La sindrome greca

Un nuovo scossone al sistema del capitalismo finanziario internazione è partito oggi dalla Grecia.

Sacrifici insopportabili vengono oggi imposti ai lavoratori, ai pensionati, alle famiglie, ai disoccupati del proletariato greco il nome della “salvezza del paese”. Ma è di questo che si tratta? Chi è in pericolo e cosa c’è da salvare.

La ragione di questi sacrifici è il debito pubblico, cioè i soldi da dare alle banche come interessi. Abolizione della tredicesima mensilità, tagli brutali all’assistenza sanitaria, tagli alle già miserabili pensioni, nessun aiuto e nessuna prospettiva per i giovani, e tasse, tasse, tasse.

Ma perché la finanzia internazionale corre in soccorso del governo greco stanziando cifre astronomiche per sostenere la fallanza sul debito pubblico?

Il fatto è che in questa epoca del capitale finanziario mondiale, il detentori del debito pubblico greco non sono, e non sono mai stati, i “risparmiatori” greci; come in tutti i paesi il creditore del debito pubblico è la finanza internazionale, che distribuisce il debito pubblico di ciascun paese in altri paesi, in modo da internazionalizzare il profitto.

Il debito pubblico americano è in gran parte detenuto dalla Cina, ed il debito pubblico italiano è acquistato dalle finanze di almeno 25 paesi. In effetti, il collasso finanziario di un paese, cioè l’incapacità di dare alle banche i proventi del prodotto interno lordo di quel determinato paese, sotto forma di interessi sul debito pubblico, mette in crisi tutto il sistema mondiale del capitale finanziario, con un “effetto domino” che si ripercuote in tutti gli altri paesi aprendo nuove crisi, sempre più vaste, sempre meno risolvibili all’interno del sistema capitalistico finanziario. E’ come il parabrezza di un’auto, tanto per usare una metafora, per il quale in qualsiasi punto viene colpito collassa interamente poiché tutti i suoi elementi si trovano nel medesimo stato di tensione.

Il debito pubblico è un meccanismo mediante il quale tutto il prodotto del lavoro del mondo viene divorato dal capitale finanziario internazionale. In Italia, è noto, questo debito è inestinguibile poiché gli interessi su di esso superano sempre il PIL (come nell’usura dove l’usurai pretende sempre più di ciò che il debitore è in grado di pagare).

Che forma ha questo debito? Al secondo articolo della presente legge finanziaria è detto: “il livello massimo del ricorso al mercato e' determinato, rispettivamente, in 253.000 milioni di euro e in 250.000 milioni di euro” per i quali verranno emessi titoli di Stato (BOT, CCT, ecc.). Ora. Chi dispone di una liquidità di 503.000 milioni di euro ? La quota di questi titoli che va all’”azionariato diffuso” raramente supera 1,5%, il resto vengono acquistati dalle banche, nazionali ma soprattutto internazionali con sedi in altri paesi.

In questo modo la ricchezza di interi paesi, il prodotto del lavoro dei miliardi di proletari del mondo viene incamerato dal capitale finanziario mondiale, avendo anche il vantaggio che è lo stesso Stato capitalista a fungere da esattore.

MA, alla fine, il meccanismo si rompe, perché non è possibile una crescita indefinita dell’economia, perché i mercati sono saturi e perché il capitalismo è oltre le sue possibilità di sopravvivenza storica. Oggi è la Grecia, ma Spagna, Irlanda e Italia, sono i paesi prossimi candidati ad un collasso finanziario, nell’ordine. Che il sistema possa rendere a tutto questo è chiaramente impossibile: è possibile oggi mettere una pezza, date le modeste dimensioni finanziarie della Grecia, ma già questo si dimostra estremamente difficile. Non sarà possibile alla lunga bloccare la crisi epocale del capitalismo che tenta di venire alla superficie in tutti i paesi del mondo.

L’economia pone una domanda di razionalità, ed appare sempre più chiaramente che il nucleo irrazionale dell’economia mondiale è il capitalismo stesso.

E fino a che punto sarà possibile al capitalismo contenere le spinte alimentate dal bisogno e dal desiderio di equità di cui la grande manifestazione di Atene è stata solo una vaga avvisaglia?.

Forum: 

Postilla

A proposito della funzione di sattore del capital finanziario mondiale assunto dagli stati borghesi, l’Ocse rileva che in Italia il peso di tasse e contributi sui salari (il cosiddetto cuneo fiscale che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore) è in Italia al 46,5%.

Nonostante le sostanziose iniezioni di denaro lliquido le borse del istema capitalistico sembrano restare in stato di premorte , oggi venerdì 14 maggio Milano perdè il 5 % bRUCIANDO 183 miliardi insieme ad Atene e Madrid che perde il 7 %.

Può essere un segno da cogliere?

Il capitalismo ha senz'altro il fiatone, ma guai se si pensa che una crisi economica, per quanto profonda, possa di per sé creare le premesse per il superamento del regime capitalista. Finché non ci sarà un forte e radicato partito rivoluzionario, ogni rivolta si esaurirà nel sistema.

Fate un passo avanti e aiutateci a costruirlo.

Il compagno Gek ha ragione, indubbiamente. Anche se la crisi può creare una situazione vacillante per il capitalismo, senza un partito non è possibile superare il capitalismo. Nessuna spontaneità si è mai rivelata sufficiente a questo scopo; ma la spontaneità (non lo spontaneismo) della classe può aiutare questa costruzione?

Io credo che la spontaneità di classe, cioè la mobilitazione spontanea dei proletari in risposta agli attacchi feroci e continui della borghesia, sia indispensabile per la costruzione e il rafforzamento del partito rivoluzionario, che non si può certo edificare solo con la buona volontà delle avanguardie comuniste. Se infatti i proletari continuano a rimanere inermi non c'è volontarismo che tenga, e noi, "profeti del nuovo mondo", continueremo a predicare nel deserto.

Il rischio enorme che si corre oggi è però l'opposto, ossia quello di trovarci nella situazione greca (che fu poi quella argentina del 2001/2002): i proletari che finalmente alzano la testa, ma che si ritrovano senza guida rivoluzionaria.

Precedenti

Mi dichiaro completamente d'accordo col compagno Gek.

Abbiamo un precendente storico macroscopico: la rivoluzione messicana. Sebbene il proletariato agrario del Messico avesse conquistato tutto, con Pancho Villa, Emilano Zapata e Pascual Orozco seduti sulla scrivania della presidenza della repubblica, perse tutto in un modo tragico proprio per la mancanza di un soggetto politico proletario in grado di tenere sulla questione del potere. La questione del partito è decisiva, assolutamente.Ma sarebbe importante discutere su "come" si costruisce oggi un partito idoneo a questo compito e a massa critica abbastanza consistente da influire effettivamente sui processi politici. Hic Rodus, hic salta. Discutiamone.