Nel futuro del proletariato e dell'umanità ci saranno altre Gaza, se il sistema borghese non sarà rottamato!

Ora che la presunta tregua in Palestina è stata siglata, nel quadro, inutile sottolinearlo, dei rapporti imperialistici in campo, pubblichiamo un sintetico bilancio delle giornate che hanno visto masse enormi scendere in piazza, più ancora che in sciopero, contro il massacro spaventoso e la devastazione che hanno martoriato (e non è finita) la popolazione di Gaza. La ferocia espressa in quel territorio ha oscurato, nelle coscienze dei più, gli altri conflitti ancora in corso, conflitti dovuti all'inasprirsi delle tensioni imperialiste tra le maggiori potenze e loro appendici locali (Hamas, Israele, Ucraina, appunto, il Sudan ecc.). L'inasprimento è dovuto all'approfondirsi della crisi storica del capitalismo, che non passa e non passerà. Solo una guerra generalizzata, questo è il rischio che si delinea sempre più chiaramente, o una rivoluzione proletaria – ma questa alternativa, al momento, purtroppo non è in vista – possono essere la soluzione, in senso diametralmente opposto, alla crisi e alla barbarie che si sta preparando.

Migliaia di lavoratori hanno scioperato a sostegno della Global Sumud Flotilla, l'iniziativa che mirava a portare aiuti a Gaza, e contro il macello in corso dei suoi abitanti.

Il 19 settembre è stata la CGIL a proclamare uno sciopero generale di due o quattro ore (le ultime ore del turno diurno), a seconda della categoria e della sede. Il 22 settembre sono stati i sindacati di base, in primis l'USB e il collettivo dei portuali di Genova CALP, nonché le cosiddette organizzazioni della società civile (ANPI, ARCI, Emergency e tutta una galassia di sigle pacifiste), a proclamare uno sciopero generale di un giorno. Questa volta il SiCobas non ha aderito, lasciando semplicemente i propri iscritti liberi di scegliere se aderire o meno allo sciopero, convocando invece un'azione per il 3 ottobre con un sostegno molto più esplicito alla cosiddetta "resistenza palestinese": in pratica, anche se non apertamente, Hamas. Non dimentichiamo che SiCobas ha definito il 7 ottobre 2023 uno degli esempi più fulgidi di "azione antimperialista delle masse oppresse".

Lo sciopero del 19 settembre ha visto un livello relativamente alto di partecipazione dei lavoratori - se dobbiamo credere ai numeri dati dalla CGIL - con una forte partecipazione alle manifestazioni; i lavoratori in sciopero appartenevano per lo più al mondo "blue-collar", ovvero impiegati in fabbriche e settori simili. Allo sciopero del 22 settembre, invece, generalmente hanno per lo più aderito lavoratori del terziario (servizi vari, scuola, trasporti, ecc.), ovvero i settori del lavoro dipendente in cui i sindacati di base sono più forti. Ma oltre a questi settori della forza lavoro, hanno partecipato anche diverse organizzazioni della “società civile” e singoli individui non coinvolti in alcuna organizzazione specifica, ma giustamente indignati per la devastazione in atto a Gaza. La partecipazione è stata davvero travolgente, molto più alta rispetto al 19 settembre e probabilmente inaspettata: in molte città si sono tenute grandi marce di migliaia di persone, nelle città più grandi, decine di migliaia di persone. In alcune città, come Bologna, Roma e Firenze, i cortei hanno percorso tratti di tangenziali e autostrade, bloccando ovviamente il traffico (a Roma, gli automobilisti rimasti bloccati hanno espresso solidarietà e salutato i manifestanti), nonostante i recenti "decreti sicurezza" emanati dal governo, che hanno inasprito le pene per chi partecipa a blocchi stradali, picchetti e azioni simili. In alcune città, i manifestanti hanno occupato brevemente la stazione ferroviaria (Reggio Emilia) e bloccato o tentato di bloccare l'accesso ai porti (Genova, Marghera-Venezia, Ancona, ecc.). Solo in pochi casi, come alla stazione ferroviaria di Milano o al porto di Marghera, si sono verificati scontri con le forze dell'ordine (ovviamente e strumentalmente esagerati dal governo e dalla stampa), in cui, a quanto pare (ma questo è tutto da verificare), sono intervenuti giovani di origine nordafricana, di seconda o terza generazione, insieme alla consueta folla "black bloc", ma si trattava di una frazione infinitesimale della massa enorme di persone che partecipava ai cortei.

Il 3 ottobre c'è stato un nuovo sciopero generale, indetto dai sindacati di base a cui ha aderito anche la CGIL, rimasta spiazzata dallo sciopero del 22 settembre, a cui avevano partecipato non pochi iscritti e simpatizzanti di questo sindacato. Quella giornata ha visto manifestazioni ancora più grandi di quelle, già numericamente notevolissime, della fine di settembre.

Inutile dire che i contenuti delle manifestazioni erano improntati a pacifismo umanitario e riformismo, senza un briciolo di internazionalismo proletario, cioè di classe: le bandiere palestinesi dominavano incontrastate, accompagnate dai soliti slogan "Palestina libera", ecc.

Oltre al nostro volantino, sia il 22 settembre che il 3 ottobre abbiamo distribuito anche volantini dei "Comitati Internazionalisti Contro la Guerra - per la Guerra di Classe", di cui siamo tra i promotori: comitatiinternazionalisticontrolaguerra.it .

Nel chiudere questo sintetico bilancio, riportiamo uno stralcio dei resoconti sul nostro intervento negli scioperi e nei cortei in varie piazze, che coglie i contenuti politici di ogni manifestazione: «Oggi siamo intervenuti alla manifestazione indetta dall'Usb e dalla CGIL contro lo sterminio o genocidio in corso in Palestina e l'attacco dell'esercito israeliano alla Global Sumud Flotilla.

Indubbiamente la partecipazione è stata enorme; è difficile quantificare perché il corteo si snodava come un serpentone lunghissimo e le piazze erano affollatissime. Le stime ufficiali vanno da 50/100.000 persone.

Numerosissima la presenza studentesca giovanile, e di famiglie con bambini. Evidentemente lo sdegno e l'orrore per quanto sta accadendo contro la popolazione diseredata palestinese ha fatto montare la rabbia e l'indignazione soprattutto sul piano umanitario per quanto sta accadendo.

Purtroppo dal punto di vista politico non ci sono grandi novità degne di interesse, per quanto ci riguarda: le parole d'ordine che circolavano e le bandiere dell'ipotetico stato di Palestina la facevano da padroni. Difesa della Costituzione, del diritto internazionale borghese, (pure quello fatto a pezzi), della democrazia, contro il genocidio, il sionismo, il ruolo criminale di Netanyahu e del suo governo. Il panorama dominante era questo, lo stesso che purtroppo vediamo mobilitarsi anche a livello internazionale.

La tragedia storica della questione palestinese è proprio quella di non vedere anche un minimo spiraglio che possa indicare e far nascere una sparuta presenza di analisi e posizioni di classe che tenda a orientare le masse proletarie palestinesi e israeliane contro le proprie borghesie e la guerra in atto, contro tutti i massacri che ne derivano. In Palestina, certo, come ovunque nel mondo».

Riportare nel proletariato i principi basilari della lotta di classe per difenderci dagli attacchi del capitale, dell'internazionalismo proletario per inceppare la macchina bellica della borghesia, per sviluppare l'organizzazione rivoluzionaria a scala mondiale è il compito ancor più urgente che devono assumersi le ultra minoritarie e disperse forze autenticamente internazionaliste.

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Lunedì, October 27, 2025