Palestina: proletariato e masse diseredate sempre più inghiottite nel tritacarne imperialista

Una situazione che fino a pochi anni fa si poteva ritenere inimmaginabile, più di due milioni di persone sotto assedio, ridotte alla fame, private dei beni essenziali e sottoposte ad indiscriminati bombardamenti, rappresenta la realtà quotidiana che sta vivendo in questo momento la popolazione di Gaza; un quadro che potrebbe richiamare alla mente gli assedi medioevali o rinascimentali, solo che a cingere le mura in questo caso non ci sono feroci barbari o lanzichenecchi, ma l’esercito della democratica Israele, supportata dal “paladino del mondo libero”, ossia la potenza statunitense.

Lo stato democratico ancora una volta getta la maschera e mostra la sua vera natura, quella strumento di dominio della borghesia; diritti civili ed internazionali possono tranquillamente essere ignorati e calpestati, ospedali e popolazione civile possono diventare facili bersagli di droni ed aerei da combattimento, se tutto questo risulta necessario e funzionale al raggiungimento dei propri obiettivi imperialistici (1).

I dati del conflitto gettano una parziale luce sulla tragica condizione della Striscia di Gaza: dall’inizio delle ostilità, il 7 ottobre 2023, sono stati uccisi 53.500 palestinesi, tuttavia, considerando i dispersi, le vittime potrebbero salire a 70.000. I feriti sono circa 122.000 (2).

Secondo i dati del ministero della salute palestinese i minori uccisi sono 16.500, di cui 916 quelli con meno di un anno, 4.365 quelli di età compresa fra uno e cinque anni, 6.101 tra sei e dodici e 5.124 quelli tra tredici e diciassette (3). I bambini feriti, facendo riferimento ai dati raccolti fino a marzo 2025, erano circa 33.900, gli orfani si stima siano circa 20.000 (4) Le donne vittime del conflitto, secondo i dati raccolti dall’agenzia internazionale Un Women, sarebbero almeno 28.000 (5).

Tragica è anche la condizione dei detenuti nelle carceri israeliane; il numero dei palestinesi imprigionati è più che raddoppiato dall’inizio del conflitto (secondo l’organizzazione per i diritti dei detenuti “Addamer”, sono attualmente presenti quasi 10.000 palestinesi nelle carceri) (6). Le condizioni sono terribili: torture, sevizie e umiliazioni rappresentano la regola e non l’eccezione nella vita carceraria (7). Non è possibile incontrare famigliari (che spesso ignorano anche lo stato di detenzione), avvocati o medici. Dal 7 ottobre 2023 sono deceduti almeno 70 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane (8).

Altra vittima del conflitto è indubbiamente l’informazione (“In guerra la verità è la prima a morire” ci ammonivano gli antichi); dall’inizio delle ostilità a nessun giornalista straniero è stata concessa l’autorizzazione ad entrare nella striscia di Gaza. Dalle informazioni raccolte dal sindacato dei giornalisti palestinesi ben 210 operatori dei media sono stati uccisi, 390 feriti e 49 arrestati dalle autorità israeliane. Secondo il Cpj (Committee to protect journalist), organizzazione che indaga sulla morte dei giornalisti a livello internazionale, sono almeno 15 le soppressioni sicuramente intenzionali (9). Nel corso degli ultimi decenni in nessun altro conflitto sono stati uccisi così tanti operatori dell’informazione. Ben 143 redazioni sono state inoltre distrutte nel corso dei Raid israeliani.

Ingenti sono anche i danni alle infrastrutture, alle abitazioni e a tutti i luoghi che possono costituire un rifugio per una popolazione ormai stremata; dalle analisi satellitari delle Nazioni Unite risulta che 60.368 edifici abbiano subito una completa distruzione, 20.050 siano stati gravemente danneggiati e 90.394 parzialmente danneggiati. Circa il 69% delle 245.000 unità abitative ha quindi subito danni di diversa entità (10).

Sempre le immagini satellitari dell’Onu hanno messo in evidenza come circa l’80% delle terre agricole della Striscia sia andato distrutto o risulti inaccessibile a causa dei raid israeliani. Le fattorie, le infrastrutture agro-alimentari ed i porti sono stati in gran parte rasi al suolo. Tutti i progressi faticosamente raggiunti, malgrado le scarse risorse, per ottenere una parziale indipendenza alimentare sono stati praticamente azzerati. (11).

Altro target dei raid israeliani è rappresentato delle strutture sanitarie ed ospedaliere; dall’inizio del conflitto a metà aprile di quest’anno ben 36 ospedali sono stati colpiti dall’esercito, riducendo la capacità di assistere e curare pazienti e feriti ad un terzo rispetto a quella garantita prima del 7 ottobre 2023. (12). Si tratta di una situazione, ovviamente, in perenne divenire: il 15 maggio 2025 bombe israeliane hanno colpito la clinica al-Tawba, causando un massacro; l’Ospedale europeo, unico centro in grado di fornire terapie oncologiche (dopo la distruzione dell’ospedale dell’amicizia turco-palestinese), ha dovuto cessare ogni attività, nello stesso periodo, dopo ripetuti attacchi (13).

Dal 2 marzo 2025, inoltre, il governo israeliano ha imposto il blocco totale, per ben 78 giorni, sugli aiuti umanitari rivolti alla Striscia di Gaza, impedendo completamente l’accesso del cibo e dei beni di prima necessità. Questo ha fatto precipitare le già tragiche condizioni di vita della Striscia in una situazione disperata. Il ministro della salute palestinese ha reso noto che dall’inizio del conflitto al 5 maggio 2025 almeno 57 bambini sono morti per complicazioni legate alla malnutrizione e che altri 3500 bambini sotto i cinque anni rischiano di subire la stessa sorte (14).

Secondo il rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification pubblicato il 12 maggio 2025, “l’intera popolazione sta affrontando alti livelli di insicurezza alimentare acuta, con mezzo milione di persone (una su cinque) che affrontano la fame.” Secondo l’Onu dall’inizio dell’anno sono più di 9.000 i bambini ricoverati per malnutrizione acuta (15).

Dal 19 maggio alcuni convogli di aiuti hanno nuovamente fatto il loro ingresso nella Striscia ma per ora si tratta di una goccia in un oceano rispetto alle necessità della popolazione (per rendere l’idea, dal 19 maggio al 23 maggio sono entrati 90 camion, mentre prima della guerra ne passavano 500 al giorno) (16); una operazione di facciata, volta più a tranquillizzare le flebili proteste degli alleati che a rispondere alla crisi alimentare determinata e voluta dal governo stesso.

Attraverso il blocco si vogliono escludere le organizzazioni umanitarie internazionali sostituendole con un’agenzia statunitense (la Gaza Humanitarian Foundation) gestita da personalità americane del settore governativo-umanitario.

L’ubicazione dei nuovi centri di distribuzione alimentare dovrebbe contribuire a spingere i palestinesi verso sud, segregandoli in uno spazio ancora più angusto di quello attuale, prima del “volontario” allontanamento definitivo dal territorio; la fame come mezzo di guerra.

I pochi dati che abbiamo citato possono fornirci solo una pallida idea della tragica condizione di vita nella striscia di Gaza ma indicano chiaramente che le operazioni militari israeliane non si pongano come obiettivo prioritario né la liberazione degli ostaggi né la distruzione di Hamas (i cui vertici sono già stati decapitati da tempo); il bersaglio principale è rappresentato dall’inerme popolazione civile.

L'obiettivo ormai palese è quello di dare vita ad una nuova Nakba, all’espulsione del maggior numero di palestinesi possibile; le bombe, la fame, la distruzione di case, ospedali ed infrastrutture sono finalizzate a terrorizzare la popolazione, a renderle praticamente impossibile la sopravvivenza. L’operazione “carri di Gedeone”, iniziata formalmente da pochi giorni, con l’intensificarsi dei bombardamenti, dovrebbe comportare la conquista definitiva della Striscia da parte dell’esercito ed il completo controllo del territorio da parte del governo israeliano.

Anche in Cisgiordania, sebbene la situazione sia meno drammatica, bande di coloni, finanziati, armati e coperti dalle autorità governative, sistematicamente aggrediscono e minacciano le comunità rurali più piccole inducendole ad abbandonare il territorio; l’intermittente blocco delle vie di comunicazione, i furti di bestiame, la limitazione all’accesso alle fonti idriche ed ai pascoli fanno parte delle pratiche utilizzate per rendere insostenibile la vita degli abitanti palestinesi (17).

Il contesto regionale, parte integrante, quanto quello internazionale, del conflitto in atto, vede il cosiddetto Fronte della resistenza parzialmente sconfitto ed indebolito.

L’intervento militare israeliano in Libano, nella seconda metà del 2024, oltre a determinare migliaia di morti, ha decapitato la leadership di Hezbollah; nel paese dei cedri, anche grazie all’appoggio statunitense, le forze avversarie del gruppo sciita sono riuscite ad imporre un presidente, Joseph Aoun, favorevole al disarmo delle fazioni palestinesi presenti nel territorio di Hezbollah. Il peso del Hezbollah risulta pertanto decisamente ridimensionato, sebbene rappresenti ancora una delle forze meglio organizzate del paese.

La fine del regime Bashar al-Assad, oltre a sottrarre la Siria dall’influenza iraniana, ha privato il regime di Teheran dei corridoi terrestri necessari per far confluire le armi verso Hezbollah (corridoi, per altro, resi già inservibili dall’esercito israeliano). Il vuoto di potere dopo la caduta del regime ha inoltre consentito all’aviazione israeliana di bombardare le strutture militari del paese, distruggendone circa l’80% (18).

L’intervento militare in Libano e la caduta di Damasco hanno consentito all’esercito israeliano di consolidare la propria presenza nello strategico Golan e di occupare sia la fascia di “sicurezza” tra Libano e Siria che il versante siriano del monte Hermon. Praticamente le forze di Tel Aviv cingono Damasco a non più di 60 chilometri di distanza. (19).

Le operazioni militari israeliane da un lato sembrano condurre all’attuazione del progetto di espansione territoriale della “grande Israele” e dall’altro stanno ridefinendo i rapporti di forza nella regione mediorientale, colpendo i tentacoli dell’avversario iraniano (indebolendo, quindi, a livello internazionale, il fronte costituito dalla Cina, Russia e Iran).

Denunciare i crimini, per altro sotto gli occhi di tutti, dello stato israeliano (infinitamente superiore dal punto di vista militare e tecnologico alle milizie di Hamas) non significa aderire, più o meno criticamente, al fronte contrapposto; farlo significherebbe rinunciare al proprio terreno, quello della lotta di classe, per accettare di schierarsi con la propria borghesia.

Le masse oppresse, che sicuramente esistono in ogni nazione, nulla hanno da guadagnare identificandosi con la classe dominante locale. Chiedere al proletariato, alla classe lavoratrice e alle masse diseredate, di aderire e dare sostegno al movimento nazionalista, come anche la tragica esperienza palestinese sta dimostrando, significa condurle al macello.

La maggior parte delle forze della sinistra borghese sostengono che le lotte di liberazione nazionale siano anti-imperialiste; si dimenticano di dire che i movimenti di liberazione nazionale, per poter sviluppare il proprio apparato militare, la propria potenza di fuoco, devono necessariamente appoggiarsi ad uno degli schieramenti imperialisti esistenti (nel caso di Hamas i finanziamenti arrivano dal Qatar e gli armamenti dall’Iran, che fa parte del blocco imperialista russo-cinese). Come al solito l’imperialismo è identificato esclusivamente con il fronte avversario (30).

I rapporti imperialistici caratterizzano l’attuale fase di vita economica e politica a livello mondiale; il raggiungimento dell’indipendenza nazionale non metterebbe in alcun modo in discussione la rete di relazioni, inevitabilmente imperialistiche, che caratterizzano l’attuale stadio oligopolistico/monopolistico del capitalismo. La nuova nazione non potrebbe che conformarsi alla dinamiche economiche e politiche proprie dell’attuale fase di vita del capitale.

Il lavoro delle forze che si richiamano all’internazionalismo, al comunismo è esattamente l’opposto di quello dei movimenti nazionalistici; questi ultimi strumentalizzano le differenze culturali, religiose e di ogni altro tipo per dividere i lavoratori su base nazionale e porli al servizio degli interessi della propria borghesia (ovviamente per il bene della patria, del popolo o, in alcuni casi, per assecondare le volontà divine –riportiamo per l’occasione il motto di Hamas: “Il Corano è la costituzione, il Jihad è la strada, la morte per amore di Allah è il più alto dei desideri.”- “A Gaza la vera vittoria è quella politica.” Limes n. 4 2024).

La politica e la prassi comunista si possono basare solo sull’autonomia di classe, nel tentativo di unire i proletari di qualsiasi nazione e indirizzare la lotta contro la propria borghesia.

gs, 26 maggio 2025

(1) Obbiettivi israeliani nel conflitto si consiglia la lettura di “Alcune riflessioni sulla guerra di Palestina e dintorni” leftcom.org

(2) “A Gaza 5 tir di aiuti in due giorni", "il manifesto” 21 maggio 2025.

(3) “In due giorni 29 palestinesi morti per la fame.” “il manifesto” 23 maggio 2025).

(4) “Padre faltas: il numero dei bambini uccisi a Gaza è impressionante.” Vatican news 26 marzo 2025.

(5) “Gaza, Israele e l’indignazione del mondo”. ISPI 21 maggio 2025.

(6) “Detenuto palestinese morto in un carcere israeliano. Oggi la Giornata dei Prigionieri Politici.” Pagine Esteri pagineesteri.it 17 aprile 2025.

(7) “B’Tselem: le prigioni israeliane sono campi di tortura.” “il manifesto” 7 agosto 2024.

(8) “In due giorni 29 palestinesi morti per la fame.” “il manifesto” 23 maggio 2025.

(9) “A Gaza è in corso una strage, anche di giornalisti” lavialibera.it 17 aprile 2025.

(10) “Distruggiamo le loro case per non farli tornare mai più.” “il manifesto.” 17 maggio 2025.

(11) “Campi e fabbriche spianati, la pulizia produttiva di Israele.” “Il manifesto” 18 maggio 2025.

(12) “A Gaza già colpite 36 strutture sanitarie, più che dimezzata la capacità di curare feriti e malati.” “la Repubblica” 14 Aprile 2025).

(13) “Massacro a Gaza, più di 200 morti in un solo giorno” “il manifesto” 16 maggio 2025.

(14) “L’infanzia di Gaza uccisa con la fame.” “il manifesto” sabato 10 maggio 2025.

(15) “L’alleato bypassa Israele: Hamas libera l’ostaggio USA”. “il manifesto” 13 maggio 2025.

(16) “In due giorni 29 palestinesi sono morti per fame" “il manifesto” 23 maggio 2025.

(17) “Coloni cacciano i palestinesi dalla valle del Giordano.” “il manifesto.” 16 maggio 2025).

(18) approfondimenti sull’argomento: “Cambio di Regime in Siria: un altro colpo di scena nel mosaico imperialista, un altro passo verso la terza guerra mondiale.” leftcom.org.

(19) approfondimenti sull’argomento “Siria: la caduta di Damasco.” leftcom.org.

(21) approfondimenti sull’argomento “Internazionalisti part-time” Prometeo serie VII n. 30.

(22) “A Gaza la vera vittoria è quella politica.” Limes n. 4 2024.

Lunedì, May 26, 2025