Ricordando il 7 novembre del 1917

Pubblichiamo un'altra corrispondenza sull'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, non per amore accademico delle ricorrenze né perché crediamo che il prossimo “assalto al cielo” si ripeterà tale e quale (è persino banale dirlo), ma per ricordare che un “altro mondo” è davvero possibile, purché si ricomponga il legame dialettico tra la classe, le sue avanguardie di lotta e la sua avanguardia politica, internazionale e internazionalista.

Oggi non è una ricorrenza, oggi è LA ricorrenza. Oggi ricordiamo il giorno in cui le parole, dette o scritte, si trasformarono in azione. Oggi è il giorno in cui 105 anni fa, gli insegnamenti non restarono sui libri ma diventarono fucili, guardie rosse, slancio, corsa, sudore, urla, assalto, conquista. Di li a poco i bolscevichi vittoriosi avrebbero decretato la fine della guerra e il passaggio dei pieni poteri ai lavoratori, e avrebbero annunciato ai borghesi sconfitti che da quel giorno non comandavano più sul resto del popolo russo.

Il 7 novembre 1917 segna l'inizio di un tentativo di costruire qualcosa che purtroppo è stata di breve durata e che di lì a poco avrebbe lasciato il passo al tradimento di quelle che erano le intenzioni di ogni singolo partecipante a quella giornata, dal dirigente e quadro di partito alla guardia rossa che corre verso il Palazzo d'Inverno: la costruzione di una società senza classi né frontiere, il comunismo.

Quello che arrivò dopo quel tentativo, si resse invece per molti anni proprio sulla divisione in classi della società, sulla sostituzione del potere di tanti padroni con quello di uno solo chiamato Stato, e su frontiere e confini che invece di sparire dappertutto tendevano ad allargarsi e a rinforzarsi sempre di più. Ma di quello che è accaduto poco dopo quel giorno, oggi ci deve interessare poco. Guardiamo ancora dopo 105 anni alla giornata di oggi come esempio di qualcosa che vogliamo ripetere e stavolta senza permettere ai rinnegati di sporcare di fango la nostra bandiera. Tra tutti i giorni dei 365 che ci sono in un anno in cui andrebbe sventolata con orgoglio ce ne sono due in particolare che spiccano sopra gli altri: uno è il 1 maggio, la nostra festa, quella di chi vende le proprie braccia e la propria mente ad altri che ne traggono un profitto; l'altra é oggi.

Non è stato un fatto locale, ma di portata mondiale, e non riguardava solo il proletario di Pietrogrado, ma anche quello di Berlino, Budapest, Torino, Chicago, Tokio, Buenos Aires, Shanghai...

Perché comuni sono ancora i nostri interessi al di là del paese dove siamo nati, comune è il nemico in tutto il mondo, comune è la proprietà delle macchine per produrre che noi vogliamo sostituire a quella privata di chi dopo averle comprate col profitto che noi gli garantiamo, se ne serve per sfruttarci ancora e ancora e per intascarsi la differenza. Con tutte queste cose che hanno a che vedere con la parola "comune", non potevano che chiamarci comunisti.

Questo è il nostro giorno. E quella è la nostra Rivoluzione.

7 novembre 2022

FC

Martedì, November 8, 2022