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Home ›Il sindacalismo di base alla prova della crisi sullo sciopero dell'11 ottobre
Per l'11 di ottobre è stato annunciato, da una grossa fetta del sindacalismo di base e di classe, uno sciopero unitario intorno ad una piattaforma generale che dovrebbe esprimere l'opposizione alle attuali scelte governative e al contempo dovrebbe essere la base di un indirizzo di lotta delle stesse organizzazioni sindacali, su cui convogliare possibilmente anche quelle espressioni di lotta operaia e sociale che si esprimono.
Ciò che sicuramente spezza la ritualità dell'appuntamento autunnale del sindacalismo di base è legato a 2 fattori fra loro connessi.
Il primo e fondamentale riguarda il quadro complessivo della crisi capitalistica e della relativa gestione messa in campo dalla borghesia, che si concretizza in una offensiva a tutto campo verso le posizioni e le condizioni delle classi lavoratrici e proletarie, che sfruttando anche l'attuale stato dei rapporti di forza fra le classi, coinvolge sì il piano immediato del rapporto capitale-lavoro ma che, per la sua portata e per gli obiettivi che si propone, assume il carattere di una più generale ristrutturazione economico-sociale del sistema volto a ristrutturarlo, per reggere i livelli di competizione internazionale, sia sul versante della rinnovata ristrutturazione tecnologica nelle forme di produzione, che nella gestione dei fattori produttivi, prima fra tutti la forza lavoro. L' attacco al salario reale, la gestione dell'esercito industriale di riserva verso l'uso massificato dell' “usa e getta” ratificato da livelli contrattuali da carta straccia, la corrispettiva precarietà costante e la conseguenziale intensificazione dei livelli di sfruttamento, comando e controllo aziendale all'interno dei posti di lavoro, ecc. sono alcuni degli elementi portanti ed immediati di questo passaggio.
Elementi che non sono nuovi per la classe lavoratrice, ma che oggi vengono generalizzati in ogni ambito delle relazioni fra capitale e lavoro, sbaraccando il campo, o comunque limitandolo fortemente solo a esigue fasce di operatori ultra professionalizzati al “servizio del Re”, da tutte quelle forme residuali di garanzie proprie di una fase precedente del capitale e delle sue compatibilità.
L'abbassamento del costo della forza-lavoro fa il paio con la necessità di spremerla fino all'osso.
Una crisi capitalistica acuita dagli effetti prodotti dalla pandemia in corso, le cui risposte a quest'ultima, nella gestione concreta, ha sempre visto porre in campo scelte che prioritariamente sono state volte alla tenuta complessiva del sistema e alla garanzia di funzionamento del sistema produttivo, dei suoi assetti e dei relativi interessi dominanti. A cui, subordinare e modulare per criteri, modi e tempi gli indirizzi dello stesso intervento sanitario. Una gestione dell'emergenza sanitaria che per le modalità di intervento e caratteri si è riversata sul complesso delle relazioni sociali, supportando e saldandosi alla più complessiva ristrutturazione economico-sociale in corso, dando anche una ulteriore spinta in avanti all'oggettiva tendenza alla centralizzazione degli stessi assetti di potere e delle decisioni politiche, per le necessità di dare risposte urgenti sui diversi piani della crisi stessa.
Ciò che è vero, è che una fase si è chiusa e un'altra se n'è aperta per iniziativa del capitale e della borghesia. Una iniziativa volta a forzare, sfruttando anche il profondo squilibrio odierno nei rapporti fra borghesia e proletariato, al fine di modificare ulteriormente a proprio favore i rapporti di forza e le relazioni fra le classi, sia sul piano generale che su quello immediato dello sfruttamento.
Il secondo fattore ci dice come questo processo abbia inciso e vada mutando, per il carattere delle trasformazioni che comporta, il quadro di riferimento entro cui è si è dato possibile lo sviluppo fin qui attestato della lotta operaia. L'iniziativa dell'avversario di classe va dettando le condizioni, il terreno, i tempi e le modalità dello scontro concreto, volendo stravolgere ulteriormente a suo vantaggio le condizioni di questo scontro.
Il vero obiettivo è quello di coniugare i nuovi termini di sfruttamento intensivo che si devono affermare a livello generale, con il massimo di “pace sociale” possibile.
Una “pace sociale” fondata sull'azzeramento delle stesse possibilità di risposta operaia e proletaria, che per parte capitalista trovano l'unico piano legittimante nella condizione schiavista proposta e ratificata da modelli contrattuali ad hoc, e dal relativo assetto formale fra parti sociali che la sancisca al fine di dare una falsa parità, altrettanto formale, ai diversi interessi in campo.
Condizione che costituisce al contempo il perimetro con steccati ben delimitati in cui può “sopravvivere” una funzione sindacale che trova il baricentro della sua azione intorno alle imprescindibili necessità del capitale. E, ancora una volta, l'ennesima, per misurare il riproporsi del suo ruolo egemone.
E' evidente come sulla base oggettiva delle odierne compatibilità capitalistiche cozzano i contenuti rivendicativi nonché quegli stessi spazi di agibilità e di lotta fin qui conquistati e permessi, la rinnovata contrattazione corporativa che legittima gli interessi padronali diviene la gabbia stessa in cui sono incarcerati gli interessi operai e annichilita con ogni mezzo la spinta autonoma.
Per questo la stessa resistenza operaia e dei lavoratori, che oggi dentro le proprie scarse forze pur si muove su di un terreno di difesa immediato, si confronta, suo malgrado, come singolo momento contro la dimensione generale dell'iniziativa dell'avversario di classe .
L'eterna “guerra di posizione” della lotta operaia a difesa dei propri ridotti, posta in una condizione di costante accerchiamento e nella incapacità di pesare sui complessivi rapporti di forza per affermare i propri interessi, si trova soverchiata dall'avversario di classe e dalla sua costante offensiva.
Una dinamica e una dialettica della lotta di classe che abbiamo già visto dispiegarsi altre volte, sopratutto in quelle fasi che si sono definite come veri e propri momenti di svolta.
Una dinamica che investe le stesse rappresentanze che in diverso modo e con diverse opzioni si sono poste a rappresentare gli interessi dei lavoratori.
Diviene innanzitutto “crisi”, a nostro modo di vedere, della linea sindacal-riformista che si è incuneata, in maniera sempre più marginale ed effimera nei risultati reali, nelle pieghe della propria presenza operativa sui posti di lavoro. Ma che non ha fatto che rincorrere una esigenza di legittimazione della propria presenza, attestandosi in una pratica strettamente aderente ad una linea vertenziale di stampo riformistico fuori tempo massimo. Diviene “crisi” di quel sindacalismo di classe, che pur ha saputo rappresentare spezzoni importanti di operai nella lotta, che si è posto, ed è stato percepito oggettivamente e soggettivamente - per una serie di concause generali estremamente contraddittorie che hanno pesato sul corso della lotta di classe - come punto di riferimento di una alternativa sociale e/o per la costruzione di una alternativa politica.
Quindi questo “sindacalismo” diversamente declinato oggi fa i conti con quella dinamica generale messa in moto dal capitale e che intacca profondamente le basi materiali e gli spazi su cui ha stabilito la propria iniziativa.
L'appuntamento dello sciopero dell'11 ottobre dovrebbe quindi rappresentare una prima risposta da parte del sindacalismo di base di fronte alla situazione indotta dall'avversario di classe e un primo approccio di costruzione a questo “salto di qualità” evocato, raggruppando le diverse sigle sindacali in un unico appuntamento al fine di concretizzare, almeno nelle intenzioni, l'apertura di un processo di costruzione di un unico fronte di “opposizione sindacale” alle politiche del governo e all'offensiva in corso.
Parliamo di fronte “di opposizione sindacale” perché questo nei fatti è, proprio per distinguerlo da fraintendimenti con il “fronte unico di classe dal basso”, che ha avuto storicamente altri riferimenti di impostazione e pratici.
Il punto di riferimento di questa scadenza, così come più in generale delle rivendicazioni, è espresso nella “Piattaforma” di lotta di carattere generale su cui si dovrebbe sintetizzare il contrasto fra gli interessi generali della nostra classe contro a quella avversa.
A nostro avviso l'ulteriore offensiva del capitale pone problemi non più eludibili, se è vero che le condizioni di difesa e resistenza sono condizioni non aggirabili idealisticamente, e con i quali confrontarsi senza scappatoie. Ovvero questa stessa condizione, per come noi la vediamo, pur nella sua pesantezza può trovare il suo possibile e necessario affrontamento solo ponendo al centro fin da ora una linea di condotta strategica che la sappia affrontare.
Non pensiamo che gli interessi generali diclasse coincidano con “Piattaforme Generali” che ripropongono sotto altra forma la contraddizione stridente fra parole d'ordine lanciate in maniera più o meno coerente, ma che nella loro realizzazione concreta richiederebbero un passaggio “rivoluzionario” contro i livelli di compatibilità capitalistica, nel momento in cui questo ultimo nodo viene costantemente espunto dalla pratica quotidiana. Una logica che appare tutto sommato un escamotage “tattico”, pensando ingenuamente che su questo presupposto possa rovesciarsi il corso della lotta di classe e mettere in crisi la borghesia.
Peccato che la dinamica dello scontro di classe segue altre leggi di movimento.
Ma sopratutto un simile approccio non fa che riproporre, seppur su un piano generale, quella stessa logica che vuole la classe operaia, lavoratrice e proletaria legata al suo ruolo di forza-lavoro, produttrice di plusvalore, in contraddizione perenne e conflittuale con il capitale, ma privata di una prospettiva di superamento della contraddizione e sempre quindi collocata all'interno degli assetti vincolanti di questo sistema.
In realtà e lo ribadiamo per parte nostra, gli interessi generali di classe non coincidono solo con la prospettiva rivendicativa, seppur a carattere generale, ma con la costruzione di una alternativa di potere del proletariato alla borghesia.
Certo i lavoratori nella loro spinta evocano sempre richieste “riformiste” di miglioramento rispetto alla condizione data. Questa è la base fondamentale della lotta di classe. Ma proprio il concreto rapporto di scontro, le relazioni fra le classi, l'incedere della crisi e delle scelte del capitale fanno emergere ad ogni passo l'incompatibilità degli interessi operai rispetto alle logiche del capitale. Non si tratta, come qualcuno asseriva in tempi recenti e sull'onda dei risultati contrattuali positivi, di una automatica identificazione e trascrescenza lineare dal dato di contrapposizione oggettivo a quello soggettivo, magari ricomposta su di un piano di lotta sindacale.
La realtà ci ha detto che questo nodo per essere affrontato necessita di sviluppare un processo di costruzione concreto di una prospettiva di potere, pur partendo e confrontandosi con la condizione di estrema difesa che impone sì, una riarticolazione dell'iniziativa operaia e proletaria lì dove si esprime sul terreno immediato, ma che fonda la sua forza strategica nella costruzione degli strumenti politici ed organizzativi necessari a perseguire il processo di emancipazione dallo sfruttamento capitalistico.
Il problema è sempre quello: o nella lotta proletaria ci si fa carico dell'inconciliabilità degli interessi in campo e quindi della necessità di superare i limiti immediati con un progetto di messa in discussione, rottura e superamento del sistema di sfruttamento, o i movimenti di classe rimarranno prigionieri della prospettiva borghese e quindi posti in una condizione di costante subalternità legati al loro ruolo di forza-lavoro.
Per questo non si tratta semplicemente di “riunificare” la classe attraverso delle piattaforme sui “bisogni di classe”, per quanto generalizzanti possano essere, ma si tratta di porre e costruire il problema della riunificazione di classe su un terreno politico, unico in grado di far avanzare la classe stessa da un punto di vista strategico e liberarla dalle catene del lavoro salariato.
La spinta alla costruzione di “un fronte di classe” che lo sciopero del 11 ottobre vorrebbe evocare, in siffatta maniera e su siffatte basi, rischia, alla meglio, di essere una operazione “centrista”, densa di contraddizioni per l'avvenire e che esalta i limiti del momento riformistico.
Non basta per questo richiamarsi alla necessità di far vivere l'anticapitalismo nelle lotte, o per altro verso, ad inneggiare attraverso slogan alla necessità della rivoluzione.
Anticapitalismo come punto di programma, e rivoluzione come prospettiva strategica da costruire, si devono raccordare concretamente alle lotte che emergono sul piano delle rivendicazioni materiali.
Devono essere elementi costitutivi che innervino la coscienza di classe, fuori dalle secche di un rivendicazionismo che, se pur generoso, non riesce ad uscire fuori dalla prospettiva, nel migliore dei casi, di un temporaneo miglioramento, ma tutto interno a questo sistema e, per la maggior parte delle volte invece, si rompe la testa contro il muro delle compatibilità capitalistiche.
Oggi che una serie di questioni vanno a stringersi e ripresentarsi con forza, come è tipico delle fasi di “passaggio” di crisi acuta che li rendono impellenti e ne ravvivano lo spessore e l'importanza, devono perciò essere rimesse al centro del lavoro d'avanguardia, non in astratto ma sulle gambe della concretezza politica. La costruzione di una prospettiva di alternativa rivoluzionaria nei ridotti operai e di classe, per non essere tema altrettanto astratto, pone con sé contemporaneamente, se pur su piani diversi, il problema della costruzione degli strumenti politico-organizzativi di intervento dei comunisti nella classe e quello dell'articolazione di una linea tattico-strategica che sappia capitalizzare in avanti i risultati della lotta di classe, ovvero trasporli sul piano politico del conflitto. Ciò pone il problema centrale del Partito.
Problema eluso e mille volte aggirato, o perché s ritenuto inutile anche misurandolo con le degenerazioni di ogni tipo che sono nel tempo maturate su questo terreno, o perché ritenuto storicamente non più necessario.
Per cui c'è il rischio concreto che proprio i caratteri e le logiche inerenti all'attività “sindacale”, fagocitino e digeriscano, anche sull'onda delle scelte di ordine generale e di manovre “tattiche”, questi problemi, con il rischio di bloccare un ulteriore sbocco positivo al dibattito.
Come si vede, i problemi sono molteplici e di grosso spessore.
Siamo ancora in una prima fase di passaggio della più complessiva ristrutturazione economico-sociale messa in campo dal capitale. Ciò che è certo è che questo processo ha smosso il terreno su cui era posizionato il sindacalismo di base. Ciò che è altrettanto vero è che lo sciopero del'11 ottobre, pur nella sua unitarietà, si colloca su un terreno di difensiva di queste precedenti condizioni.
Ripropone in forma amplificata un programma “riformista”, la cui funzione di “leva” della lotta di classe finisce per scontrarsi proprio con il quadro di compatibilità ed assetti di potere a garanzia di questi, che vorrebbe velleitariamente combattere.
Dal nostro punto di vista, pur guardando a questi eventi, alle ragioni materiali che li producono, e all'approccio soggettivo che ne determina il carattere sociale e politico, continuiamo a ritenere necessario nella classe un lavoro di sedimentazione rivoluzionaria capace di legarsi alle lotte reali e funzionale ad un lavoro di costruzione dell'alternativa a questo sistema nella classe.
EGBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #09-10
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