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Home ›CONCENTRAZIONI FINANZIARIE E BANCARIE
Il fenomeno – particolarmente ingigantitosi negli ultimi decenni e riguardante fusioni, acquisizioni e alleanze strategiche fra banche anche di Stati diversi – ha riguardato gran parte del mercato del credito e attuato una importante trasformazione morfologica del sistema bancario internazionale. Con dirette conseguenze sulla dilagante finanziarizzazione del capitalismo.
Prima della crisi del 1929, enormi masse di denaro in deposito erano state immobilizzate in prestiti industriali a lungo termine; le difficoltà per una loro valorizzazione e l'impossibilità di restituirle ai legittimi creditori, portò poi al fallimento di molte banche. Negli Usa, con lo Steagall-Glass Act del 1933, l'attività creditizia fu separata da quella di investimento (in Italia questo avvenne con la Legge Bancaria del 1936); l'abrogazione ufficiale di questa regolamentazione avvenne nel 1994 in Italia e nel 1999 negli Stati Uniti. Da allora un medesimo gruppo bancario poteva svolgere le due attività, commerciale e d'investimento; in seguito si sono sviluppati dei veri e propri "conglomerati finanziari" svolgenti anche attività assicurative (sulla vita o fondi mutui). Sarebbe seguita una notevole flessibilità e capacità di movimento nei mercati finanziari, con reti internazionali e strumenti anonimi.
Al fondo dei processi di concentrazione interessanti il settore finanziario, emerse la necessità di contrastare la caduta del saggio del profitto anche nell'organizzazione dei servizi finanziari, dove – come è ben noto – ci si appropria di parte del plusvalore prodotto altrove. In quelli produttivi si riducevano i costi di produzione e si intensificò la pratica dell'economia di scala, a cui si aggiunse il bisogno di aumentare la disponibilità di capitale monetario per sostenere i processi di ristrutturazione aziendale.
Si sono rafforzati così giganti industriali che col loro potere di mercato, molto vicino a quello di un oligopolio, dominano anche la scena finanziaria (settore bancario, finanziario, assicurativo) gestendo la maggior parte delle quotazioni in Borsa, emissioni obbligazionarie, fusioni e acquisizioni transnazionali.
Aveva ragione Marx: il sistema del credito è «un'arma nuova e terribile nella lotta della
concorrenza trasformandosi infine in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei
capitali». Aggiungendo che «contemporaneamente alla caduta del tasso di profitto, aumenta il volume minimo di capitale che è necessario al capitalista individuale per la messa in opera produttiva del lavoro_» (Il Capitale).
Questo significa che il mercato nazionale e internazionale dei capitali è pronto a fornire risorse finanziarie ad una sola e precisa condizione: dall'operazione si devono trarre guadagni "adeguati" alla valorizzazione del capitale investito. E qui il cerchio si chiude sulla concessione di crediti, mentre si ampliano le attività finanziarie e speculative e qualunque altro canale in grado di fornire al capitale una "giusta" valorizzazione. Possibilmente anche nel più breve lasso di tempo.
Sovraccumulazione di capitali e speculazione (tanto finanziaria quanto legata all’acquisto- accaparramento di materie prime e di acquisto-vendita di immobili) camminano quasi di pari passo. La Borsa americana è stata ed è tuttora uno degli esempi più significativi di “bolle speculative”. A livello mondiale la massa del capitale fittizio è enormemente superiore alle transazioni reali di beni e servizi: i flussi finanziari internazionali si moltiplicano di anno in anno; le negoziazioni di titoli raggiungono migliaia di miliardi. Negli Usa la capitalizzazione di Borsa supera di quasi 2 volte il Pil. (“Quella dell’indice principale di Wall Street, lo S&P 500 è stata di 42.000 miliardi di dollari, quasi il doppio del Pil statunitense”). (La Stampa 4 marzo 2024); il debito mondiale complessivo (Stati, famiglie e imprese) cresce a ritmi spaventosi; nel 2023 ha battuto tutti i record, arrivando al 300% del pil mondiale, 313 trilioni di dollari (313 mila miliardi), contro un Pil globale di 105 trilioni ovvero 105 mila miliardi. Nel solo 2023 l'aumento del debito globale è stato di 15 mila miliardi di dollari (Ved. La Stampa del 21 febbraio 2024); cioè oltre il 75% del Pil cinese. Una massa di “risparmio” uguale all’intero Pil mondiale è gestita da enti finanziari (fondi pensione, fondi d’investimento, compagnie di assicurazione e fondi speculativi). Un sistema finanziario sospeso su un precipizio nel quale potrebbe precipitare tutta l’economia capitalistica.
Rafforzamento del settore bancario
Mentre il settore industriale entrava in serie difficoltà, quello bancario accentuava il suo sviluppo, realizzando agli inizi del Duemila diverse centinaia di miliardi di dollari di guadagno, a spese del plusvalore proveniente dallo sfruttamento nel settore industriale. Intanto subiva una forte crescita l'indebitamento delle imprese con le Banche, a seguito della aumentata competitività e quindi della necessità di introdurre costose innovazioni tecnologiche nei processi produttivi. Molto concretamente, s’ingrossava quel capitale finanziario di cui Hilferding aveva ai suoi tempi segnalato la presenza con le prime integrazioni di capitale bancario e capitale industriale. I movimenti – al ribasso- del saggio del profitto nel settore industriale, dirottavano gli "investimenti" di capitale verso la speculazione finanziaria e le Borse.
Valori puramente artificiosi
Le Banche sono così diventate punto di raccolta e di concentrazione del capitale fittizio (titoli di credito, titoli di Stato eccetera). Montagne di carta raffiguranti un valore puramente artificioso; anche se in parte alcuni di questi titoli rappresentano un valore effettivo del capitale, il loro valore monetario si regola in modo indipendente. In massima parte essi rappresentano solo dei semplici diritti sui proventi e questo capitale fittizio subisce quindi continue modificazioni.
Nel frattempo, prende forza una classe di creditori di Stato che preleva a suo favore una parte del gettito fiscale. L'accumulazione dei debiti pubblici appare addirittura come un'accumulazione di capitale! Ma i titoli di credito, rilasciati in cambio del capitale versato e speso, altro non sono che duplicati cartacei di un capitale distrutto, anche se per chi li possiede sono denaro, come fosse “merce” vendibile.
Lo sviluppo e la continuità dei processi di riproduzione continua però a reclamare una parte crescente del capitale sociale nella forma di denaro, di capitale monetario. Una forma di esso si presenta come capitale produttivo d'interesse. Accanto al capitale reale cresce sempre più quello fittizio, con attività speculative di cui fanno parte investitori istituzionali, società finanziarie e di assicurazione, gestori di fondi d'investimento e di fondi pensione. Questo movimento si fa autonomo e nella ricerca di facili guadagni opera speculativamente sulle quotazioni dei titoli, con anticipate valutazioni che non hanno alcun nesso con i reali guadagni che l'attività produttiva, rappresentata da quei titoli, potrà ottenere.
E’ evidente il formarsi di un castello di carte, di titoli che passano di mano in mano come fossero merci perdendo ogni riferimento col valore di un capitale produttivo di merci, che si presume essi rappresentino. Si tratterebbe semmai di futuri guadagni: se non saranno pagati, in anticipo, il castello si sgretola di fronte al fatto concretamente visibile della inesistenza di un minimo legame con una produzione di merci, presente o futura. Lo stesso nei riguardi dei titoli sul debito pubblico, che non sono altro che capitale fittizio, una massa monetaria già spesa o da spendere senza profitti e che quindi non è in grado di alcuna valorizzazione.
L'industria... finanziaria
L’industria finanziaria si è illusa di diventare un possibile campo di produzione di plusvalore, ma non ha potuto far altro se non appropriarsi di parte del plusvalore creato nel settore industriale. Il capitale finanziario, coi suoi strumenti informatici, regole statistiche e modelli matematici, ha formato un groviglio inestricabile di giochi d’azzardo che rivelano quale sia il “vero scopo sociale” verso il quale si indirizza il capitalismo ai tavoli di un colossale oligopolio finanziario mondiale. Il quale senza essere garantito dallo sfruttamento di vivente forza-lavoro, corre il rischio, molto concreto, di essere travolto.
Mentre l’esposizione debitoria generale è fuori da ogni possibile controllo, è più che evidente il rischio delle continue oscillazioni del mercato finanziario mondiale e dei possibili fallimenti. Le Banche affogano in un oceano di di derivati basati su altri derivati, a loro volta costruiti sopra derivati. Ricchezze cartacee estremamente volatili, vendute e rivendute in un traffico che agita il mondo dei commercianti di denaro e le loro illusioni monetariste, che muovono gli astratti prodotti finanziari come fossero concrete merci.
Siamo precipitati in un caotico movimento di circolazione ed espansione finanziaria dove il capitale divora il plusvalore estorto nei processi produttivi ai lavoratori salariati. Siamo entrati nel circolo illusorio di una impazzita dinamica finanziaria del denaro, nella illusione di creare artificiosamente il movimento di enormi masse di liquidità senza alcun loro riferimento con la produzione e vendita di merci. Niente altro che lo spostarsi di mano in mano di cumuli di carta straccia e altrettante cataste di “titoli truffa”.
Globalizzazione del sistema finanziario
In possesso, nelle loro riserve, di diverse migliaia di miliardi, le Banche Centrali preferiscono, a tutt’oggi, agganciarle al dollaro che dalla fine della seconda guerra mondiale si è imposto come valuta internazionale. Attorno ad esso girano vorticosamente gli affari speculativi dei fondi di private equity e degli hedge funds (fondi d'investimento al massimo rischio, con società a responsabilità limitata che operano senza scrupoli con capitali privati in campi diversi.)
La globalizzazione finanziaria alimenta un incessante movimento di capitali su scala planetaria. Si tratta di miliardi di dollari che creano un caotico vortice che getta nel caos i presupposti minimi del valore di scambio, quello che ancora sostiene in vita il capitalismo. Ma i suoi millantati equilibri e supposte razionalità, stanno vacillando.
L’egemonia esercitata dal dollaro nel suo utilizzo come prevalente mezzo di pagamento (1) internazionale e valuta di riserva procura agli Usa una rendita finanziaria che si calcola in diverse centinaia di miliardi di dollari all’anno.
Il capitalismo americano ha goduto di una accumulazione basata dapprima su una enorme produzione di merci e poi – a seguire – è subentrata una gigantesca circolazione di capitale fittizio, consistente in un giro di azioni e di Buoni del Tesoro coi quali gli Usa coprono i deficit del bilancio statale, comprese le spese militari. Tensioni negli investimenti produttivi, molti quelli speculativi, con una centralizzazione di capitale finanziario e un aumento della capitalizzazione di Borsa che ha qui ben mascherato la bassa crescita dell’economia negli Usa, incentratasi nei guadagni provenienti dalle attività legate ai processi di circolazione dei capitali più che da quelle derivanti dalla produzione/vendita di merci, con la presenza di grandi masse monetarie in dollari e il riciclaggio dei petrodollari.
Un’ultima nota su quel Keynes che – di fronte alla crisi - suggeriva di aumentare la spesa pubblica, senza preoccupazioni per il deficit statale, poiché l’importante era aumentare la domanda totale sia per i beni d’investimento sia per quelli di consumo. La domanda andava quindi manovrata con appositi interventi stimolanti da parte del governo; l’importante era mantenere un livello di produzione tale da consentire un riassorbimento della forte disoccupazione. Il Presidente Roosevelt varerà – prima di Keynes - piani di investimento nel settore delle infrastrutture; misure che si rivelarono insufficienti per la ripresa di un ciclo espansivo che si concretizzerà soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale e a seguito delle sue enormi distruzioni materiali. Poi fu la volta della guerra di Corea (1950-53) e poi del Vietnam: gli Usa si appoggiarono sulla produzione dell’industria bellica, con una spesa sempre in aumento.
Un quadro che – oggi – si sta riempiendo di altre macerie e sangue. Affinché questa “sfida epocale” (così la si presenta) diventi la fine del dominio capitalista nel mondo, prepariamo la classe operaia e il suo partito all’ultima spinta che affonderà il capitale nella fossa che la vecchia talpa non cessa di scavare.
DC
Ad oggi, quasi il 60% delle riserve di valuta estera delle Banche Centrali del mondo sono investiti in attività denominate in dollari; quasi tutti i contratti sulle materie prime, compresi quelli sul petrolio, sono prezzati e regolati in dollari; infine, il dollaro è utilizzato per denominare e regolare oltre il 40% delle transazioni finanziarie internazionali.
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