Alcune considerazione sulla guerra di invasione russa in Ucraina

Siamo nel bel mezzo della guerra (cominciata il 24 febbraio 2022) e lo scenario non è ancora ben delineato, sia per una soluzione negoziale che per una ulteriore penetrazione russa in terra di Ucraina con tutti i rischi del caso, ovvero di una dilatazione della guerra su scala europea, se non internazionale. Allo stato attuale delle cose, sembrerebbe che la Russia non abbia intenzione di “conquistare” l’Ucraina, ma di portare a termine i suoi obiettivi. In pratica, riconoscimento della penisola della Crimea come territorio russo a tutti gli effetti. Sicurezza per la distribuzione del suo gas e petrolio attraverso il territorio ucraino, autonomia delle repubbliche del Donbas e smilitarizzazione (denazificazione) del governo ucraino. Rivendicazioni che, se accettate, sarebbero la base per una seduta negoziale a qualsiasi tavolo e con qualsiasi interlocutore.

Putin sul concetto di denazificazione del governo ucraino ha giocato molto a giustificazione dell’aggressione al Governo di Zelenskyi, denunciando il ruolo del Battaglione Azov, che ha avuto un ruolo determinante dei fatti di Maidan (2014), che hanno portato alla guerra civile, alla destituzione del presidente filo russo Yanukovich, macchiandosi di crimini contro l’umanità.

Il battaglione Azov

Questa formazione militare è composta da elementi dichiaratamente nazisti ucraini, ma anche provenienti dalle destre estreme di molti paesi dell’est europeo e da ceceni. Una sorta di internazionale nazista al soldo del governo ucraino e, in più di una occasione, della stessa Nato.

L’organizzazione nasce nel maggio del 2014 in occasione delle rivolte contro Yanukovich, miscelando tutti gli elementi nazisti ucraini sotto il comando di Andriy Biletsky, noto combattente nazista che è stato alla guida della conquista di Mariupol (nel 2014) e del crollo del regime filo russo. All’epoca, il Battaglione Azov contava non più di 2000 elementi, oggi se ne contano più di 10 mila, comprendendo il partito “Corpo Nazionale” e tutta quella galassia di strutture paramilitari dell'ultra destra che hanno da sempre affiancato l’esercito regolare dai fatti da Maidan in poi. In quel periodo, questa forza militare, oltre ad essere mossa da ideali neonazisti con lo scopo di creare uno stato a sua immagine e somiglianza, si “esercitava” con aggressioni a migranti, omosessuali, antifascisti e sostenitori del governo di Yanukovich.

Secondo alcuni rapporti OSCE, il Battaglione Azov si sarebbe macchiato anche di crimini contro la popolazione russofona del Donbas. Per l’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU, il solito Battaglione si sarebbe reso interprete di stupri, di assassinii, sempre nella regione del Donbas, sia prima che dopo il 2014, usufruendo, dopo questa data, di una assoluta immunità concessagli dal nuovo governo ucraino di Poroshenko e dalle alte sfere delle Forze Armate, con tanto di plauso da parte dell’allora Ministro degli Interni.

Secondo le agenzie di Open Democracy, i soldi per dare vita nel 2014 al Battaglione Azov sono arrivati da più parti. Dall’interno, grazie ai munifici contributi di un paio di oligarchi miliardari che rispondono ai nomi di Igor Kolomoisky e di Serhiy Taruta, entrambi originari della regione di Donetsk e irriducibili nemici del governo di Yanukovich. Dall’estero, attraverso aiuti finanziari di organizzazioni sorelle europee e americane, nonché dallo stesso Pentagono.

Ovviamente, l’organizzazione ha sempre negato l’etichetta di “nazismo”, ma contemporaneamente ha adottato come suo simbolo la Wolfsangel che, prima della svastica, era il simbolo usato dalla SS. Oggi sotto il governo Zelensky il Battaglione è ufficialmente inserito nei ranghi della Guardia Nazionale, pur godendo di una autonomia organizzativa applicata ai “lavori sporchi”, quali attentati e pulizia etnica.

I rapporti con gli Stati Uniti

Come al solito, i governi americani hanno tenuto un doppio binario nei confronti delle forze neo naziste ucraine. Nella fattispecie, dopo i tragici fatti di Maidan, l’allora governo Obama aveva solennemente dichiarato che mai e poi mai gli Usa avrebbero strizzato l’occhio a forze di ispirazione nazista e che, quindi, nessun appoggio sarebbe stato dato al nuovo regime ucraino nato con l’aiuto determinante di simili milizie (2015). Ma solo un anno dopo lo stesso Obama, in sintonia con le “necessità” strategiche espresse dal Pentagono, si rimangiò tutto arrivando a sostenere militarmente le frange di destra ucraine e dando loro copertura politica. La nuova politica della gestione Obama durò sino al 2018, quando sembrava che la situazione si fosse stabilizzata in favore di un governo filo occidentale. L’annuncio di non collaborare più con il Battaglione Azov e con le altre formazioni militari dell’estrema destra ucraina venne riportato dal TIME, che concludeva con una perentoria assunzione di “responsabilità” da parte degli Usa, in base alla quale mai più il Pentagono e le forze NATO avrebbero addestrato, finanziato e armato il Battaglione Azov. Ma questo è avvenuto sino all’invasione russa dell’Ucraina, quando gli addestramenti sono ripresi e tutto è ritornato come prima.

Su questo Putin ha costruito la giustificazione all’invasione dell’Ucraina per la difesa delle popolazioni russofone del Donbas e per combattere il revanscismo nazista coperto dal governo di Kiev.

Le vere ragioni dell’invasione

Tutto vero, relativamente alla presenza nazista. Sempre ben accette le intrusioni dei nazisti all’interno delle strutture militari ufficiali dell’esercito ucraino. I crimini commessi dal Battaglione Azov e gli aiuti della NATO fino al 2018 e poi riprese in occasione dell’invasione russa in Ucraina sono lì a dimostrarlo. Tutto vero, ma Putin si dimentica di dire due cose. La prima è che anche la Russia, a guerra scoppiata, è stata percorsa da forze nazionalistiche che definirle soltanto conservatrici è un eufemismo. Che la sua carica di presidente a vita assomiglia più a quella di uno Zar che di un presidente “democraticamente” eletto. Se in Russia ci fossero, e ci sono, forze militari o paramilitari (i contractor della Wagner) non esiterebbe, come infatti accade in Russia e all'estero, a farne uso e consumo in abbondanza in chiave difensiva o di aggressione verso altri paesi. Non va dimenticato nemmeno che Putin ha usato nel Donbas forze nazionaliste fasciste pur di controllare e “difendere” le popolazioni russofone dagli attacchi dei nazisti ucraini. Ma non è qui il punto. L’imperialismo russo si muove dove può e dove gli è necessario, senza remore ed esclusione di colpi sino ad inscenare un episodio di guerra in Europa con i rischi di cui abbiamo denunciato l’estrema gravità, non ultima una guerra generalizzata, se una soluzione negoziale non dovesse intervenire per tempo. La propensione di Mosca è dichiaratamente quella di ricavarsi uno spazio nell’agone imperialistico mondiale caratterizzato da più poli imperialistici in competizione tra loro sui mercati del petrolio, del gas, delle materie prime strategiche. Sul piano della competizione industriale, sul controllo dell’estrazione delle terre rare e delle miniere di carbone, ma anche per guadagnare spazi strategici che le consentano di affrontare gli avversari in una posizione di vantaggio, anche soltanto da un punto di vista difensivo.

Nei fatti lo scontro vero è tra la Russia e gli Usa, scontro combattuto sul territorio ucraino. L’offensiva di Mosca nei confronti del governo Zelensky non ha alcun legame con il Battaglione Azov, strumentalmente evocato. Le vere ragioni risiedono nell’obiettivo di continuare ad essere il fornitore unico di gas e petrolio dell’Europa, sino a quando glielo consentono. Di imporre l’accettazione di fatto e di diritto da parte della Comunità internazionale, che la Crimea sia, a tutti gli effetti, territorio russo. Di sostenere l’autonomia delle due repubbliche indipendentiste del Donbas in quanto russofone e desiderose di riallacciarsi alla "madrepatria" (nota a margine, nel Donbas ci sono le miniere di ferro e di carbone). E soprattutto non consentire né adesso né mai che l’Ucraina diventi membro della Nato. Per Putin una simile prospettiva significherebbe la chiusura del suo accerchiamento da parte della NATO, ovvero da parte degli Usa. Ipotesi che Mosca non può nemmeno prendere in considerazione, pena il ritrovarsi una serie di batterie di missili puntate sui propri obiettivi sensibili. Il gas e il petrolio sono importanti, ma se le vicende imperialistiche dovessero far chiudere i rubinetti, per Mosca è aperta la strada dell’oriente. Cina in primis, però anche Bangladesh e India potrebbero rimpiazzare l’assenza di domanda europea. Ma se i missili americani dovessero arrivare nelle mani di Kiev, per Mosca sarebbe un rischio che in nessun caso vorrebbe correre.

La strategia russa non è certo quella di “conquistare” l’Ucraina, ma (prima ipotesi) quella di arrivare ad un tavolo delle trattative partendo da una posizione di forza che avrebbe soltanto attraverso un accerchiamento delle maggiori città ucraine, il possesso di porti nel Mar Nero, con la minaccia di andare oltre se non venissero accolte le sue richieste (sempre le stesse: annessione definitiva della Crimea, autonomia delle repubbliche del Donbas, no all’Ucraina nella NATO). Oppure (seconda ipotesi), sarebbe quella di una più profonda incursione nei territori ucraini che determinerebbe una reazione NATO, con il rischio che la guerra si allarghi all’Europa, avendo alle spalle l’appoggio americano. Al riguardo Biden, promotore delle sanzioni finanziarie e petrolifere contro Mosca, per non spaventare gli europei, Germania innanzitutto, ha chiesto al Qatar e al nemico Maduro del Venezuela di rifornire di gas e petrolio l’assetata Europa, non essendo in grado gli Usa, come più volte millantato, di sostituire le risorse energetiche russe con quelle americane. Ancora oggi gli Usa importano il 20% del loro fabbisogno energetico proprio dalla Russia. “Dulcis in fundo” (terza ipotesi), rimane il pericolo di una guerra mondiale che tutto distrugga per tutto ricostruire, il tutto sempre in nome del profitto sotto le bandiere del nazionalismo più reazionario, della difesa della democrazia, o contro le dittature, che tali sono solo se si guardano quelle che prosperano nei paesi avversari.

Mosca sta giocando le sue carte imperialistiche a 360 gradi. A parte la guerra d’Ucraina giocata sulle pelle del popolo e del proletariato ucraino, oltre che del suo, mandato a combattere contro i loro stessi compagni di classe, proletari contro proletari, in nome di due nazionalismi e degli interessi economici che ne stanno dietro, c’è la sua presenza in Libia e in Siria in contrasto con l’alleato avversario Turchia. C’è la presenza russa in centro Africa e nel Sahel sub sahariano, con la presenza militare dei contractor della banda Wagner in contrasto con “l’alleato cinese”, con la Francia e i soliti Stati Uniti.

Nella fase di decadenza del capitalismo mondiale, gravato da pesanti problemi di valorizzazione del capitale dovuti a saggi di profitto sempre più bassi, le guerre comunque combattute, per procura, in prima persona (Russia-Ucraina) o in un conflitto diretto e generalizzato tra le maggiori centrali imperialiste mondiali deve avere una sola risposta. Se la vera tragedia è l’imperialismo, figlio legittimo delle contraddizioni capitalistiche con il loro tragico fardello di guerre, morte, devastazioni sociali, ambientali, migrazioni e tutti i fattori “collaterali” del caso, non esiste pacifismo che possa fermare la barbarie della guerra comunque giustificata. Né vale schierarsi su di un fronte dello scontro bellico in nome della difesa del più debole o scegliere quello più forte, l’aggressore, perché condizionati da una impostazione ideologica falsamente di “sinistra”, che mai, tanto meno in questo caso, ha ragione di esistere. O le masse sfruttate che oggi sono sotto il pesante giogo degli interessi borghesi, nazionali e imperiali, si sollevano - organizzate nel loro partito di classe, al fine di dare vita alla distruzione di questa ormai astorica società basata sullo sfruttamento e sulla ricerca del massimo profitto - o la barbarie capitalista continuerà. Oggi, come sempre, non è all’ordine del giorno se schierarsi da una parte o dall’altra degli schieramenti imperialistici o delle rispettive fazioni borghesi, ma di organizzarsi per essere contro la guerra imperialista. Guerra alla guerra. Guerra di classe contro la guerra dello sfruttamento e della morte, per una società che non abbia come perno l’iniquo rapporto tra capitale e lavoro ma una organizzazione produttiva basata sul soddisfacimento dei bisogni sociali e non del profitto, che è alla base di tutte le contraddizioni del capitalismo, guerre comprese. Quest’ultimo episodio russo-ucraino ne è l’ennesimo tragico esempio.

FD
Venerdì, March 11, 2022