create nel suo seno.

Ecco allora che i governi borghesi bloccano o distruggono con violenza una massa di forze produttive, ma ciò che si preparano sono solo «crisi più generali e più formidabili, riducendo i mezzi per prevenirle» (Marx).

Il capitalismo potrebbe anche produrre montagne di merci, ma rischia il collasso se non può trasformarle in denaro per mancanza di acquirenti. Abbiamo quelle crisi apparentemente di sovrapproduzione che altro non sono che l'espressione fenomenica della caduta del saggio medio di profitto. Una spada di Damocle che sul capo del capitale si abbassa sempre più spingendolo ad aumentare la produttività di un lavoro vivo che poi – sostituito con macchine e nuove tecnologie per aumentare l’estorsione di plusvalore relativo e combattere la caduta del saggio medio di profitto - si riduce sia nell’industria sia nel terziario. E poiché il plusvalore si ottiene unicamente sfruttando il vivo lavoro, il profitto per la “remunerazione del capitale investito” si assottiglia. L’aumento del plusvalore relativo strappato ad ogni unità di forza-lavoro è enorme, ma essendo diminuito l’impiego di forza-lavoro per unità di merce, con un minor numero di operai nei nuovi processi produttivi (in buona parte automatizzati) l’estorsione del plusvalore incontra un limite invalicabile.

Marx scrisse di una sovrapproduzione quale «fenomeno fondamentale delle crisi», il cui unico fine è quello di trasformare il plus prodotto di nuovo in capitale. Una sovrapproduzione, quindi, conseguente a quelli che sono i rapporti economici e sociali del modo di produzione capitalistico e del suo rapporto col lavoro salariato. Marx ripete che non si può

fare astrazione da una antitesi realmente esistente nella produzione. Il semplice rapporto fra operaio salariato e capitalista include che gli operai non sono consumatori (compratori) di una grandissima parte del loro prodotto, come gli strumenti e il materiale di lavoro; la maggior parte di loro può consumare solo una parte del loro prodotto, finché producono più di questa parte - il plusvalore o il plus prodotto. Essi devono essere sempre sovra produttori, produrre al di là del loro bisogno, per poter essere consumatori o compratori entro i limiti del loro bisogno.

La dinamicità espansiva del capitalismo, presente nelle sue prime fasi di riproduzione, si è infranta contro i limiti del mercato, i quali non reggono ad un ingigantirsi dei “bisogni” della accumulazione del capitale. Questo mentre salgono i veri bisogni che tormentano mezza umanità e che il capitalismo non potrà mai soddisfare essendo tormentato dall'abbassamento del tasso di profitto. É la concorrenza, nazionale e internazionale, che costringe il capitale a “rivoluzionare costantemente i mezzi di produzione” e a sostituire con macchine quel vivo lavoro col quale unicamente valorizza le merci e ottiene plusvalore. E’ dai settori industriali che proviene il plusvalore diviso tra profitto industriale e commerciale, rendita fondiaria e interessi finanziari. Inoltre, l’aumento della composizione tecnica del capitale e conseguentemente della crescente disoccupazione, è una conseguenza fondamentale del capitalismo; lo accompagna dalla nascita e contribuirà alla sua prossima fine. Occorrerebbe quindi che almeno come massa complessiva il profitto aumenti di ciclo in ciclo; per questo si punta anche al mercato estero sempre però – come imperativo a causa della concorrenza internazionale! – puntando ad una costante

diminuzione del capitale variabile rispetto al capitale costante, e generando, d’altra parte, la sovrapproduzione rispetto ai mercati esterni; si produce dunque, di nuovo, a lungo termine, un effetto contrario.

Marx

Sempre tormentato da quella tendenziale caduta del saggio del profitto che alimenta, stimola e ingigantisce la concorrenza sui mercati.

La potenzialità delle forze produttive, sviluppate di anno in anno e paradossalmente dallo stesso capitale nel tentativo di frenare la caduta del saggio medio di profitto («il motore della produzione capitalista»), altro non fa che ingigantire i fenomeni di sovrapproduzione, speculazione, crisi. E Marx, nel Capitale, insiste sul moltiplicarsi costante del capitale fisso a seguito delle conquiste di scienza e tecnologia, col risultato di bloccare uno sviluppo dell'individuo sociale (?) e preparare la fossa al capitale.

L’utilizzo di forza-lavoro diminuisce costantemente e crea una tensione sociale in aumento. Tanto da portare ad una lampante evidenza il rafforzamento del controllo e della repressione organizzata dallo Stato, il quale conferma giorno dopo giorno di essere la diretta appendice politica del capitale. E’ il suo “comitato d’affari”, anche se in una situazione (economica, politica e sociale) sempre più difficile come quella attuale, dove una “salvaguardia” del capitalismo – specie sotto gli attacchi della recente pandemia – è diventata ormai impossibile. Più che mai evidente è «l'incompatibilità crescente tra gli sviluppi creativi della società ed i rapporti di produzione stabiliti dal capitale» (Marx). La necessità di una «fase superiore della produzione sociale» è all’ordine del giorno.

Lunedì, May 24, 2021