Il ruolo del sindacato oggi e l'intervento dei comunisti nelle lotte

Sviluppando la discussione sulla "CGIL che vogliamo", sono emerse diverse questioni, riassunte in tre punti da proletario :

  1. Il ruolo del sindacato nella lotta di classe (limitiamoci all’oggi).
  2. Il lavoro dei comunisti all’interno delle strutture organizzative della classe operaia.
  3. La direzione che il Partito Comunista impone a strutture che gli stanno esterne grazie alla sua (del Partito) organizzazione centralizzata.

Per comodità riporto qui il mio intervento schematico, che potrebbe essere un punto di partenza:

A me non è chiaro il motivo per cui, secondo te, un sindacato dovrebbe definirsi “di classe”, e in che modo esso potrebbe essere utile al proletariato nella sua maturazione rivoluzionaria.
La forma di organizzazione che si danno i lavoratori è quella assembleare, quando sono spinti a cominciare una lotta vera, determinata, che inevitabilmente si scontra con i vincoli delle cosiddette “compatibilità”. Secondo noi solo le assemblee dei lavoratori esprimono la volontà della classe e sono in grado di cominciare a mettere in campo gli strumenti di lotta necessari a sostenerla.
Quel che è assolutamente necessario, oggi come ieri, è una organizzazione delle avanguardie politiche del proletariato, cioè un partito comunista… internazionale e internazionalista, che sappia intervenire nelle lotte, nelle assemblee, stimolarle, coordinarle e spingerle alla unità, e che faccia al tempo stesso crescere la coscienza della necessità di una società nuova, dove sia abolito il lavoro salariato e lo sfruttamento.
Un sindacato invece, soprattutto oggi, quando deve inserirsi in un meccanismo di carattere corporativistico, non potrà che adattarsi a questo ruolo all’interno del sistema. A parte questo, noi riteniamo che i sindacati non siano mai stati rivoluzionari, dato che il loro compito si è sempre esaurito tutto sul terreno economico/contrattualistico. Questo non vuol dire che a volte non possa essere utile prendere una tessera - per sfruttare tutti gli eventuali spazi e possibilità che eventualmente questa potebbe garantire - ma sempre senza assumere all’interno del sindacato (sedicente “di classe” o meno) alcun ruolo di responsabilità, che inevitabilmente andrebbe ad essere anti-operaia.
Sono comunque le assemblee dei lavoratori il nostro luogo d’intervento primario, dove la volontà di classe si esprime. Lì è necessaria la presenza del partito che, con l’intervento di militanti e simpatizzanti, possa radicare gruppi di comunisti internazionalisti e far crescere la famosa “coscienza di classe”.

Più precisamente, queste sono le tesi congressuali, del 1997: leftcom.org

Forum: 

Bene. Mi prendo un pochino di tempo per studiare le "tesi del 1997" prima d'intervenire. Si potrebbe partire da quelle per avviare una discussione, che dev'essere necessariamente al centro del dibattito tra comunisti perchè è uno dei problemi fondamentali in un'epoca (l'oggi) dominata dall'oggettivo tracollo della resistenza materiale - oltre che teorica - del fronte proletario. Si ripropone - oserei dire ostinatamente - la parola d'ordine leniniana del "che fare" (nello specifico: che fare - da comunisti - di fronte ad organizzazioni che catalizzano ancora le lotte operaie per incanalarle, però, consapevolmente entro i limiti della legalità - intesa come compatibilità col sistema - borghese). Scartato l'entrismo "cretino" praticato da sedicenti compagni (riproposizione grottesca dell'entrismo picista), in quanto tattica che può funzionare entro limiti ristrettissimi e necessariamente per un breve periodo transitorio (periodo pre-rivoluzionario in cui un compatto partito comunista riesce a egemonizzare il fronte dei lavoratori per raccogliere attorno al programma di classe elementi non-proletari ormai disillusi dal sistema di dominio capitalistico), e in quanto tattica a doppio-taglio perchè - qualora le condizioni per la rivoluzione non dovessero maturare - il partito dovrebbe subito svincolarsi da pericolose alleanze che potrebbero venire additate come collusorie; rimane solo il vero nodo classista della direzione coscientemente comunista di spinte spontanee "solamente" e genericamente di cambiamento. Ciò non ha minimamente a che vedere con fumose strategie di spostamenti d'asse di organizzazioni - anche formalmente - in combutta con l'apparato repressivo borghese. Come domanda introduttiva potrei porre questa per concludere: la direzione di un movimento operaio mosso - per ora - da istanze genericamente antagoniste (passatemi questa brutta parola) richiede meccanismi interni (perciò esterni al partito) di direzione delle lotte sul modello di un coordinamento dei consigli? Penso proprio di sì. E' perciò corretto rifiutare tout court l'aggregazione operaia attorno a rivendicazioni prettamente economiche (e su queste nel prossimo intervento vorrei tornare nello specifico) in grado - nella loro chiarezza - di cementare la coscienza di classe? Rifiutare la logica sindacale (posizione corretta) è - o deve essere - rifiutare la lotta economica come terreno di coltura per nuovi "quadri" (anche sulle caratteristiche di questi quadri vorrei tornare prossimamente, così come sulla struttura organizzativa nella lotta in fabbrica) operai?

Saluti leninisti

Avviare la discussione a partire dalle tesi del 1997 è senz'altro la cosa più appropriata.

Aggiungo brevemente che non solo non rifiutiamo la lotta economica, ma la riteniamo assolutamente necessaria per i lavoratori - noi lavoratori - sia per la difesa delle nostre condizioni materiali di vita, che come passaggio obbligato per potersi riconoscere come una sola classe, sfruttata e rivoluzionaria. Un lavoratore comunista non cessa d'essere proletario e sfruttato, quindi è fuori questione il rifiuto dalle lotte economiche - sarebbe una aberrazione...

Noi partecipiamo agli scioperi (sia quando indetti dai sindacati confederali, che da quelli "di base" - entrambi colpevoli di indirizzare le lotte su obiettivi parziali e fuorvianti, e per di più dividere il potenziale della classe in più rivoli indicendo scioperi in date separate per meri interessi di "parrocchia") e quando riusciamo li stimoliamo, facendo saltare in questi casi tutta la architettura di controllo di sindacati e sindacatini - sia pur solo per qualche frangente.

Naturalmente, il compito dei comunisti implica di non snobbare il piano economico, senza tuttavia esaurirsi in esso. I comunisti devono tendere invece continuamente a superarlo, per mettere in discussione i fondamenti stessi del capitalismo.

Permettetemi di segnalare un altro articolo, dal titolo eloquente: "È finito il sindacato, ma non la lotta economica" ibrp.org

Cosa ne pensate dei sindacati CNT

Cosa pensate dei sindacati a forte matrice popolare tipo la Cnt spagnola?

Ciao Aldous, cosa intendi per "forte matrice popolare"? Ti riferisci alla sua composizione sociale o alle sue posizioni?

Alla composizione sociale

Idem

Sono due parametri molto diversi. Esempio: la CGIL ha senz'altro una vastissima base proletaria, ma le posizioni che esprime non sono mai DI CLASSE, cioè non difendono mai gli interessi della classe nel suo complesso contro i continui (e crescenti) attacchi del padronato.

La CNT spagnola, di matrice anarchica, è stato senz'altro un sindacato molto combattivo e con un largo seguito fra i proletari, soprattutto nella prima metà del secolo scorso. Oggi non saprei.

Una critica forte che noi avanziamo nei confronti della CNT è la sua partecipazione al governo borghese anti-franchista durante la Guerra di Spagna ('36-'38) abbandonando il terreno della lotta di classe e alleandosi con gli stalinisti. Ne pagarono le conseguenze in prima persona, visto che poi gli stalinisti scatenarono la repressione contro di loro e contro tutti gli avversari politici (in primis, anarchici e POUM).

In proposito, ti consiglio il film "Terra e libertà" di Ken Loach.

Grazie per il consiglio !