Sullo sblocco dei licenziamenti

Lo sblocco dei licenziamenti è un tassello dell'offensiva padronale e borghese contro i lavoratori e la classe operaia, per rispondere alla crisi e alla necessità di rilanciare il processo di valorizzazione capitalistico in questa fase, sulla pelle del proletariato.

Possiamo brevemente dire che questa è l'essenza del prossimo provvedimento in discussione (il Decreto Sostegni bis in cui è contenuto lo “Sblocco dei Licenziamenti”), che va sostanzialmente a risolvere dal punto di vista capitalistico il nodo che si trascinava da tempo e su cui il fronte padronale spingeva per una soluzione a proprio favore (naturalmente) nascondendolo, in parte demagogicamente, dietro i problemi ulteriori creati dalla fase Covid.

L'oramai sinistramente famoso “Licenziare per assumere” si è rilevata la foglia di fico che, seppur in un gioco ironico di parole, ha espresso la chiara volontà padronale di spingere con priorità e urgenza alla necessaria ristrutturazione produttiva per sopravvivere sul terreno della valorizzazione capitalistica, in cui la crisi strutturale del capitalismo, unitamente a quanto prodotto dalla fase Covid, ha delineato e incrudelito sul terreno stesso della crisi degli assetti produttivi, finanziari e dei livelli di concorrenza che portano con sé .

Le “esigenze di impresa” e del capitale in generale hanno non solo riaffermato una loro centralità sul piano degli interessi reali, ma via via hanno dettato modi, tempi e linee di demarcazione su cui articolare la mediazione sociale, il ruolo delle rappresentanze politiche e sindacali e articolare di nuovo le relazioni sociali e di sfruttamento dei lavoratori.

Bisogna esser chiari: ciò che emerge con forza non è solo il prevalere di interessi contingenti del singolo o del fronte padronale visto nel suo insieme.

In primis va detto come nell'apparente fase “di tregua sociale” appena alle nostre spalle, anche grazie alla compartecipazione e cogestione dei diversi attori politici e sindacali a ogni livello, funzionale a gestire gli effetti più laceranti della pandemia e a sostenere il processo produttivo in una condizione tutt'altro che rosea, si sia di fatto preparato il terreno e fatte maturare le condizioni e gli assetti per l'ulteriore e sostanziale forzatura nei rapporti fra le classi, su cui oggi trova spazio e forza la spinta per portare questo ulteriore attacco sostenuto da un rinnovato quadro di “unità di intenti” intorno alle esigenze generali della classe dominante.

Una manovra di segno generale, di “ristrutturazione complessiva” del capitale made in Italy per affrontare le sfide che il quadro generale di crisi pone innanzi e su cui si articola, dal lato operaio e dei lavoratori tutti, l'ulteriore esasperazione dei livelli di sfruttamento all'interno del rapporto capitale-lavoro, elemento primo per riattivare i processi di valorizzazione capitalistica nella crisi . Chiunque abbia avuto la fortuna di mantenere un posto di lavoro ha visto nel corso del tempo degradarsi la propria condizione a tutto tondo.

Ma oggi si preannuncia un qualcosa di qualitativamente diverso e che ha sempre accompagnato i passaggi cruciali della crisi capitalistica verso il fronte proletario e dei lavoratori. Lo “Sblocco dei Licenziamenti”, al di là delle forme che assumerà segnerà effetti profondi sul fronte di classe.

Le vittime principali di questo disegno sono di due tipi.

Le prime e immediate sono quelle che nascono direttamente dai processi di ristrutturazione aziendali con l'espulsione diretta dal ciclo produttivo.

Se fino ad oggi la crisi aveva già prodotto un milione di licenziamenti, a ciò si devono aggiungere i seicentomila circa preventivati (se va bene) da questo sblocco dei licenziamenti.

Ma il “licenziare per assumere” va oltre il dato immediato e porta con sé, la concretizzazione di nuovi rapporti di sfruttamento, in cui tutti gli elementi si esasperano al fine di estrarre plusvalore attraverso il minor costo della forza-lavoro. Un processo che, va da sé, necessita di forme di subordinazione operaia alle condizioni lavorative e salariali immediate sempre peggiori, sia come forza-lavoro precaria e flessibile, sia come esercito industriale di riserva, piegato e utilizzabile alle esigenze dei continui processi di ristrutturazione produttivi.

Valorizzazione capitalistica, profitto, livelli di concentrazione e centralizzazione finanziaria e produttiva , riflesso dei livelli di concorrenza esasperati nella crisi, dettano i tempi e i modi dell' aumento dello sfruttamento operaio.

Un mutamento in negativo dei rapporti di sfruttamento per la classe lavoratrice, che per le sue ricadute materiali sulla condizione di classe diviene base e leva fondamentale su cui costruire e consolidare una nuova cornice dei rapporti di forza, politici e sociali, a partire dalla costante rimodulazione degli assetti contrattuali e della legislazione del lavoro adeguate alla nuove esigenze capitalistiche in funzione antioperaia.

Il fascismo aziendale si fa “democrazia imperialista” generale.

Non solo, come la storia del movimento operaio ci insegna, ad ogni passaggio di questo tipo i primi che pagano sono i lavoratori combattivi, politicizzati, che difendono semplicemente e in maniera diretta i più semplici “diritti” conquistati, che vengono sbattuti fuori. Ma ciò che muta è il terreno stesso su cui può esprimersi l'interesse operaio nel confronto sia con il fascismo aziendale, in cui il comando del lavoro è elemento portante, sia rispetto alle contraddizioni proprie date da una forza-lavoro flessibile, ultra precaria, piegata alle esigenze produttive, sia per gli effetti di legittimazione all'azione padronale dati dalla forza della classe dominante che dal quadro corporativo su cui viene a svilupparsi sempre più, come strada obbligata di questa situazione, la relazione sindacal-imprenditoriale, con la prima subordinata e funzionale alla seconda.

Esigenze particolari ed esigenze generali del capitalismo si mescolano nelle soluzioni da dare in maniera contraddittoria, ma con egual funzione antioperaia.

Il rinnovato unanimismo sulle sorti del capitalismo italiano, la presunta “socialità generale d'intenti”, a stento copre il prezzo che la classe lavoratrice ha pagato e che pagherà come costo di una rata ancor più salata che gli si presenterà domani.

Per la classe dominante è chiaro: alla “ripresa” non va messo freno e va rimosso ciò che ostacola e modificato ciò che rallenta. Il resto è pura poesia e cornice consolatoria.

La centralità del “sistema produttivo” ad ogni costo deve essere salvaguardata così come i rapporti di sfruttamento su cui si fonda. Magari poi c'è il “pianto” pubblico in maniera farisea per la giovane operaia tessile morta a Prato, e la denuncia ipocrita dei padroncini della funivia di Mottarone, che null'altro hanno fatto che seguire la logica di cui è intriso fino ai piani più alti il sistema capitalistico e chi lo domina.

Perchè dietro l'ipocrisia ci sono le ferre leggi del capitalismo e del profitto che impongono una ulteriore deregolamentazione degli appalti e subappalti al ribasso nei costi. Il penoso mercanteggiamento sulle soglie dei ribassi e sulle stesse scadenze regolamentative momentaneamente pattuite, non bastano a nascondere cosa significhi lavorare in queste realtà, perchè l'abbassamento dei costi ha in testa, alle primissime voci, la condizione lavorativa e salariale, nonché la sicurezza dei lavoratori. Tutto ciò mentre i morti sul lavoro sono giornalieri, figli proprio di quelle logiche che si vogliono affermare come generali, andando a consolidare il fatto e la norma che “costa” molto di meno pagare il “morto” che fermare l'esasperato meccanismo di sfruttamento.

Lo sblocco dei licenziamenti, quale tassello di questo processo più generale che a grandi tratti e rozzamente abbiamo delineato, segnerà la caduta di una sorta di illusione di settori anche ampi della classe operaia, prigionieri della propria”effimera” sicurezza lavorativa nel vortice della crisi. Una illusione contrabbandata come al solito dalle Centrali Sindacali, che nella loro funzione divisoria, ammortizzatrice, hanno sia aperto la strada alle soluzioni governative e padronali alle maggiori crisi industriali del recentissimo passato, sia oggi nascondendosi dietro ad un dito di fronte alle forzature padronali e all'azione di governo che ne ha recepito la sostanza. Non bisogna aspettarsi chissà che su questo fronte e noi certamente non c'è lo aspettiamo, come invece qualcuno pare faccia in buona o cattiva fede.

Del resto, lo “scambio” cogestivo ha alzato l'asticella fino ad una presenza formale e se si vuole marginale sui tavoli di dirottamento delle risorse pianificate dal PNRR, dove comunque già più della metà dei 40 miliardi sono dirottati verso le imprese. Ma tanto basta.

Ciò che è sicuro è che la classe operaia e lavoratrice come sempre si dovrà guardare alle spalle e di chi gli sta di fianco. Una fase che allo stato delle cose ne esalta tutti gli elementi di debolezza di fronte all'avversario di classe su un terreno e alle condizioni imposte da quest'ultimo, che ne danno un carattere di mera resistenza di fronte all'offensiva in atto.

Non sappiamo come questa si esprimerà e con quali strumenti.

Ciò che sappiamo è che la situazione impone, a livello immediato, che l'azione operaia e di classe si liberi dai lacci e laccioli, soprattutto sindacali, che hanno confinato la sua stessa pratica all'irrilevanza senza peso effettivo e che, partendo da un terreno di resistenza imposto, si dia la capacità di riconnettere la propria iniziativa frammentata e parziale non solo verso un interesse di classe immediato e contingente, ma che ponga le condizioni per lavorare affinché i reparti avanzati di questa lotta discutano, lavorino e si mobilitino su una prospettiva di alternativa a questo infame sistema capitalista.

EG
Domenica, May 30, 2021