Qual' è è il punto di vista marxista sul suicidio?

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Forum: 

Non credo che esista un "punto di vista marxista sul suicidio", proprio perché il marxismo non è una religione ma un metodo di analisi e di lotta. Di certo possiamo dire che quando uno si toglie la vita rinuncia alla lotta comune per cambiare in meglio la società e il suo tempo.

Grazie x risposta

Grazie x la risposta era una mia curiosità.

Notizia

Esistono due precedenti.

Il primo fu quello di Paul Lafargue ed Eleonora Marx, sul quale scrisse Lenin. Il secondo è uno studio di Trotzskji nel quale imposta il problema del suicidio.

Non ricordo lo scritto: Ricordo che Lenin, che era amico di Lafargue (il genero di Marx) ne parla criticamente, ma con grande affetto. Il lavoro di Trotzskji dovrei rileggero. Trotzskji, ricordo, non era contrario all'idea. Lo scrisse in Messico, poco prima dell'assalto degli stalinisti, guidati da Siqueiros alla sua casa.

Ultima notazione; Kropotkin parlò in pubblico del suicidio di un ananchico russo. Ho la notizia ma non ho letto lo scritto.

Ritengo che la domanda sia malposta. Cercare nel marxismo e nei suoi più autorevoli rappresentanti una risposta ad ogni singolo aspetto della vita significa trasformare un metodo di analisi e di lotta per il superamento del capitalismo in una chiave magica in grado di aprire qualunque porta. Qualcosa di molto simile a una religione rivelata, con i suoi santi e i suoi profeti.

Per vie diverse, liberismo e stalinismo hanno prodotto una soffocante omologazione culturale. Credo che il marxismo sia lo strumento giusto per cambiare aria.

il caso di eleonora marx è ambiguo c'è addirittura chi sospetta un omicidio da parte del suo ccompagno, se lo trovi leggi il ibro eleonor marx di yvonne kap è molto interessante

Il compagno Gek ha ragione

L'osservazione del Compagno Gek è giusta.

Il suicidio è un dramma umano terribile, la sanzione di una sconfitta, una dichiarazione di inutilità. Ho letto il testo consigliato dal compagno Raes, quella vicenda é effettivamente controversa e c'è il sospetto che Eleanor sia stata plagiata dal marito.

Credo che le osservazioni di Lenin su quel suicidio fossero giustissime. Lenin diceva che finchè un militante proletario poteva contribuire in qualsiasi modo alla lotta doveva rimanere sul campo. Scrisse queste parole con un senso profondo di dolore, Lafargue era il fondatore del Partito Socialista Francese, un marxista eminente, un uomo straordinario ed un medico valentissimo ed era suo amico. Ma la pietà umana e l'affetto per Lafargue non gli impedirono di vedere l'errore, perchè il suicidio è un errore, nessun dubbio su questo.

Io francamente non so capire quale meccanismo psicologico si sia prodotto nella mente di Lafargue se non ricorrendo all'ipocondrismo tipico delle culture portoghese-latinoamericane, il saudosismo, di cui Lafargue era conoscitore, ma forse questa spiegazione non è sufficiente. E mi riesce davvero difficile associare questo suicidio all'autore del "Diritto all'ozio" un testo di Paul Lafague che consiglio di leggere.

Trotzskji trattò questo argomento nel corso di una grave depressione in seguito all'asssassinio del figlio Llova ed all'isolamento internazionale in cui lo avevano segregato gli stalinisti. Vedeva disfarsi la sua Quarta Internazionale, viveva della carità del presidente messicano. Ma non si suicidò: a suo onore dobbiamo dire che lottò come poteva fino alla morte, sullo stesso letto di morte.

Il nostro modello non è Catone che si uccide sulle mure di Utica; è l'operaio russo semianalfabeta che cantava la Marsigliese (in francese) mentre affrontava le armate bianche e le vinceva per difendere la Rivoluzione d'Ottobre (l'immagine è di Lunaciarskji).

Questo invece è il “suicidio”

Questo invece è il "suicidio" ai tempi della crisi: milano.repubblica.it

beh forse sarà un'ovvietà però penso che situazioni estreme portino a comportamenti estremi...

ad es. nei processi moscoviti del '36-'38 forse la biografia dei protagonisti ne sarebbe uscita meglio se si fossero suicidati lucidamente prima di consegnarsi al carnefice professandosi controrivoluzionari, cospiratori anticomunisti ecc. ( penso agli Zinoviev,KAmenev, bucharin e quant'altro).

il "caso Lafargue" mi sembra del tutto diverso: non saprei dove inizia la padronanza di sè e della propria vita e dove la sfiducia più o meno dissimulata nel futuro.

il suicidio, in genere, è un atto individuale proprio di chi è o si percepisce non più parte attiva/integrante/utile di una comunità umana più ampia...

ovvio che l'individualismo dominante ne sia xciò un incentivo potente (a mio modo di vedere).

se guardiamo alla cronaca di oggi a me colpisce molto come la comprensibile disperazione senza apparenti prospettive di molti lavoratori li porti a cospargersi di benzina ecc.. minacciando di di ucicdersi con un atteggiamento analogo a certe bizze disperate dei bambini...anzichè riservare quel trattamento ai colpevoli della loro situazione ! ( quì si aprirebbe un'altra parentesi...).

poi l'argomento è complesso: secondo molti psicologi un cospicua parte di incidenti stradali ( ocn protagonisti non solo i giovani del sabato sera ) sarebbero da ricondurre a forme di suicidio più o meno consapevole.

il record mondiale dei suicidi censiti mi pare ce l'abbia il Giappone e, in europa, la Svezia: paesi dove gli standard x la vita biologica ( calorie disponibili, acqua pulita, medicine ecc. ) sono tra i più alti.

evidentemente il capitalismo rende infelici !

Capitalismo e condizione umana

Il compagno No Nik fa una serie di considerazioni ciascuna delle quali richiederebbe una accurata trattazione, perchè mi sembrano tutte importanti.

Ho letto sul forum la lettera di un giovane precario che mi ha profondamente toccato ed ha ragione il compagno No Nik: il capitalismo è veramente diventato una fabbrica di disperazione. I suicidi di coloro che hanno perso il lavoro negli Stati Uniti d’America arriva ben oltre ogni più nera immaginazione ed anche questo è un prezzo della crisi perché la mancanza di lavoro diviene una specie di morte sociale che trascina molte persone verso la propria distruzione.

Il ritengo il suicidio un errore, ma non è possibile estendere lo stesso giudizio su ogni forma di suicidio. “la comprensibile disperazione senza apparenti prospettive da parte di molti lavoratori”, scrive giustamente il compagno. Questa disperazione senza prospettive è un inferno dei vivi e lo è molto più per proletari giovani carichi di energie positive fisiche ed intellettuali e condannati a vagare a vuoto alla ricerca di un senso della loro esistenza. Sento la responsabilità di non riuscire a dare una risposta a questo calvario nel senso di una organizzazione di lotta in grado di darla questa prospettiva perché la disperazione è anche un prodotto della debolezza attuale dei comunisti. Non mi sento in animo di svalutare il peso della disperazione di chi perde il lavoro, ed ha la sensazione (verissima) di perderlo per sempre e sa di precipitare nella più nera indigenza: la risposta è sbagliata, non il movente ed ha ragione il compagno No Nik a dire “anzicchè riservare quel trattamento ai colpevoli della loro situazione”. Il colpevole vero e ultimo di questa situazione è un sistema degenerato e fallito che trascina nel suo fallimento l’esistenza di milioni di proletari.

E in tutto questo trovo nuove e più forti ragioni per voler essere comunista.

Per inciso, non va affatto bene il giudizio su Kamenev e Zinoviev: erano due grandi rivoluzionari che diedero prove estreme di coraggio molte volte. Il loro errori politici non inficiano questo giudizio. Se si fossero suicidati sarebbe accaduto alle loro famiglie ciò che accadde alla famiglia di Rikov: Stalin la fece fucilare per rivalsa contro il suo suicidio. Zinoviev e Kamenev lo sapevano bene ed ha ragione Trotskji quando spiega il loro cedimento.

p.s.

la capitolazione politica ed umana di personaggi come quelli citati secondo me è da ricondursi ad uno sciaguratamente malinteso senso di fedeltà al partito e la rivoluzione + che a considerazioni del tipo "tengo famiglia" ( umanissime ma meschinette dato anche lo spessore delle figure in questione ).

non a caso quelli erano i tempi delle cosìdette "bussole impazzite"...

Zinoviev e Kamenev

Anche questo, Compagno No Nik.

Subirono una pressione tremenda ed erano demoralizzati per il fatto che la loro rivoluzione (e la ragione della loro esistenza) si erano trasformate in un incubo reazionario. Vedevano tutti i loro migliori compagni, il nerbo della rivoluzione sopravvissuto alla guerra civile, passare uno per volta davanti ai plotoni di esecuzione. Inoltre, disertando l'opposizione di sinistra, avevano "perso la faccia" e condiviso alcuni delitti. Furono calunniati davanti al proletariato mondiale, grazie ai giornali borghesi e stalinisti. I loro familiari, mentre si svolgevano i processi, erano sotto il controllo persistente della GPU, pronta ad arrestarli per ritorsione se non avessero acconsentito ad autoaccusarsi. Inoltre furono illusi da Stalin prospettandogli una specie di "perdono" se avessero "confessato". Non mi sento di condannarli per il loro cedimento dato che era tutto il loro mondo a crollare sotto la mannaia della reazione staliniana. La loro morte diede il via allo sterminio finale dei comunisti, alle fucilazioni in massa nei campi di concentramento, ai processi-omicidio estesi in tutta l'URSS.

Informazione

Ho trovato un accenno al problema del suicidio a proposito del discorso di Lev Trotskji al funerale del Compagno Yoffe. Non o il testo, ma l'accenno di trova nel "Profeta disarmato" di Isaac Deutcher.

Se non ricordo male anche lo zio Karl dedicò un breve saggio all'argomento. Non l'ho letto, ma dovrebbe trovarsi ne "La sacra famiglia"...

F.