La guerra tra rivoluzionari

Da questi 3d e dalla esistenza di innumerevoli movimenti marxisti, veri o presunti tali, in circolazione credo emerga che, qualora la storia dovesse offrire al proletariato la possibilità di organizzare una lotta rivoluzionaria, quella a cui si assisterebbe/parteciperebbe non sarebbe una guerra rivoluzionaria ma una guerra tra rivoluzionari.

È inutile dire che da questa ipotetica guerra tra proletari la borghesia ne uscirebbe vincitrice se non addirittura più rafforzata.

Mi scuso se il mio messaggio viene interpretato come una provocazione ma credo che questo sentimento/impressione che ho avvertito la necessità di esprimere in questo forum sia comune a molti compagni unito ad una certa amarezza.

Forum: 

il programma del proletariato sarà uno solo!

Non è escluso che ci si dovrà scontrare anche con altri rivoluzionari, ma se come organizzazione ci si concentra sul punto fondamentale, la rivoluzione PROLETARIA, cioè sul programma politico del proletariato, chi si pone in qualche maniera contro di esso, non solo dovrà scontrarsi con la nostra organizzazione ma dovrà confrontarsi direttamente con la posizione che il proletariato farà sua (non per dire che sarà di certo la nostra, ma o il tuo (dico in generale, non mi riferisco a te gaetano) programma difende il proletariato oppure non lo fà. Questo risulterà dal momento rivoluzionario, quando e se ci avvicineremo a tale momento storico... nel frattempo diamoci da fare, lasciando da parte messianiche aspettative, cioè STUDIARE PROPAGANDARE ORGANIZZARE). Precisiamo che quando il conflitto di interessi sarà talmente ovvio e innegabile, il proletariato si accorgerà di chi gli rema contro. E se è il proletariato a metterti dall'altra parte della barricata allora non c'è storia che possa salvare questo o quel programma. Sopratutto se l'avanguardia rivoluzionaria, nel più stretto uso del termine, spinge il proletariato sulla via della rivoluzione proletaria verso il comunismo.

Un saluto

Rivolunzio

La guerra tra rivoluzionari

Benissimo: sono uno nuovo. Buon giorno a tutti.

E' il primo post per me, e non a caso riguarda questo argomento.

La questione che solleva Gaetano per me è imprescindibile. Anche Rivolunzio ha le sue ragioni.

Mi spiace però che sia finita qui, e non ci siano stati altri interventi. Tuttavia è un dibattito che ritendo nodale, perciò ne scrivo.

L'amarezza, le perplessità di Gaetano sono pari alle mie, e riguardano l'unità. Attenzione perchè non voglio essere inutilmente frainteso: sto parlando di unità entro i limiti del possibile. Ma quando, Rivolunzio, parli di proletariato che sceglie chi sta dalla sua parte, a me pare che sotto un discorso così ragionevole si celino dei vuoti d'aria. Di fatti, come fanno i lavoratori ad acquisire la coscienza di ciò che sono, di cosa gli spetta veramente oggi come domani, se tra i suoi dirigenti c'è distanza, antagonismo, negazione?

Il sospetto, e da qui il rammarico, è che ci si fermi al comunismo da cattedra, alla rivoluzione d'appendice.

Buon pomeriggio

Florio

Prima di aderire a Battaglia comunista, facevo parte dei Gruppi di Lotta Proletaria (GLP), una piccolissima formazione composta solo da giovani e giovanissimi che si riconosceva genericamente nelle posizioni della Sinistra Comunista (bordighisti, CCI, Battaglia Comunista, ecc.). Anche noi dei GLP eravamo sconcertati dell'estrema frammentazione di quest'area, e così, per un po' di tempo, coltivammo il sogno di diventare il "punto d'incontro" di tutti questi gruppi in vista di una futura unificazione. Desistemmo presto. Infatti, gli unici disposti a confrontarsi con noi senza porci degli aut aut, furono i compagni di Battaglia. Le sette bordighiste non accettarono mai il benché minimo confronto: ognuna di esse (allora come ora) ritiene di essere custode della sacra invarianza e perciò non ha bisogno di confrontarsi e discutere con nessuno: quando scoccherà l'ora X le masse busseranno alla loro porta. La CCI (che tra l'altro scrisse anche un durissimo documento contro i GLP) chiedeva ai suoi eventuali simpatizzanti di fuoriuscire dai GLP per aderire solo ed esclusivamente alla loro organizzazione.

Insomma, gli unici a confrontarsi con noi in modo non settario e costruttivo, che fecero con noi decine e decine di volantini con la doppia firma e tantissime iniziative comuni, furono i compagni di Battaglia comunista. Non c'è dunque da sorprendersi se, nel 2002, i GLP si sono sciolti e tutti i compagni hanno aderito a Battaglia. Questa è la verità. Chi si è sempre buttato nella mischia senza dogmatismi e senza mai abbandonare la sua trincea può dirti che qui comunismo da cattedra e rivoluzioni d'appendice non ne trovi. Coerenza, pazienza, curiosità e tenacia sì. Non basta ma è già qualcosa.

Saluti rossi

Ho compreso il tuo punto di vista, Gek.

Hai anche tu, il tuo discorso, una parte di ragione. Non tutta, però. Non volermene,

Florio

Se avessi tutta la ragione dalla mia fonderei un altro partito comunista internazionale

con tanti gruppi bordighisti succede propio così

Le basi dell'unità proletaria

La testimoniannza del compagno Gek è molto importante perchè indica un metodo. E questo metodo ha dimostrato di funzionare. Personalmente ritengo inutile discutere con i "custodi della sacra invarianza", con i dogmatici e con i clericali rossi. Se è stato possibile, in controtendenza con l'atomizzazione della sinistra, organicare in un partito marxista un'esperienza originale ed i quadri che in questa esperienza si erano formati (qui importa il metodo, non le dimensioni del fenomeno), allora vorrei chiedere al Compagno Gek una trattazione accurata di questa storia pechè credo che qui ci sia qualcosa che vale la pena di comprendere ed imparare.

Mi sono sempre domandato perchè Marx, ritenesse possibile fondare l'internazionale proletaria, ioè il partito mondiale della rivoluzione, associando componenti molto diverse tra loro: dai socialisti, ai radicali, agli ananrchici ed, addirittura, ai mazziniani. Credo che Marx pensava che le contraddizioni tra queste componenti si sarebbero risolte nella comune pratica rivoluxzionaria. Questa idea di Marx trovò conferma nella rivoluzione d'Ottobre, non soltanto quando il bolscevismo assorbì alcuni raggruppamenti di eminenti rivoluzionari, ed anche gli elementi più sensibili e coerenti del menscevismo, ma anche per l'attiva (ed eroica) collaborazione di anarchici, progressisti ed intellettuali borghesi democratici. Tutto ciò fu possibile, ed è questo il punto importante, in quanto queste energie si innestarono nel nucleo solido del bolscevismo e grazie ad una politica intelligentissima di Lenin il quale pensava proprio che dovesse essere la rivoluzione ad amalgamare tutte le energie rivoluzionarie. Offrì loro una linea politica nella quale essi poterono riconoscersi ed agire, senza alcuna esclusione o settarismo. La prima linea della rivoluzione d'Ottobre fu composta ricompattando tutte le energie rivoluzionarie nella linea proposta ai Soviet dai bolscevichi. Senza la grande apertura di Lenin, che portò molti di questi grandi rivoluzionari direttamente nel Comitato Centrale e poi nelle posizioni di maggiorre responsabilità del suo governo, tutto questo non sarebbe stato possibile. La lotta rivoluzionaria funzionò come la migliore propedeutica possibile e come il fattore unificante più potente.

Ora noi ci troviamo in un momento storico in cui bisognerebbe invertire la tendenza alla frammentazione. Molti rivoluzionari, o presunti tali, somigliano più alla caricatura di sé stessi, alla mezza mummia del loro dogmatismo ed al mezzo aborto delle loro pretese: errori calcificati dalla incapacità di confronto con altri rivoluzionari e dalla separazione, di fatto, dalla classe. A parlare con loro a volte mi sembra di parlare con gli "unti del Signore" e spesso riconosco in loro la mancanza dei presupposti di pensiero del marxismo.

Credo che una ricerca unitaria con queste persone non serva a niente e non porti a niente; e che non serva affatto a dare l'immagine di una consistenza delle forse rivoluzionarie. Molti simili a loro disertarono l'Ottobre (vedi Plekanov) e si rivelarono pesi inutili per il lavoro rivoluzionario. Trotskji disse che erano "morti che non servivano per combattere ma per impedire ai vivi di combattere". Non è da queste mummie rinsecchite che si possono far scaturire nuove le energie che servono al proletariato.

Le basi dell'unità proletaria stànno, secondo me, in un nuovo, più forte e più organico rapporto con la classe così come essa si configura in questa fase storica, scartando le scorie. Ed è in questo nuovo e vitale rapporto con la classe che è possibile richiamare all'unità coloro che più che di "fede" chiedono iniziativa ed azione. Il PC Int. ha mostrato che è possibile, e non è un contributo trascurabile allo scopo.

la classe fattore d'unità del partito?

Ma chi educa la classe? E' il partito. E chi educa la base del partito? La direzione rivoluzionaria. Allora la crisi consiste nell'insufficienza,immaturità e impreparazione della direzione rivoluzionaria nel nostro tempo. Da questa asserzione bisogna partire se si vuole costruire una classe che si riconosce nel suo partito e che sia capace di trovare modi e mezzi per prendere il potere e guidare le masse lungo la fase di transizione dal capitalismo al socialismo...Invece ,bisogna chiedersi: perchè il processo storico odierno non riesce,dentro il suo laboratorio, a formare un gruppo dirigente all'altezza dei tempi nuovi che sappia analizzare e tradurre in forza materiale storica il processo rivoluzionario? Qui sta il busillibus...e da qui bisogna provare a saltare le fatidiche "Mura di Rodi",cari compagni! Saluti...duccio

Una risposta al Compagno Duccio.

Caro Compagno Duccio,

tu dici qualcosa di vero che però secondo me è una parte della verità. Beninteso, si tratta di una parte importante, ma tuttavia pur sempre una parte.

Io penso che il rapporto tra partito e classe sia una sinergia nella quale entrambi impararono dalla realtà e gli uni dagli altri. Il processo non ha un andamento lineare, prevede avanzate, salti qualitativi, anche ritirate e passi indietro. E credo che alla base della insufficienza e della esiguità delle direzione rivoluzionaria vi siano anche cause oggettive che non possono essere superate soltanto per un entusiasmo volontaristico, anche se questo è importante.

Non penso ad un processo unidirezionale tra partito e classe; tengo conto della esperienza storica e di come il bolscevichi seppero adattare, ed in qualche caso cambiare, la loro linea politica in relazione a ciò che stavano imparando dalla classe e dalla realtà.

Lenin diceva che il proletariato, non essendo una entità omogenea, dà luogo a diversi partiti proletari, non concepiva il suo partito come unico e solo rappresentante del proletariato. Pensava che il bolscevismo dovesse conquistare la maggioranza nei Soviet in competizione leale con gli altri partiti proletari. Il partito unico non fu una scelta bolscevica, ma il segno di un arretramento della rivoluzione dopo la guerra civile. Ed è nella democrazia sovietica che si sviluppava la sinergia tra partito e classe. Vale la pena ricordare che la classe si riconobbe nel bolscevismo solo dopo la rivoluzione d’Ottobre e la sconfitta di Kornilov ed i delegati bolscevichi, a cui si erano solidarmente associati moltissimi di altre tendenze proletarie, passarono solo allora dal 15% al 74% nei parlamenti sovietici. Non fu il partito bolscevico a prendere il potere, ma i Soviet nei quali si andava affermando la linea del partito bolscevico.

La tua comanda

“perchè il processo storico odierno non riesce,dentro il suo laboratorio, a formare un gruppo dirigente all’altezza dei tempi nuovi che sappia analizzare e tradurre in forza materiale storica il processo rivoluzionario?”

è quella a cui dovremmo tentare di rispondere e vorrei chiedere ai compagni del Forum di aprire una apposita discussione su di essa.

Io credo che uno dei limiti che impedisce di tradurre in forza materiale il potenziale della classe, che stimo davvero considerevole, sia una insufficiente comprensione di ciò che è il moderno proletariato. Penso anche che vi siano impedimenti di natura dogmatica, scorie non eliminate di errori precedenti, difetti di pensiero e spesso settarismi dannosissimi che impediscono di ripartire.

Una volta Lukacs domandava “Che cos’è il marxismo ortodosso?”: credo che questa domanda sia ancora attuale e che serva, secondo me, a “sgrippare” le forme di pensiero calcificate nei rivoluzionari. Dobbiamo affrontare tempi nuovi, diversi, e quindi dobbiamo ricalibrare il nostro pensiero sulla realtà che ci sta davanti, separale ciò che è vivo e vitale dalle scorie, attrezzarci.

Io credo che la classe oggi abbia un potenziale politico di gran lunga maggiore a quanto pensino molti pessimisti ed uno degli ostacoli è anche la sottovalutazione del loro ruolo da parte dei rivoluzionari.Ciao.

GENERALIZZARE O DETERMINARE?

Compagno Bogdanov,nessuno sta difendendo il marxismo ortodosso imbalsamato nei vecchi schemi e nelle analisi di funzionamento superate dai tempi. Sta proprio qui,nel ritardo di cimentarsi con analisi nuove e approfondite sulla realtà capital-imperialista-finanziaria e multinazionale,a mezzo della metodologia del materialismo storico, il vero handicap delle avanguardie rivoluzionarie,le quali non sono in grado di applicare la dialettica alle situazioni storiche concrete come una "totalità" di cui si intravvedano i nessi di funzionamento e di sviluppo del sistema dominante. Ci troviamo dinanzi ad analisi approssimative che hanno l'apparenza della scienza e che,soprattutto,non sanno legare i processi economici agli altri piani del reale (politica,cultura,filosofia,religione,arte,morale scienza etc...),non solo ma ,dentro questi piani sovrastrutturali,non si sanno condurre analisi critiche sub specie sui..."Senza teoria rivoluzionaria non c'è movimento rivoluzionario"! E la teoria non la forniscono gli operai,per quanto si tratti di avanguardie ideologiche di massa,ma il partito (o i partiti operai nella lotta teorica ,in primis.). Invece,assistiamo da decenni ad attacchi poderosi su tutti i fronti della cultura,da parte dell' intellettualità borghese imperialista (scorrazzanti su tutti i Media e i siti internet), tesi a modificare le basi su cui poggia la teoria del materialismo dialettico,fino a tentare di annichilirla e maciullarla. Non esiste una controffensiva ideologica di pari portata contro questi assalti delle classi dominanti, ma al contrario,da parte del pensiero marxista assistiamo a una resa incondizionata e ad un arretramento strategico generale. Lenin,scriveva nel "che fare?",che ad avere portato all'affermazione della teoria marxista,nella Russia del primo Novevento,era stata la fitta e incessante lotta tra rappresentanti socialisti,il pensiero critico, come "sale" della lotta politica,all'interno dello schieramento intellettuale tra i rivoluzionari dell'epoca. Oggi ci sono delle mediocri avanguardie che pontificano sul marxismo e la dialettica,senza avere dimostrato di averne capito appieno la portata profonda (come affermava lo stesso Lenin, nel suo tempo,pullulante di menti mediocri che dietro rutilanti erudizioni nascondevano la 'miseria della filosofia' e della politica marxiste!). Ad esempio ,di fronte ad attacchi al metodo dialettico che provengono dal pensiero post-moderno,(Derrida,Foucault,Severino etc...),come rispondono i nostri difensori del marxismo? Con le solite formule dogmatiche,ripetitive propagandistiche ed ortodosse che,anzichè partire dalle istanze degli avversari, si trastullano con le vecchie risposte date dai marxisti del passato! Questa è pigrizia ed ignavia intellettuale! E ancora,rispetto alle gravi regressioni delle avanguardie politiche social-comuniste,pseudo-rivoluzionarie e persino reazionarie sotto l'aspetto politico, che non tengono conto della composizione del proletariato oggi ,a livello globale,che tentano di introdurre confusione tra operai che producono direttamente plusvalore e lavoratori dipendenti che operano nel processo di distribuzione del plusvalore,dove si è visto elevare barriere critiche contro tali deleterie posizioni, capaci di arginare la confusione che si cerca di propalare all'interno dell'avanguardia ideologica della classe rivoluzionaria "par excellence"? Nessuno parla di trasferimento del baricentro della lotta di classe,in Asia e nel Sud America , per costruire,a partire da queste aree strategiche, la vera contrapposizione al dominio del capitalismo finanziario e multinazionale, proponendo una strategia e un programma di lotta mondiale,consapevole dei nessi che corrono tra aree arretrate manifatturiere,ed aree avanzate,dove il peso dell'"operaio imborghesito e privilegiato" (dal momento che guadagna 4,5,10 volte meglio dell'operaio operante nelle zone manifatturiere delle imprese multinazionali), costituisce un freno e un nutrimento per le posizioni riformiste e reazionarie dei falsi rappresentanti degli interessi proletari,traendo la conclusione che bisogna distinguere tra classe operaia"comunarda" e operai "Versaillesi" ,i quali ultimi fungono da reggicode alle politiche socialimperialistiche fino a tatuare il loro spirito di idee razziste e di fanfaluche democraticistiche al servizio dei propri imperialismi,appoggiando le cosiddette "rivoluzioni colorate" (in Italia, il popolo "viola",trastullo delle mene interimperialistiche!).Come si possono educare le masse operaie rivoluzionarie iniettando loro lo spirito rivoluzionario,se non si educano le avanguardie a saper leggere il mondo attuale,nella sua configurazione storica determinata dall'avvento delle nuove leggi di funzionamento del capitalismo e a calare il pensiero critico-rivoluzionario nella "realtà del Saputo",ossia: del movimento operaio rivoluzionario su scala mondiale?...Saluti cordiali. duccio!

Tempo

Caro Compagno Duccio,

prendo tempo perchè voglio riflettere bene su ciò che mi hai scritto. Grazie della risposta, saluti cordialissimi.B.

Ciao Duccio,

se non sbaglio sei tornato.

Su alcune cose concordo, però bisognerebbe fare nomi e cognomi, altrimenti il tuo discorso diventa un tirata moralistica inocmprensibile. Mi riferisco, in prticolare, alle tue accuse all'universo mondo di non aver capito nulla della realtà: a chi ti riferisci? Mettiamo le carte in tavola, così capiamo a cosa stiamo giocando.

Ultima cosa: che il baricentro della lotta di classe rivoluzionaria si sia spostato in Asia e in Sud America può essere, ma buttarlo lì in maniera perentoria mi sembra uno schematismo alla Lotta Comunista o alla CCI; ma gli schematismi, si sa, lasciano spesso il tempo che trovano...

Ciao a tutti,

Smirnov

IL DISAGIO DI CHI SI SENTE CHIAMATO IN CAUSA

In un commento breve,tu pretenderesti,compagno Smirnov,che io ti sciorini tutto il contenuto della mia critica? E come te la cavi tu,accusando la mia critica di "moralismo" e "schematismo"?!! Controbatti calandoti nel concreto!Dicendomi,ad esempio, "...noi con questo o quello scritto prodotto nel nostro ambito abbiamo detto questo e quelle cose che vanificano le tue osservazioni e dimostrano che noi di B.C. abbiamo assolto alle carenze storiche soggettive della rivoluzione socialista nel mondo".E fallo! Realizzando questo compito in un commento sul blog,vediamo come te la cavi! Io sono solo intervenuto per ribattere all'intervento di Bogdanov che pone il fattore determinante dell'esito positivo del processo rivoluzionario sulla classe ed i soviet, anzichè sulla "quintessenza" (terminologia di Lenin) della coscienza rivoluzionaria, cioè: la direzione del partito.Ricordiamoci la famosa frase del grande rivoluzionario:..."datemi 10 Uomini..e vi solleverò la Russia". Era una spacconata?! Giudicate Voi...io dico la mia opinione,se poi vi dà fastidio,amici come prima...e cambiamo interlocutori: per fortuna, il mondo della rivoluzione socialista non finisce con B.C.! Questo livore verso i compagni che abbozzano critiche per dare una mano al "perimento del presente", non mi piace affatto. Saluti,duccio.

Giusto per rinfrescare la memoria: leftcom.org

Domande per il Compagno Duccio

Caro Compagno Duccio,

il tuo intervento è molto complesso e difficile da decodificare. Vorrei rispondere per punti in modo che ti siano più evidenti le mie perplessità.

Tu dici “confusione tra operai che producono direttamente plusvalore e lavoratori dipendenti che operano nel processo di distribuzione del plusvalore”. Quindi questi “lavoratori dipendenti” non sono proletari? Come possiamo classificarli sul piano di classe?

L’altra perplessità deriva dal fatto che nel tuo ragionamento manca la visione d’insieme della unificazione del capitale finanziario su basi mondiali. Queste due ragioni ti portano alla ricerca di un “baricentro della lotta di classe” che, a tuo parere, si sarebbe spostato in Asia ed in America Latina. Ciò che non capisco è l’idea di questo “baricentro” intorno al quale dovrebbe ruotare tutta l’attività dei rivoluzionari del mondo.

Chiaramente tu operi una restrizione del proletariato alla sola classe operaia industriale. E quindi mi sorge la necessità di comprendere come tu descrivi l’architettura sociale, ad esempio, di un paese come l’Italia, nel quale la classe operaia industriale è ridotta ad una minoranza molto esigua. Non capisco il resto dei 60 milioni di abitanti dell’Italia cosa sono.

Beninteso, è nel tuo pieno diritto correggere il concetto marxiano di proletariato, che è un concetto esteso e dinamico, e che comprende in primis anche la classe operaia industriale, ma almeno vorrei capire la ragione di questa tua correzione.

Una terza perplessità riguarda “le basi su cui poggia la teoria del materialismo dialettico”. Si, ma quale? Quello di Marx che sbriciola distrugge le categorie della filosofia sistemica o quella degli ultimi lavori di Engels (da cui Lenin, ecc.) nella quale queste categorie vengono recuperate “alla rovescia”, cioè sul medesimo piano teoretico borghese, sostituendo all’”idea” hegeliana ” le “leggi” della natura e della storia ?

Un corollario di questo di questa seconda impostazione, che porta ad un materialismo storico altro da Marx, è l’idea che “la coscienza di classe è esterna alla classe”. Da essa deriva poi l’idea di partito direttivo di tipo giacobino, il cui compito sarebbe quello di illuminare il proletariato iniettando teoria e costruendo propedeuticamente una coscienza di classe che l’essere sociale del proletariato non consente di formarsi in assenza di una surrogazione da parte della intellighenzia politica.

Io penso che una cosa è l’aiuto attivo del partito proletario al formarsi della coscienza collettiva di classe (aiuto che considero indispensabile); altra cosa è una confezione di tale coscienza all’esterno della classe da iniettare poi nel proletariato. Più che il Lenin dei madornali errori filosofici, più che il Lenin teorico, credo che si debba imparare dal Lenin pratico, dal dirigente rivoluzionario che non esitò a liberarsi delle sue vecchie idee per far camminare il processo rivoluzionario. Cordiali saluti.

Ciao Duccio,

come sopra.

Saluti,

Smirnov

Risposta a Bogdanov (e a Smirnov)

Volevo ringraziare il compagno mic per avermi rammemorato un intervento (credo di tre anni addietro)in cui segnalavo su questo blog una ricerca dal titolo "Lettere dal villaggio globale" (16 lettere)che disegnavano un quadro complessivo sulla nuova configurazione storica del capitalismo finanziario-multinazionale e sulla composizione del proletariato mondiale che ,ancora oggi,ritengo di ragguardevole interesse, in seguito alla quale ho collaborato sul blog dell'autore . E,forse, potrebbe richiamare gli interessi su questi temi del compagno bogdanov.Il sito lo si trova a partire dalla pagina principale di yahoo-gruppi. ( basta cliccare all'indirizzo: it.groups.yahoo.com/group/che fare ).

Detto questo mi appresto a dare le mie risposte alle perplessità del compagno bogdanov (e al compagno Smirnov,che saluto).

Sul primo punto,caro Bogdanov,in cui mi chiedi come definire i lavoratori dipendenti non direttamente sussunti per la formazione del valore e del plusvalore nel processo produttivo, ti rispondo semplicemente attenendomi all'indagine scientifica di Marx, condotta sia sul Primo che sul Terzo libro del Capitale, che i proletari che producono merci e servizi direttamente nel processo produttivo materiale si chiamano "proletari industriali e,quindi,"lavoratori produttivi" (di plusvalore); gli altri lavoratori dipendenti, oggettivamente sussunti al Capitale, ma che ricevono redditi e stipendi nel processo di distribuzione e ripartizione del plusvalore appartengono alla categoria dei "lavoratori improduttivi",cioè: non concorrono alla formazione del valore e del plusvalore sociale.Entrambe le categorie di lavoratori,salariati e non,erogano "lavoro astratto",lavoro oggettivato,ma solo i primi valorizzano il Capitale iniziale impiegato, mentre i secondi (i lavoratori improduttivi),partecipano alla ripartizione di un plusvalore già prodotto ed esistente (creato dai salariati), per cui la lotta per ottenere aumenti di reddito(o di stipendi) da parte del lavoro improduttivo va ad intaccare il "prodotto netto" dei capitalisti ottenuto, dopo la detrazione dal "prodotto lordo " di tutti i capitalisti nei vari rami, della spesa complessiva dei salari pagati nel processo di produzione materiale e dei servizi che aggiungono valore alla merce (ad esempio,trasporti,poste , telefonia,posta elettronica,sistemi di operazione elettronica che concorrono alla formazione finale del valore delle merci,etc.).

Punto 2)-Tu non condividi la mia individuazione del baricentro della lotta di classe che si è spostato,in seguito alle delocalizzazioni,le deindustrializzazioni,gli "outsourcing",il lavoro in subappalto,a rete, in un territorio e in aree intercontinentali,il lavoro precariato e le immigrazioni globali di un proletariato fluttuante dai territori più poveri a quelli più avanzati,sotto l'aspetto industriale (il capitalismo produttivo multinazionale); e dopo che il mondo si è diviso tra paesi manifatturieri (appunto come l'Asia,l'America latina e centrale,i paesi dell'Est Europa e paesi strategici finanziari-industriali dove si concentrano money management e management industriale circondati da un Nucleo centrale permanente,e non flessibile, e da una "periferia",divisa in due sottogruppi distinti da una maggiore o minore flessibilità numerica,e da una diversa sicurezza di lavoro. Perciò il "nucleo" risulta costituito da lavoratori dipendenti e a tempo pieno.In esso fa parte il management (compreso quello a cui vengono affidate in subappalto funzioni di alto livello,tipo gestione finanziaria,marketing,progettazione,etc),e in esso sono compresi anche "gli operai ad alta qualificazione tecnica e che sono capaci di gestire e far funzionare macchine automatiche,robotica,informatica,aperti alla riqualificazione professionale,alla mobilitò geografica. Questi addetti godono di una maggiore sicurezza del posto di lavoro e di pieni diritti pensionistici e coperture assicurative.Anche i lavoratori godono di alti salari,tre,quattro,o anche di più di quelli appannaggio dei lavoratori della periferia,o nelle filiali all'estero,appartenenti al precariato,meno qualificati o senza nessuna qualifica. Alla "periferia" (sempre dei paesi avanzati),nel primo girone, troviamo "gruppi di dipendenti a tempo pieno,dotati di capacità tecniche e culturali di lavoro ampiamente disponibile sul mercato(lavoratori a tempo indeterminato),però meno qualificati ed addetti a lavori di routine...(impiegati,segretarie) ad alta rotazione.." C'è ,poi, un secondo girone periferico "costituito da dipendenti precari che assicurano una flessibilità numerica ancora maggior del primo e che comprende i lavoratori occasionali, temporanei, part-time,a contratto,o con contratti di formazione..." Questi ultimi non godono di sicurezza del lavoro,ricevono bassi salari e sono privi di diritti pensionistici,nella sostanza.Quello che sto indicando è appena una bozza della redistribuzione sopravvenuta nell'ambito del lavoro produttivo ed improduttivo..Bisogna individuare allora il "nucleo" dei lavoratori produttivi attorno alle cui organizzazioni (comitati di lotta, di disoccupati,soviet in situazioni rivoluzionarie),bisogna attrarre gli altri lavoratori,ovunque si trovino nel mercato del lavoro globale,e su questi nuclei costruire L'Internazionale di domani e le lotte per la conquista del potere statale nei Paesi dove più debole è l'anello finanziario-capitalistico, smettendola di inseguire gli operai imborghesiti "versallesi", e cercando invece alleati tra le classi non produttive più povere (contadini,artigiani,piccola borghesia proletarizzata) capaci di stringersi attorno ai soviet guidati dal movimento operaio rivoluzionario(quello degli operai"comunardi"),le cui "avanguardie" ideologiche di massa siano state conquistate dal partito rivoluzionario. E qui mi fermo,altrimenti il commento diventa un fiume...che può dare fastidio ai lettori impazienti. Mi riservo,compagno Bogdanov, di trattare gli altri punti restanti,in un prossimo intervento..se ci sarà consentito!!! Cordialità e vivi saluti! duccio

  • Al Compagno Duccio*

Caro Compagno Duccio,

ti ringrazio per i chiarimenti e mi scuso se ti ho in qualche modo obbligato a faticare per spiegarmi il tuo punto di vista. Mi propongo di approfondire questi aspetti e di risponderti nel merito. Grazie, saluti cordiali. B.

Parziali osservazioni sull'intervento del Compagno Duccio.

Caro Compagno Duccio,

voglio partire da una tua considerazione che mi sembra importante:

“bisogna attrarre gli altri lavoratori,ovunque si trovino nel mercato del lavoro globale”.

Dunque tu consideri questi lavoratori possibili soggetti attivi della lotta proletaria. Nella mia semplicità mi fermo al concetto di Marx per cui il termine proletario sta ad indicare quella categoria di persone che non possiedono i mezzi di produzione ma sono costretti a vendere la loro forza lavoro. La definizione è sommaria, ma vale ad indicare una precisa funzione ed uno status sociale.

Lukács faceva una volta notare che:

“l’opera maggiore di Marx si interrompe, in modo gravido di conseguenze, sia per la teoria che per la praxis del proletariato, proprio là dove si accinge alla determinazione delle classi. Su questo punto decisivo – prosegue – lo sviluppo ulteriore fu perciò affidato alle interpretazioni, al confronto tra dichiarazioni occasionali espresse occasionalmente ( ripete due volte ‘occasionale’) da Marx e da Engels, ad una autonoma elaborazione ed applicazione del metodo. Secondo lo spirito del marxismo, l’articolazione della società in classi deve essere determinata in base alla posizione che esse occupano nel processo di produzione.”

Cosa sia questa “posizione” credo sia risolto nella definizione ed il termine proletario, un antico termine risalente a Servio Tullio, è scelto da Marx non nella sua genericità ma nel preciso significato di venditori di forza-lavoro.

Se applicassimo alla lettera il concetto da te sostenuto, dovremmo arrivare a definire “proletario” esclusivamente coloro che materialmente trasformano la materia, escludendo dalla definizione parte degli stessi addetti, che, esagerando, come dire, “non lavorano al tornio”. L’aspetto tecnico del lavoro salariato non inficia la posizione di classe. Inoltre considera le trasformazioni della struttura dello stesso salario avvenute da Marx a noi, la sua generalizzazione nell’odierno capitalismo. Ciò è dovuto, secondo me, ad una integrazione organica tra i processi produttivi diretti e la trasformazione in merce dei prodotti. Se oggi non si riconosce più una “piccola borghesia” com’era al tempo di Marx e se tutta la scalettatura sociale interposta tra proletariato e borghesia viene via via riassorbita in una condizione di tipo proletario, è proprio in forza della integrazione che dicevo. D’altronde questa era anche la previsione di Marx e di Engels, quando quest’ultimo prospetta una società divisa tra proletari e “tagliatori di cedole”, cioè capitale finanziario. Se consideriamo l’aspetto puramente “tecnico” delle funzioni produttive potremmo rischiare un meccanicismo che non riuscirebbe a tenere conto delle trasformazioni avvenute.

La riduzione a “massa proletarizzata” delle articolazioni sociali preesistenti, il forza del potere totalizzante del capitale finanziario mondiale e della sua estensione a tutti i settori delle attività umane, cambia ed amplifica il concetto di proletariato e tu, giustamente, consideri questa “massa proletarizzata” come suscettibile di acquisizione di coscienza politica e di classe, concentrabile intorno ad un’idea di moderno proletariato, idonea ad integrarsi con vecchio proletariato. Ma questi altri lavoratori sono anch’essi venditori di forza lavoro, cosa ci impedisce di considerarli proletari?

(io uso una terminologia mia (massa proletarizzata, moderno proletariato, ecc.) per tentare di far comprendere queste mutazioni avvenute rispetto al passato. Non ho la pretesa del rigore teorico ma sento insufficiente ed inevoluto il vecchio schema sulla base del quale la sinistra ha ragionato a partire da Marx.).

Capitalismo e proletariato sono soggetti in continua evoluzione e c’è una dinamica interattiva tra le trasformazioni del capitalismo, quelle del proletariato e quelle del mondo. Ora, è pur vera la tesi di Rosa Luxembourg che, in ultima analisi, non è possibile una società composta esclusivamente da capitalisti e proletari, ma nel frattempo, ho questa sensazione, che le contraddizioni della proletarizzazione di massa siano scaricate sui disequilibri di mercato e che alla legge dello scambio diseguale si sia sostituita (azzardo una ipotesi) una condizione di lavoro diseguale a cui tu accennavi.

Ma l’insieme viene gestito da una unica entità, il capitale finanziario mondiale. Affermo questo sulla base della composizione degli organi direttivi della finanza mondiale, che comprende ormai ogni attività di rilievo. Le intersezioni sono innumerevoli e, singolarmente, sono le medesime banche a finanziare settori in concorrenza, magari posti in luoghi diversi del mondo.

Un elemento indicativo ci viene dalla vicenda di Termini Imprese, e cioè lo strangolamento selettivo di alcune aziende, operato dalle banche, cioè dal capitale finanziario mondiale che le comanda, per lasciare il rimanente ridotto mercato a quelle più “salvabili” dislocate altrove.

Qual è allora il baricentro del conflitto? Il baricentro, per così dire, è il mondo stesso. Non vediamo la sua fragilità ma, per utilizzare una metafora, somiglia al parabrezza di un’auto; tutto tiene insieme tutto e basta un singolo punto di frattura perché la struttura collassi; ciò avviene perché tutti i punti sono nel medesimo stato di tensione, anche quelli che appaiono più protetti e più resistenti.

Mi propongo di continuare a rispondere ma interrompo questo intervento per non occupare troppo spazio e per dar modo agli altri compagni di poter intervenire

a conferma di quanto dice Bogdanov...

le statitische ( pur da prendersi con le dovute cautele ) riportano dati del tipo che negli Usa circa il 90% della popolazione è sprovvista di qualsiasi proprietà "reale"...eccetto quella di vendere la loro forza lavoro x (soprav)vivere - x contro meno dell' 1 % possiede oltre la metà dell'intero patrimonio mobile ed immobile disponibile mentre il restante 10 % "deve accontentarsi" del rimanente 50%.

bella progressione, nn c'è che dire :)

ciao

la coscienza di classe è esterna alla classe?

Ciao Bogdanov.

Come di certo sai, la domanda che ponevi qualche post fa ("la coscienza di classe è esterna alla classe?") è stata oggetto di lunghe discussioni tra i rivoluzionari...

La nostra tendenza ha dovuto anche correggere Lenin, o almeno certe sue formulazioni che - prese al di fuori del loro contesto e generalizzate, anzichè intese come forzature polemiche - sono state (e forse sono ancora) causa di grande confusione.

Marx, Engels e più tardi Lenin e con loro e dopo di loro un esercito di pensatori, di politici, di intellettuali legati al marxismo, hanno tutti avuto il compito di “introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione” ma gli elementi formativi di tale coscienza hanno la loro matrice storica nella classe lavoratrice, si riflettono volta a volta nel cervello di alcuni uomini, come in un laboratorio di sistemazione scientifica, per ritornare quindi alla classe per aiutarla e far sua questa “coscienza del fine” in modo sempre più chiaro e distinto.

Onorato Damen, Gramsci tra marxismo e idealismo - Premessa

L’esistere obiettivo della classe e la sua lotta quotidiana contro i capitalisti pongono da una parte le premesse oggettive alla elaborazione scientifica della dottrina comunista e del programma per il comunismo, d’altra parte sono il terreno concreto di cultura dell’istinto di classe del proletario stesso che può giungere sino ad una indistinta volontà di sovversione della società. Sulla base della esistenza (la “vita” di Plechanov) del proletario si sviluppa il pensiero comunista in forma di strumento di critica, principi politici e organizzativi per la realizzazione del programma. Marx ha sì elaborato la fondamentale tesi relativa alla dittatura del proletario sulla base della esperienza del proletariato parigino, ma quella tesi non sarebbe stata tale senza un Marx, soggetto della elaborazione dottrinaria. Lo stesso Lenin avviò (e lasciò incompiuta) la tesi relativa alla forma sovietica del potere (il potere dei consigli) sulla scorta della esperienza russa del 1905 e più ancora nella tempesta del febbraio 1917. Ma che sarebbe stato della lotta successiva senza elaborazione da parte di Lenin delle Tesi di Aprile e senza l’immediato operare del partito bolscevico su di esse? Il “fattore esterno” alla classe, che riprenderemo ampiamente più avanti, è dunque un prodotto del moto spontaneo della classe nel senso che questo fornisce il materiale grezzo di esperienza e di dati che quello elabora in dottrina-programma per renderlo in questa forma al movimento reale del proletariato. La necessità del “fattore esterno” è data dal quadro storico medesimo dominato dallo scontro, dall’urto fra le classi, poiché non esiste realtà sociale che non trovi la sua espressione politica.

Mauro Stefanini Classe e coscienza: dalla teoria all'intervento politico

Formidabile

Caro Compagno Mic, grazie.

non conoscevo questi testi, dovrò studiarli accuratamente, ma posso fin d'ora dire di poterli sottoscrivere così come essi sono stati formulati; è quello che ho sempre pensato. Voglio farti notare che il contenuto di ciò che dicono Damen e Stefanini corrisponde esattamente a quanto scriveva il Compagno da cui ho preso a prestito lo pseudonimo, A.A.Bogdanov.

Giustamente tu dici " formulazioni prese al di fuori del loro contesto e generalizzate, anzichè intese come forzature polemiche".

Su questi equivoci si sono costruite montagne di errori che hanno spesso pregiudicato lo sviluppo dei partiti proletari. Qui si definisce, in nuce, il rapporto partito-classe e da quì viene fuori la possibilità di aiutare il moderno proletariato ad acquisire gli elementi della propria coscienza e della propria identità di classe. Questo è il lavoro che c'è da fare, il compito più urgente poichè la crisi pone incessantemente e sempre con maggior forza una questione identitaria ai giovani proletari, soprattutto precari.

Ma da queste affermazioni vengono anche fuori alcuni caratteri essenziali del partito proletario e un itinere della sua costruzione nella dialettica di un rapporto di sinergia con la classe. Credo che questo partito sia indispensabile, sia, come dire, il catalizzatore di un processo di generale riacquisizione della coscienza collettiva di classe. ma non può essere, nel modo più assoluto, un partito "esterno" alla classe o "al di sopra della classe" .

Damen ha ragione, ha mille volte ragione a dire che "gli elementi formativi di tale coscienza hanno la loro matrice storica nella classe lavoratrice" ed è su questi materiali che bisogna lavorare, con un pensiero lucido, libero da vecchi errori e con una pratica in cui possano riconoscersi i tipi umani di cui parla Damen, la cui sensibilità li porta a mettersi al lavoro per costruire la coscienza del fine.

Precisazione

Stefanini parla della necessità di un "fattore esterno". A bene vedere anche Marx costituisce un "fattore esterno". Altra cosa è un "partito esterno" e benchè queste due espressioni sembrino assonanti, secondo me esse sono invece in opposizione. Ciò perchè un "fattore" nella lotta proletaria può agire solo nel contesto di un proceso in atto, ricavando esso stesso energia da quanto avviene ed amplificandosi grazie all'energia generale assorbita dal processo stesso. Credo sia questo il senso, anche se l'espressione mi è venuta male.

Non è la classe che determina la coscienza del partito, è questa una concezione di ordine deterministico. Così come non sono le leggi naturali che determinano la lotta di classe nella società. Il compagno Bogdanov applica gli stessi metodi del darwinismo sociale,alla fine del XIX sec. Sono state le leggi della lotta di classe e dell' "Homo homini lupus",di hobbesiana memoria, ad ispirare la scoperta della legge sulla "lotta per l'esistenza" degli organismi biologici nella teoria di Darwin,e non il contrario. Abbracciare quest'ultimo punto di vista,significa fare propria la concezione determinista naturale del darwinismo sociale.Da qui vengono fuori le deformazioni teoriche del compagno Bogdanov (che nel partito bolscevico guidava l'ala ultrasinistra che Lenin ha combattuto senza pietà...),

il quale si accoda alla scia "pestifera" dei nemici del marxismo,che vedono una scissione di vedute,sul materialismo dialettico,tra il pensiero di Engels e quello di Marx, influenzati dalle forzature

interpretative di intellettuali come Colletti e altri revisionisti dell'estrema sinistra pseudo-rivoluzionaria.

Le leggi per la formazione della "coscienza del fine" si trovano dentro la dimensione della coscienza teorica e,quindi,nel corso della battaglia critica fra teste pensanti del socialismo che si scontrano per affermare quali sono i modi e le forme per la battaglia che conduce alla conquista del potere statale da calare,poi,in forme semplici e comprensibili, dentro il movimento operaio di massa (attorno a cui roteano le altre classi dipendenti alleate e proletarizzate),fino a fondersi con questo e dare vita alla trasformazione rivoluzionaria,politica e sociale! Una cosa è il processo che va dall' essere alla coscienza, teso a conoscere le leggi economico-storiche, altra cosa è il processo che dalla spontaneità del movimento di massa (l'in sè) porta al "per sè",alla coscienza,al soggetto rivoluzionario. Questo processo può accadere solo se si costitutisce preventivamente la coscienza teorica, che nasce dall'esterno,e nel milieu della classe dominante che incomincia a perdere "pezzi di intelligenza" di eccellente qualità,incarnati da personalità dotati di cultura e qualità morali superiori (come Marx,Engels,Lenin,la dirigenza del partito bolscevico prima dello sterminio stalinista durante le purghe,etc.) che intravvedono in anticipo il processo storico in atto e progettano il superamento dell'ordine presente.E ciò ,in quanto nelle prime fasi del processo,la classe operaia non è ancora soggetto cosciente,ma "oggetto" che,al massimo,possiede un livello trade-unionistico di pensiero, cioè:è una classe "in sè" che inizia il cammino verso il "per sè",pedagogicamente assistita (anche sul terreno dell'organizzazione delle lotte di strada) dal partito -avanguardia che ha il ruolo di Soggetto della classe. Quest'ultima diventerà soggetto,grazie ad una minoranza avanzata che è stata educata a vedere dietro le forme sociali di attività,la lotta fondamentale di classe e quella relativa tra strati all'interno delle classi dominanti, e che ha la capacità di trascinare ed influenzare il livello minore di coscienza diffuso in tutti gli angoli della massa dei lavoratori ,o i "bagliori di coscienza" e di forte "volontà" al cambiamento rivoluzionario che si depositano nel proletariato più arretrato.Ecco perchè diventa essenziale studiare non solo le leggi economiche della lotta di classe,ma anche quelle storico-politiche ed ideologiche della lotta, se un'avanguardia vuole raggiungere le altezze dell'avanguardia leninista nella Storia. A questo punto si può affermare che le leggi storico-sociali ,della cultura, sono determinanti per la comprensione più profonda di quelle naturali,in quanto rappresentano un fattore di elevazione a potenza (il fattore V/2) nel processo di riproduzione organica dell'ente uomo nel rapporto uomo-natura.Onde le leggi della lotta di classe nella società storica e la loro conoscenza consentono alle avanguardie,soggetti reali del processo storico, di avere "una maggiore capacità di progettazione e una maggiore intelligenza nella determinazione del fine, non una maggiore libertà (un maggiore arbitrio) nella scelta di fini diversi". Come pensava Engels, appunto,sostenuto da Marx (sia nel corso della composizione dell'Antiduhring che nell'elaborazione della Dialettica della Natura). Saluti,duccio

Penso che siamo d'accordo, Bogdanov.

Il paragone con il catalizzatore è abbastanza calzante. Però - per restare su questa metafora - mentre il catalizzatore rende possibile o favorisce un certo processo ma alla fine lo si trova immutato, il partito è necessario al processo e ne è parte, uscendone esso stesso modificato, accresciuto e arricchito di nuove esperienze e lezioni (in aggiunta a quelle di tutta la storia del movimento proletario) da elaborare e riportare alla classe. Questo mi pare sia in accordo con quanto hai scritto anche tu nel seguito...

Tra parentesi, il compagno da cui hai preso il nome è una personalità senz'altro molto interessante. M'era capitato di sentirne parlare proprio pochi giorni prima dei tuoi interventi sul forum.

Confesso di conoscerlo molto poco, ma forse non sono il solo. Da quel che mi pare di capire, è un po' sottovalutato, messo in ombra dalla figura di Lenin. Spero di recuperare prima o poi qualche libro per approfondire.

Saluti! Mic

Fede e scienza

Caro Mic, in breve fu uno dei due fondatori del bolscevismo. Spesso Lenin si trovò in minoranza rispetto alle sue posizioni. Abitarono insieme e vi è una foto, scattata a Capri, che lo ritrae mentre gioca a scacchi con Lenin in presenza di Gorkji e di Lunaciarskji- Bucharin disse che era l'uomo più colto del suo tempo. Fondatore della teroia dei sistemi, inventore delle trasfusioni di sangue (era medico), filosofo marxista (creatore dell'empiriomonismo), romanziere di fantascienza, chimico (lavorò con Ostwald), economista, ma soprattutto rivoluzionario marxista. Diresse i bolscevichi nella rivoluzione del 1905, fondò le scuole di partito per operai russi (a Capri e a Bologna), Direttore dell'Accademia delle scienze ociali in URSS. Fu il primo a porre il problema della salvaguardia del pianeta. Fondatore del Proletkult. Morì a causa di un esperimento di trasfusione fatto su se stesso.

Ti consiglio di leggere la sua risposta a "Materialismo ed empiriocriticismo" - "Fede e scienza" - e "La scienza, l'arte e la classe operaia" Per darti modo di intuire il personaggio di trascrivo un suo pensiero: "Dire che il carattere di classe della scienza risiede nella difesa degli interessi di una determinata classe è solo un argomento da libellista o una falsificazione pura e semplice. In realtà, la scienza può essere borghese o proletaria per sua "natura" stessa, particolarmente per la sua origine, le sue concezioni, i suoi metodi di studio e di esposizione. In questo senso fondamentale, tutte le scienze, sociali o altre, comprese la matematica e la logica, possono avere ed hanno realmente un carattere di classe." Disse che occorreva "disfare il tessuto della scienza borghese". Fu lui ad attrezzare tuti gli ospedali dell'Urss con i più moderni apparecchi medici.

E pensare che ci sono sventurati che dicono che la scienza è "né borghese, né proletara" .....

Difficoltà di spazio

Non mi è materialmente possibile rispondere a tutte le questioni poste dal Compagno Duccio, anche se ciascuna di esse è importante e meritevole di considerazioni, ma devo rispettare la regola del forum che pone un limite di 2000 caratteri ad intervento. Non posso chiedere una deroga ai Compagni Amministratori del forum e non posso dare risposte troppo brevi che risulterebbero insufficienti a chiarire le questioni poste dal Compagno.

Dirò in breve che per uno strano gioco di prospettiva, rispetto ad un criterio di successione teorica, sembra che sia Marx l’ultimo della serie dei teorici marxisti, anche se Marx stesso diceva di non essere marxista. Questa dichiarazione di Marx chiarisce tutte le questioni a seguire comprese nell’intervento del Compagno Duccio.

Marx ruppe violentemente con la filosofia tradizionale negando ad essa addirittura il diritto alla continuazione sotto qualsiasi forma che non fosse un metodo di lavoro tradotto sul piano delle scienze particolari e, quindi, immediatamente pratiche. Egli stesso non si curò di contestare, da filosofo, le filosofie che aveva criticate, e dopo sommari appunti o lunghe polemiche dal lui neppure pubblicati (Tesi, Manoscritti, Ideologia tedesca), non pensò mai di riprendere un lavoro di sistemazione generale del suo pensiero nei confronti delle filosofie passate o di quelle che sarebbero state formulate dopo di lui. Perciò non si definiva marxista, in quanto non voleva fondare alcuna filosofia che non fosse praxis.

Giustamente Karl Korsch domanda: Qual è il rapporto che intercorre tra il marxismo e la filosofia fintantoché questo complesso processo storico non ha ancora raggiunto il suo obiettivo finale, la soppressione della filosofia?” (Marxismo e filosofia).

Saluti cordiali a tutti voi ed in particolare al Compagno Duccio del quale, pur nel reciproco dissenso, ammiro la pazienza e la tenacia nel tenere campo in questa discussione.B.

"Fede e scienza" di Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov

Bogdanov cita nel suo penultimo intervento "Fede e scienza" di Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov. Vorrei chiedere se qualcuno potesse indicarmi dove trovare questo testo in italiano o anche in inglese. E' da tempo che lo cerco e non riesco a trovarlo. Una volta lo pubblicava l'Einaudi, ma adesso non è più disponobile. Se qualcuno ne avesse una copia in formato pdf. Grazie!

Maxp

Purtroppo l'ultima edizione è quella del 1982 di Einaudi. Contiene interventi di Bogdanov, Aksel'rod (Ortodox), Bazarov, Juskevic e Gorkji. Non so come aiutarti.

Comunque puoi chiedere anche all'Istituto Lelio Basso di Milano, che conserva alcuni documenti importanti riguardanti Bogdanov.

Dovrebbe trovarsi la "Tectologia" (Scienza Universale dell'Organizzazone) ed due romanzi di fantascienza (La stella rossa e l'ing.Menni).

Al peggio fotocopiamo.

Una raccomandazione: c'è una pagina su Bogddanov che scrissi su Wikipedia e che è stata completamente sfigurata e non è affidabile.

Inoltre il testo "La scienza, l'artre e la classe operaia fu pubblicata da Mazzotta nel 1978.

Un profilo di Bogdanov lo trovi nel testo "Profili di rivoluzionari" di Anatolji Lunaciarskji.